Revocata l’assegnazione della casa coniugale, la donna può trovare comunque una sistemazione decorosa

In caso di revoca dell’assegnazione della casa coniugale nel corso di un procedimento di separazione, l’ammontare dell’assegno di mantenimento del coniuge non deve essere sempre e comunque direttamente proporzionale al canone di mercato dell’immobile che il coniuge deve lasciare, potendosi ipotizzare una sistemazione diversa, in un’abitazione decorosa, anche se eventualmente più modesta.

Così ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15272/15, depositata il 21 luglio. Il caso. In un procedimento di separazione, la Corte d’appello di Roma, riformando la pronuncia del Tribunale capitolino, elevava l’importo dell’assegno mensile di mantenimento della moglie. Quest’ultima, poiché sostiene che tale ammontare sia comunque inferiore a quanto le spetterebbe, ricorre per cassazione. Mantenimento del tenore di vita. Sulla base di un orientamento consolidato Cass., n. 2156/10 , gli Ermellini ricordano che, anche in un procedimento di separazione, l’assegno mensile deve essere tale da poter mantenere il tenore di vita del coniuge durante la convivenza matrimoniale. Tuttavia, indice di questo tenore può essere la corrente diversità di situazione economica tra i coniugi Cass., n. 2156/10 . Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva considerato la posizione economica delle parti, di certo più vantaggiosa per il marito. Revoca dell’assegnazione della casa coniugale. Diversamente da quanto sostiene la donna, la Suprema Corte ritiene che il giudice di secondo grado, nel calcolo dell’assegno di mantenimento, ha tenuto in conto la revoca dell’assegnazione della casa coniugale, essendo divenuta la figlia dei coniugi economicamente autosufficiente. È noto che non può essere assegnata la casa coniugale al coniuge, qualora non vi siano figli comuni o questi abbiano raggiunto l’autonomia economica, ma, nel calcolare l’assegno di mantenimento che deve essere versato al coniuge economicamente più fragile e privo di casa, deve essere considerato lo svantaggio economico conseguente Cass., n. 9079/11 . Tuttavia, i giudici di legittimità precisano che a tal proposito, l’ammontare dell’assegno non deve essere sempre necessariamente direttamente proporzionale al canone di mercato dell’immobile che il coniuge deve abbandonare, potendo questo trovarsi una diversa sistemazione in un’abitazione comunque decorosa, anche se eventualmente più modesta. Di conseguenza, i giudici di merito hanno correttamente calcolato l’ammontare dell’assegno di mantenimento e per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso della donna.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 24 febbraio – 21 luglio 2015, n. 15272 Presidente Di Palma – Relatore Dogliotti Fatto e diritto In un procedimento di separazione tra T.B. e C.E. , la Corte d'Appello di Roma, con sentenza in data 21/02/2013,in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, emessa il 28/11/2008, ha elevato ad Euro 800,00 mensili l'assegno di mantenimento per la moglie. Ricorre per cassazione la moglie. Resiste con controricorso il marito, che pure propone ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva. Per giurisprudenza ampiamente consolidata, l'assegno per il coniuge, anche in sede di separazione, deve tendere al mantenimento del tenore di vita da questo goduto durante la convivenza matrimoniale, e tuttavia indice di tale tenore di vita può essere l'attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi Cass. N. 2156 del 2010 . Il giudice a quo esamina la posizione economica delle parti, sicuramente più vantaggiosa per il marito. Riconosce tuttavia che la moglie è titolare di immobili, seppur in parte improduttivi che il marito è titolare di pensione, avendo concluso la carriera diplomatica, nonché di redditi ulteriori da locazioni immobiliari. A differenza di quanto afferma la ricorrente, il giudice a quo ha tenuto nel debito conto la revoca dell'assegnazione della casa coniugale, avendo la figlia delle parti raggiunto l’autonomia economica. È vero che non può assegnarsi la casa coniugale al coniuge, ove manchino figli comuni ovvero questi siano diventati autosufficienti economicamente, ma, nel quantificare l'assegno di mantenimento dovuto al coniuge economicamente più debole e privo della casa, va considerato lo svantaggio economico conseguente tra le altre, Cass. N. 9079 del 2011 . Ma l'ammontare dell'assegno, al riguardo, non deve essere, sempre e comunque, direttamente proporzionale al canone di mercato dell'immobile che il coniuge deve lasciare, potendo ipotizzarsi una diversa sistemazione, in abitazione eventualmente più modesta, ancorché decorosa. È appena il caso di precisare che non vi è omessa pronuncia da parte della Corte di Appello dalla motivazione della sentenza impugnata emerge con chiarezza che il giudice a quo ha inteso elevare l'importo dell'assegno, rispetto a quanto statuito dal primo giudice, seppur di un importo, all'evidenza inferiore rispetto a quanto auspicato dall'appellante dal contesto motivazionale, emerge, seppur per implicito, che il giudice a quo ha tenuto conto della revoca dell'assegnazione della casa coniugale . Va altresì ricordato che, secondo giurisprudenza consolidata, il giudice di merito non deve necessariamente analizzare e discutere distintamente i singoli elementi di prova, ove sia, come nella specie, deducibile la ratio decidendi della sentenza, essendo egli, in ogni caso, libero di attingere il proprio convincimento da quelle risultanze che ritenga più idonee tra le altre, Cass. N. 6697 del 2009 . Va pertanto rigettato il ricorso principale, rimanendo assorbito quello incidentale condizionato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato condanna al ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00 comprensive di Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’art. 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.