Lui guadagna quasi il doppio di lei, ma con un mutuo da mille euro al mese: niente mantenimento alla moglie

Vittoria definitiva per l’uomo, che si vede liberato dall’onere del versamento a favore della donna. Non discutibile la sproporzione tra i redditi dei due coniugi. Ma la maggiore disponibilità economica di lui è azzerata dal peso delle rate mensili da mille euro l’una del mutuo relativo all’acquisto dalla moglie della metà della casa coniugale.

Sconfitta per la donna. Niente assegno di mantenimento a suo favore. Non contestabile il maggior reddito del marito, ma quest’ultimo deve anche far fronte ogni mese a un mutuo, con una rata di quasi mille euro. Ciò riporta in equilibrio, in sostanza, le forze economiche dei due coniugi Cassazione, ordinanza n. 22603, sezione sesta civile, depositata oggi . Redditi. Decisivo il passaggio in Appello lì, a corredo della separazione di una coppia, viene revocato l’assegno di mantenimento riconosciuto in primo grado a favore della donna e fissato in 200 euro mensili. Soddisfazione per l’uomo. Rabbia per la moglie, che propone ricorso in Cassazione, contestando la decisione messa ‘nero su bianco’ in secondo grado. Secondo il legale della donna, in sostanza, i giudici hanno trascurato la stridente differenza nella capacità reddituale dei due coniugi. E in questa ottica vengono messi a confronto i redditi mensili netti della oramai ex coppia lui guadagna 2mila e 600 euro , lei solo mille e 400 euro . Evidente la sproporzione, ma, aggiungono i giudici, a riportare in equilibrio la situazione è un mutuo a carico dell’uomo. Più precisamente, egli è obbligato al pagamento di una rata mensile pari a 990 euro , relativa a un mutuo che gli ha consentito di acquistare dalla moglie la metà della casa coniugale e che, di conseguenza, ha permesso alla donna di acquistare una casa di proprietà in cui abitare dopo la separazione . Corretta, quindi, la valutazione compiuta in Appello, concludono i giudici di Cassazione. Detto in maniera chiara, i redditi spendibili dai due ex coniugi sostanzialmente si equivalgono e consentono ad entrambi una vita dignitosa e non sostanzialmente dissimile da quella condotta in costanza di matrimonio . Di conseguenza, è giusto escludere il presunto diritto della donna a un assegno di mantenimento .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 23 settembre – 4 novembre 2015, n. 22603 Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che in data 19 maggio 2015 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta Rilevato che 1. Il Tribunale di Novara, con sentenza del 23 giugno -- 2 luglio 2009, ha dichiarato la separazione dei coniugi L.M. e B.C. respingendo le reciproche domande di addebito e imponendo al C. un assegno mensile di mantenimento in favore della M. di 200 euro. 2. Ha proposto appello L.M. insistendo nella domanda di addebito e chiedendo che l'assegno mensile venisse elevato a 1.300 euro. 3. Ha proposto appello incidentale B.C. insistendo anch'egli nella domanda di addebito e chiedendo la revoca dell'assegno di mantenimento. 4. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 27/28 dicembre 2012 ha respinto il ricorso principale e accolto quello incidentale limitatamente alla revoca dell'assegno di mantenimento. 5. Ricorre per cassazione L.M. che si affida a due motivi di impugnazione. 6. Si difende con controricorso B.C. Ritenuto che 7. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 151 c.c., 143 c.c., 2697 c. c. nonché, ex art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame circa fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti. 8. il motivo, proposto ex art. 360 n. 3 c.p. c. è inammissibile perché non spiega in alcun modo le ragioni per cui ritiene violate le norme indicate nella rubrica cfr. Cass. Civ. sezione Sex. 6 -. 5 ord. n. 635 del 15 gennaio 2015 secondo cui Quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con 2`interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità . Il motivo proposto ex art. 360 n. 5 c.p.c. é inammissibile perché non indica il fatto la cui valutazione sarebbe stata omessa dalla Corte di appello. In sostanza il motivo consiste nel ritenere attendibile la deposizione della figlia della M., Viola Miglio, contrariamente a quanto ha fatto la Corte di appello che l'ha ritenuta mossa da animosità nei confronti del C. e comunque autrice di una deposizione che attesterebbe fatti tali da non concretare la gravità della condotta ascritta al marito della madre né valutabili come causa della intollerabilità della convivenza. Le censure mosse dalla ricorrente attengono in realtà alla congruenza e completezza della motivazione e come tali devono considerarsi inammissibili per erronea sussunzione del vizio di violazione di norme di diritto cfr. Cass. Civ. sezione III, n. 21099 del 16 settembre 2013 e per inottemperanza alle prescrizioni di cui al nuovo testo dell'art. 360 n. 5 c.p. c. Cass. Civ. S. U. n. 8053 del 7 aprile 2024 . 9. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell'art. 156 c.c. 10. Anche questo motivo di ricorso appare inammissibile per la mancanza, oltre che di una puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, della deduzione delle ragioni per cui le affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. Anche questo motivo consiste nella contestazione della motivazione della Corte di appello che secondo la ricorrente avrebbe completamente trascurato la stridente capacità reddituale delle parti. Anche a voler considerare tale censura nell'ottica di una possibile violazione dell'art. 156 c.c. deve rilevarsi come l'impugnazione non colga la ratio decidendi basata proprio su una puntuale comparazione dei redditi delle parti che seppure non uguali reddito mensile netto della M. di 1.400 euro a fronte del reddito mensile netto del C. di 2.600 euro sono resi pressoché corrispondenti dalla circostanza per cui il C. è obbligato al pagamento di una rata mensile di mutuo pari a 990 curo, un mutuo che gli ha consentito di acquistare dalla M. la metà della casa coniugale e ha consentito alla M. di acquisire una casa di proprietà in cui abitare dopo la separazione. La Corte di appello ne ha dedotto che i redditi spendibil dai due ex coniugi sostanzialmente si equivalgono e consentono ad entrambi una vita dignitosa e non sostanzialmente dissimile da quella condotta in costanza di matrimonio, circostanze che escludono il diritto della M. a un assegno di mantenimento gravante a carico del C 11. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l'impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso. La Corte condivide tale relazione e pertanto ritiene che il ricorso debba essere respinto con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 2.200 euro, di cui 200 euro per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma i quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma nella camera di consigl'o del 23 settembre 2015.