Divorzio congiunto: ammissibile la revocazione per dolo anche in appello

Il vizio revocatorio può proporsi con i motivi di appello, con i quali si può censurare ogni profilo di ingiustizia della sentenza di primo grado, nessuno escluso.

Divorzio congiunto e impugnazione. Con la pronuncia n. 8096/2015, la Corte di Cassazione si pronuncia su interessanti questioni in tema di divorzio congiunto e mezzi di impugnazione, fornendo stimolanti spunti in ordine alla natura giuridica della fattispecie in esame. La questione sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità origina dall’impugnazione della sentenza di divorzio su domanda congiunta. In particolare la moglie impugnava in appello la sentenza in questione adducendo che il marito aveva con dolo sottaciuto la sua reale situazione economica, asserendo che era stato costretto ad alienare la società da lui controllata e di essere divenuto lavoratore dipendente della stessa, mentre in realtà la vendita della società era stata effettuata ad un prezzo irrisorio a persona che l’aveva successivamente venduta alla sua compagna e da quest’ultima al marito della ricorrente stessa. Inoltre il marito risultava titolare di un vasto patrimonio e di varie attività imprenditoriali che gli garantivano un alto tenore di vita. La Corte di Appello, in accoglimento della domanda pronunciava la revocazione della sentenza impugnata disponendo il prosieguo del giudizio per la determinazione dell’assegno di divorzio e per il mantenimento del figlio. Con differenti motivi di ricorso il marito impugna dinnanzi alla Corte di Cassazione la decisione di merito, censurando la sentenza per aver pronunciato la revocazione della pronuncia di divorzio congiunto, la quale a suo dire sarebbe sottratta al gravame proposto dalla moglie. La natura giuridica del divorzio congiunto. La Corte prende le mosse dalla natura giuridica del divorzio congiunto, affermando che nella separazione consensuale, come nel divorzio congiunto, le parti stipulano un accordo, di natura sicuramente negoziale che frequentemente, per i profili patrimoniali, si configura come un vero e proprio contratto, non essendo rilevante che l’accordo sia recepito con sentenza, in quanto la pronuncia del giudice risulta necessaria per lo scioglimento del vincolo matrimoniale, mentre il controllo del giudice sull’accordo è e resta un controllo esterno. Partendo da tale affermazione la pronuncia in esame ricorda che l’accordo in questione, in caso di nullità, potrebbe essere impugnato da chiunque vi abbia interesse, ed anche dalla parte che ha dato causa a tale nullità, e potrebbe altresì essere annullato in caso di incapacità o vizio della volontà. Tali vizi, aggiunge la pronuncia, non potrebbero tuttavia costituire motivo di impugnazione da parte dei soggetti dell’accordo, ma dovrebbero essere fatti valere in autonomo giudizio di cognizione Cass., n. 18066/2014 . Divorzio congiunto e revocazione. Su tale premessa la Corte passa a considerare in dettaglio la vicenda portata alla sua attenzione, ricordando che nel caso di specie il giudice di merito aveva qualificato l’impugnativa come revocazione per dolo, ai sensi dell’art. 395, n. 1, c.p.c. Prendendo le mosse da alcuni precedenti di legittimità, la Corte afferma quindi il vizio revocatorio può proporsi con i motivi di appello, con i quali si può censurare ogni profilo di ingiustizia della sentenza di primo grado, nessuno escluso Cass., n. 11697/2013 e Cass., n. 6322/1993 . Aggiunge peraltro la Corte che in caso di appello con cui si fa valere un vizio revocatorio opererà la disciplina propria di tale mezzo di impugnazione, non essendo necessaria procura speciale, non potendosi limitare l’impugnazione a trenta giorni dalla scoperta del dolo ed essendo pienamente ammissibile la produzione di documenti inerenti. Revocazione e acquiescenza tacita. Infine, la Corte esclude, altresì, che nel caso di specie possa rilevare l’acquiescenza tacita, ricordando che per giurisprudenza consolidata Cass., S.U., n. 12339/2010 e Cass., n. 13630/2009 questa va considerata con particolare rigore, sussistendo solo quando la parte ponga in essere atti dai quali sia possibile desumere in maniera circostanziata ed univoca il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia. Ricorda al riguardo la pronuncia in esame che l’acquiescenza tacita è stata esclusa in caso di spontanea esecuzione della pronuncia e di accettazione dei pagamenti ed afferma quindi che, nel caso di specie, si deve escludere che vi sia stata acquiescenza tacita.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 22 gennaio – 21 aprile 2015, n. 8096 Presidente Forte – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con sentenza in data 24/05/2006, il Tribunale di Ragusa, pronunciando su domanda congiunta, dichiarava lo scioglimento del matrimonio tra L.A.A. e L.R.F. , e, recependo l'accordo tra le parti, affidava il figlio minore Alfredo alla madre, con facoltà del padre di averlo con sé nelle forme più ampie poneva a carico del L. la corresponsione alla moglie di un assegno mensile di Euro 1.500,00, per essa e per i figli, assegnava alla L.R. la casa coniugale, limitatamente al primo piano, alla mansarda e ad uno dei garage, nonché gli arredi il L. cedeva altresì alla moglie la metà indivisa della casa di omissis e dell'usufrutto della propria abitazione. Con atto di appello, depositato in data 4/6/2007, la L.R. impugnava la predetta sentenza, sostenendo che il marito l'aveva ingannata sulla sua effettiva situazione economica, in quanto affermava di essere stato costretto a vendere una società da lui controllata e di essere divenuto lavoratore dipendente. Sosteneva l'appellante di aver appreso che la vendita della società era stata effettuata per un prezzo irrisoria a persona che l'aveva poi rivenduta all'attuale compagna del L. e da questa a lui stesso l'appellato risultava titolare di un vasto patrimonio e di varie attività imprenditoriali da cui ricavava cospicui introiti, con un elevato tenore di vita. Costituitosi il contraddittorio, il L. eccepiva l'inammissibilità, l'improcedibilità e comunque l'infondatezza dell'appello. La Corte di Appello di Catania, con sentenza in data 20.01.2011, accoglieva l'appello della L.R. e pronunciava la revocazione della sentenza impugnata, disponendo, con separata ordinanza, per il prosieguo della causa, al fine della pronuncia sull'ammontare dell'assegno per il mantenimento del figlio e di quello per il coniuge. Ricorre per cassazione il L. . Resiste con controricorso la L.R. . Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive. Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 324, 325, 326 e 327 c.p.c., affermando che la sentenza su conclusioni conformi e, in particolare, quella di divorzio congiunto non è soggetta ai normali mezzi di impugnazioni . Con il secondo, violazione degli artt. 325,326 c.p.c., relativamente ai termini per impugnare, essendo decorso termine breve , per conoscenza della sentenza da parte della L.R. . Con il terzo, violazione degli artt. 325, 326, 395 n. 1 e 396, secondo comma, c.p.c., relativamente al termine per impugnare trascorso, anche se si fosse trattato di procedimento di revocazione per dolo della parte. Con il quarto, violazione dell'art. 329 cpc, per intervenuta acquiescenza, da parte del coniuge che aveva richiesto la modifica delle condizioni di divorzio. Con il quinto, violazione degli artt. 395 n. 1 e 398 c.p.c., per carenza assoluta dei presupposti dell'impugnazione per revocazione. Con il sesto, violazione del art. 395 n. 1 c.p.c., escludendosi la sussistenza del dolo, con riferimento specifico alle difficoltà economiche del ricorrente e alla conseguente vendita della società. Con il settimo, contraddittoria motivazione in ordine a tali profili. È bensì vero che, in linea generale, non è ammessa impugnazione se una parte, od entrambe a seguito di accordo, non risultino soccombenti. D'altra parte, l’art. 5, comma 5, l. divorzio, prevede, apparentemente senza eccezioni, la possibilità di impugnazione, da parte di ciascun coniuge. Per il divorzio congiunto, tale previsione tuttavia come ha avuto modo di precisare recentemente questa Corte Cass. N. 18066 del 2014 riguarda situazioni particolari il primo giudice non ha recepito o ha recepito solo parzialmente l'accordo tra le parti, magari precisando che erano in questione diritti indisponibili o l’accordo stesso appariva in contrasto con l’interesse del minore, ovvero non era congrua” la corresponsione una tantum di somma, escludente, per il futuro, l’assegno divorzile. In tali casi, ovviamente, ciascuno dei coniugi od entrambi potrebbero impugnare la sentenza. Il Pubblico Ministero, ai sensi del art. 5, comma 5, predetto, può impugnare, limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli. Va interpretata in senso lato tale previsione, con riferimento al patrimonio del minore, al suo mantenimento, ai trasferimenti immobiliari o mobiliari che lo riguardano, ecc Nella separazione consensuale, cosi come nel divorzio congiunto, si stipula un accordo, di natura sicuramente negoziale tra le altre, Cass. n. 17607 del 2003 , che, frequentemente, per i profili patrimoniali, si configura come un vero e proprio contratto. Non rileva che, in sede di divorzio, esso sia recepito, fatto proprio dalla sentenza all'evidenza, tale pronuncia è necessaria per lo scioglimento del vincolo matrimoniale, ma, quanto all'accordo, si tratta di un controllo esterno del giudice, analogo a quello di separazione consensuale. Ove l'accordo o il contratto sia nullo, tale nullità potrebbe essere fatta valere da chiunque vi avesse interesse, e dunque anche da chi avesse dato causa a tale nullità. E tale accordo o contratto potrebbe essere oggetto di annullamento da parte del soggetto incapace o la cui volontà risulti viziata ad es. da un errore, magari sulla sussistenza dell'interesse del minore, ovvero dal dolo di una delle parti . Ma nullità o annullamento non potrebbero costituire motivo di impugnazione da parte dei soggetti dell'accordo da cui essi sono vincolati, ma dovrebbero essere fatti valere in un autonomo giudizio di cognizione in termini generali, Cass. n. 17607 del 2003 più specificamente, Cass. N. 18066 del 2014, predetta . Nella specie, la sentenza impugnata richiama esplicitamente i presupposti della revocazione ex art. 395, n. 1 cpc. Precisa infatti il giudice a quo che i motivi di impugnazione si inquadrano in tale fattispecie nella cui prospettazione è evidente l'interesse della L.R. a impugnare , e, ancora, che dal contenuto del ricorso emerge l'intenzione dell'appellante di impugnare il contenuto della sentenza di divorzio deducendo il dolo revocatorio aggiunge la sentenza che sussistano i presupposti di cui all'art. 395 n. 1 cpc nel dispositivo, la Corte di Appello pronuncia la revocazione della sentenza impugnata. Come è noto, le sentenze possono essere impugnate per revocazione se pronunciate in grado di appello ovvero nel giudizio di cassazione oppure se emesse in primo grado, a talune condizioni, quando siano passate in giudicato artt. 395, 396 c.p.c. . Questa Corte ha avuto modo di precisare tra le altre, Cass. N. 11697 del 2013 n. 6322 del 1993 che il vizio revocatorio e specificamente quello di cui all'art. 395, n. 1 cpc può proporsi con i motivi di appello, con i quali può censurarsi ogni profilo di ingiustizia della sentenza di primo grado, nessuno escluso . È appena il caso di precisare che, trattandosi, nella specie, di appello, con cui si fa valere un vizio revocatorio, dovrà necessariamente operare la disciplina di tale mezzo di impugnazione non occorrerà dunque procura speciale, atto di citazione, né si potrà limitare l'impugnazione a trenta gironi dalla scoperta del dolo. È appena il caso di precisare che, ove si ammetta, come ha riconosciuto più volte questa Corte, secondo quanto già sopra osservato, la possibilità di impugnare, con l'appello, un'ipotesi di dolo revocatorio, non si potrà, all'evidenza, parlare di domanda nuova , come sostiene il ricorrente, e sarà pienamente ammissibile la produzione dei documenti inerenti. Appaiono parimenti infondati i motivi proposti secondo e seguenti sulla asserita tardività dell'appello. Non era decorso il termine ad impugnare. Giurisprudenza consolidata di questa Corte chiarisce che l'art. 326, primo comma, c.p.c. ricollega il termine breve , non alla conoscenza, ancorché legale della sentenza, ma al compimento di una formale attività acceleratoria, espressa dalla notificazione della sentenza, nelle forme tipiche del processo di cognizione, al procuratore costituito tra le altre, Cass. n. 20684 del 2009 n. 6130 del 2011 . Né si potrebbe ipotizzare un'acquiescenza tacita alla sentenza questa, secondo giurisprudenza altrettanto consolidata tra le altre, Cass. S. U. n. 12339 del 2010, 13630 del 2009 va considerata con particolare rigore, sussistendo soltanto quando la parte ponga in essere atti dai quali sia possibile desumere in maniera circostanziata ed univoca il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia così si è affermato che non comporta di per sé acquiescenza la spontanea esecuzione della pronuncia, l'accettazione di pagamenti, ecc. Nella specie, dunque, le iniziative giudiziarie della L.R. la domanda di modifica delle condizioni di cui alla sentenza di divorzio congiunto , come invece sostiene il ricorrente, non potrebbe costituire acquiescenza. Va infine precisato che, con motivazione adeguata e non illogica, il giudice a quo, sulla base della istruttoria espletata, interrogatorio formale dell'odierno ricorrente e deposizioni testimoniali evidenzia la palese volontà del marito di sottrarre la propria società e i beni ad essa inerenti, alla valutazione del giudice per la determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli e di divorzio per la moglie. Chiarisce la sentenza impugnata che la prima acquirente della società Elettrica srl, D.S.G. , affermava di aver acquistato la società del L. , con denaro derivante dal proprio lavoro, ma non aveva specificato quale attività svolgesse dopo tredici giorni, rivendeva le quote societarie al medesimo prezzo a cui le aveva acquistate a P.O. , convivente del L. stesso e, a sua giustificazione, affermava - continua la pronuncia impugnata - che il padre le aveva intestato l'azienda di famiglia ma tale affermazione era contraddetta - aggiunge il giudice a quo - dai documenti in atti . Viene precisato altresì che la figlia delle parti Alessandra, dichiarava che, dopo il divorzio dei propri genitori, aveva appreso dal padre che la cessione della società era uno stratagemma per nascondere i propri redditi alla L.R. , e di ciò essa aveva avuto conferma, assistendo ad una telefonata. Conclude la Corte di merito, sostenendo il pieno accertamento del dolo del L. , che, per convincere la L.R. ad accettare la sua proposta di divorzio congiunto, aveva ceduto e poi riacquistato, tramite la propria convivente, la parte più cospicua del suo patrimonio, costituita dalle quote della Elettrica srl, operazione per la quale egli non era stato in grado di fornire alcuna plausibile spiegazione alternativa. Sussistono dunque, come precisa correttamente il giudice a quo, i presupposti del dolo processuale revocatorio, ai sensi dell'art. 395 n. 1 c.p.c., che si verificano, appunto, quando venga posta in essere intenzionalmente una attività fraudolenta consistente in artifici e raggiri, diretti ed idonei a paralizzare o sviare la difesa avversaria e ad impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale, e così pregiudicando l'esito del procedimento al riguardo, tra le altre, Cass. N. 9817 del 2005 . Vanno pertanto dichiarati infondati tutti i motivi del ricorso, e, conclusivamente, questo va rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.