Se il marito rivuole i soldi, deve superare la presunzione di contitolarità

Nei confronti dei beni cointestai ai coniugi vige la presunzione di comproprietà ai sensi dell’art. 1298 c.c Per cui non potrà chiedere il recupero di tali beni il marito che non dimostri di esserne l’esclusivo proprietario.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 23002, depositata il 29 ottobre 2014. Il caso. Una donna aveva presentato ricorso per la separazione personale con addebito al marito questo, poi, nelle more del processo di separazione, aveva sottratto tutti i beni costituenti il patrimonio mobiliare comune titoli di credito e depositi bancari , perciò la donna chiedeva la condanna del marito alla restituzione dell’importo del capitale sottratto. Il convenuto si costituiva in giudizio contestando la fondatezza della pretesa attorea. I beni non erano di esclusiva proprietà del marito. Il Tribunale adito condannava il convenuto, in quanto l’uomo si era appropriato di somme e titoli facenti parte della comunione legale e quindi spettanti allo stesso non in toto ma nella misura del 50%. L’uomo, infatti, non aveva provato che le somme fossero di sua esclusiva proprietà. La Corte d’appello confermava la condanna ma diminuiva la somma da erogare alla moglie. I giudici di merito avevano rilevato che essendo i titoli di credito e i depositi bancari cointestati, andava applicata la presunzione di comproprietà ex art. 1298 c.c., non superata dal convenuto. Erano stati ricompresi nella comunioni beni di esclusiva proprietà del marito? Ricorreva allora in Cassazione l’uomo, lamentando la violazione degli artt. 177 oggetto della comunione , 191 scioglimento della comunione , 192 rimborsi e restituzioni , 194 divisione dei beni della comunione e 1298 rapporti interni tra debitori o creditori solidali c.c., per aver la sentenza impugnata ricompreso, erroneamente, i beni di sua esclusiva pertinenza, costituiti essenzialmente da cespiti finanziari, tra quelli comuni ritenuti esistenti all’atto dello scioglimento della comunione legale. La presunzione era stata operata solo nei riguardi di beni cointestati. Il motivo è destituito di fondamento. Infatti, dal contenuto della pronuncia impugnata emerge che – spiega la Cassazione - la presunzione di contitolarità di cui all’art. 1298 c.c. è stata, pure per il profilo argomentativo, irreprensibilmente applicata solo in riferimento ai cespiti cointestati conto corrente e libretto di risparmio per cui le doglianze che tale presunzione involgono ed avversano con riguardo invece a quelli in titolarità del solo marito devono essere disattese, al pari di quelle che solo genericamente e con rilievi nuovi o comunque privi di decisività inammissibile involgono sia la conclusione negativa in ordine al superamento da parte del medesimo della presunzione in questione e sia la riconduzione alla comunione dei titoli acquisiti in costanza di matrimonio ed intestati soltanto a lui . D’altra parte, l’espunzione dalla comunione de residuo dei titoli in questione e l’inclusione di essi nel novero di quelli contemplati dall’art. 177 c.c. è ineccepibile, e in linea con l’orientamento giurisprudenziale espressa dalla Cassazione, nella sentenza n. 5172/1992. Sulla base di tali argomenti la Corte Suprema rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 settembre – 29 ottobre 2014, numero 23002 Presidente Luccioli – Relatore Giancola Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 23.07.1998 B.I. adiva il Tribunale di Udine e, premesso di essersi coniugata con il convenuto P.D. in data 26.1.1957, che il regime patrimoniale fra gli stessi vigente era quello della comunione legale, che in data 5.9.1991 aveva presentato ricorso per la separazione personale con addebito al marito, che quest'ultimo, nelle more del procedimento di separazione, aveva sottratto tutti i beni costituenti il patrimonio mobiliare comune, consistente in titoli di credito e depositi bancari, chiedeva che il P. fosse condannato sia a restituirle l'importo capitale di L. 100.000.000 o di altro maggiore o minore, ritenuto di giustizia, con interessi, importo corrispondente al 50% delle somme di denaro portate da titoli di credito, presso la Cassa Rurale ed Artigiana di Marnano, costituenti il reddito di entrambi i coniugi in regime di comunione legale, e sia a restituirle il 50%,oltre interessi, del denaro, titoli di credito, conti correnti bancari e libretti al risparmio, depositati presso la Banca Popolare di Cividale. Si costituiva il convenuto contestando la fondatezza della pretesa attorea ed in particolare che i titoli di credito per L. 200 milioni facessero parte del patrimonio mobiliare comune e costituissero conseguentemente oggetto di comunione legale. Il Tribunale di Udine con sentenza parziale del 25.01.2001 dichiarava la proponibilità della domanda di ripetizione promossa dall'attrice, essendo stata la causa instaurata dopo il passaggio in giudicato del capo della sentenza relativo alla pronuncia di separazione personale dei coniugi, pur essendo tale diverso giudizio proseguito per le statuizioni relative agli obblighi di mantenimento. Il medesimo Tribunale con sentenza definitiva numero 335/2010, anche in base all'esito della rinnovata CTU contabile, condannava il convenuto a corrispondere all'attrice la somma di Euro 112.957,36, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale sino al saldo effettivo, nonché a rifonderle le spese processuali ed a pagare le spese di CTU. Osservava il Tribunale che dalla rinnovata CTU, le cui indagini e le cui conclusioni erano state condivise da entrambi i consulenti di parte, risultava confermato che i coniugi al momento dell'instaurazione del giudizio di separazione erano contitolari di diversi titoli e somme di denaro e che il convenuto, nei mesi immediatamente successivi alla comparizione davanti al Presidente del Tribunale per la separazione, si era effettivamente appropriato di somme e titoli facenti parte della comunione legale e quindi a lui pertinenti solo nella misura del 50%. Illustrate le consistenze patrimoniali alla data del 5.9.1991 - data in cui era stato presentato il ricorso per separazione - il Tribunale rilevava che in dipendenza della cointestazione dei conti e dei libretti era onere del convenuto dallo stesso non assolto provare che si trattava di denaro di sua esclusiva proprietà rilevava, altresì, che quanto ai titoli non cointestati, anche a voler sostenere che gli stessi erano stati acquistati con denaro personale del convenuto in quanto proveniente dai suoi redditi da lavoro, doveva trovare applicazione la regola di cui all'art. 177 c.c. lettera a , mentre non si configurava la fattispecie della c.d. comunione de residuo prevista dall'art. 177, comma primo, lettera c c.c., configurando le obbligazioni, le azioni, i fondi comuni di investimento et similia un investimento , ossia un acquisto come tale oggetto della comunione legale tra coniugi ai sensi della lettera a dell'art. 177 c.c Il medesimo Tribunale, premesso che al momento della comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale nel giudizio separatizio, momento a decorrere dal quale cessava l'operatività del regime di comunione legale, l'ammontare complessivo del patrimonio comune era pari ad Euro 225.914,73, importo che il convenuto aveva distratto in suo favore, affermava che all'attrice andava riconosciuto il 50% di tale somma, maggiorata di interessi legali dalla data della domanda giudiziale. Riteneva inoltre che da tale somma capitale non potesse essere detratta la quota del 50% dell'importo, peraltro esiguo, di titoli che erano risultati intestati alla moglie alla medesima data Azioni della Banca Popolare di Cividale per Euro 13.324,59 , non avendo il P. proposto alcuna domanda di ripetizione. Con sentenza del 7.12.2011 - 18.04.2012 la Corte di appello di Trieste, in parziale accoglimento del gravame proposto contro la sentenza definitiva numero 335/2010 dal P. , lo condannava a corrispondere alla B. la minore somma di Euro 106.295,06 oltre interessi legali dalla domanda. Relativamente alle spese processuali, per il primo grado riaffermava le statuizioni adottate dal Tribunale mentre condannava l'appellante a rifondere all'appellata i due terzi di quelle inerenti al grado d'appello, compensate per il restante terzo, in ragione dell'esito finale della lite. La Corte territoriale accoglieva solo l'ultimo dei quattro motivi dell'impugnazione, ritenendo - quanto al primo ed al terzo motivo, congiuntamente esaminati, che, benché il Tribunale avesse non condivisibilmente affermato che l'operatività del regime di comunione legale era cessata al momento della comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, anziché al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, la circostanza non comportava l'accoglimento del gravame, ma unicamente la conferma della sentenza con motivazione parzialmente diversa. Nella fattispecie l'operatività del regime di separazione legale era cessata il 3.6.1996 con il deposito del ricorso in appello da parte del P. , avente ad oggetto l'autonoma statuizione di addebito e quelle patrimoniali contenute nella sentenza numero 265/1996 emessa dal Tribunale di Udine, con acquiescenza ex art. 329, secondo comma, c.p.c. nei confronti del capo di sentenza che aveva pronunziato la separazione l'azione proposta dall'attrice trovando il suo fondamento nell'intervenuta distrazione dei beni mobili comuni da parte del marito, distrazione chiaramente allegata in atto di citazione di primo grado, non poteva essere qualificata come mera domanda di divisione, bensì anche - e prioritariamente - come domanda ex art. 192, primo comma, c.c., di rimborso alla comunione delle somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dalle obbligazioni previste dall'art. 186 c.p.c Esattamente, pertanto, il patrimonio comune era stato motivatamente ricostruito dal CTU con riferimento alla data del 5.9.1991 - di presentazione da parte della B. del ricorso per separazione personale - prima delle numerose operazioni di trasferimento di fondi e smobilizzo di investimenti successivamente poste in essere dal P. . In tal modo, era stata ricostruita la consistenza patrimoniale della comunione, quale risultante - in esito ai rimborsi dovuti ex art. 192, primo comma, c.c. - alla data della sua cessazione 3.6.1996 . Quanto alle disponibilità di denaro depositate nel conto corrente e nel libretto di risparmio, il Tribunale aveva esattamente rilevato - con affermazione dall'appellante non sottoposta a tempestiva censura - che essendo gli stessi cointestati, andava applicata la presunzione di comproprietà di cui all'art. 1298 c.c., non superata dal convenuto. Quanto, invece, alla rivendicata appartenenza dei titoli di cui si discute in causa alla comunione de residuo, condivisibilmente il Tribunale aveva aderito all'orientamento espresso in sede di legittimità. - Il secondo motivo d'appello era infondato. Il Tribunale aveva, infatti, rilevato che la CTU si era resa necessaria per una ricostruzione tecnica dei vari movimenti e spostamenti di disponibilità presso i diversi istituti bancari e non aveva avuto fini meramente esplorativi, posto che l'attrice, sin dall'atto di citazione, in via istruttoria aveva chiesto che venissero acquisite dalle banche le contabili relative alle varie operazioni, al fine di ricostruire le operazioni poste in essere negli anni immediatamente precedenti e successivi alla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale per la separazione. Il quarto motivo d'appello era, invece, fondato. Poteva, invero, ritenersi che nella richiesta - contenuta in comparsa di costituzione di primo grado - di considerare facente parte della comunione legale il controvalore delle azioni della Banca Popolare di Cividale detenute dalla B. e vendute nel mese di agosto 1992 per L. 25.800.000, pari ad Euro 13.324,59, fosse ricompresa - e presupposta - la richiesta di restituzione alla comunione del predetto importo, ex art. 192, primo comma, c.c Avverso questa sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria e notificato il 28.11-3.12.2012 alla B. , che l'11.01.2013 ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Preliminarmente in rito deve essere disattesa l'eccezione svolta dal P. d'inammissibilità del controricorso per inesistenza della relativa notificazione, in quanto attuata presso la Cancelleria di questa Corte di legittimità e non presso il suo indicato indirizzo di posta elettronica certificata. Poiché nel ricorso il P. non aveva eletto domicilio in Roma ma indicato il suo indirizzo di posta elettronica certificata, in effetti, ai sensi dell'art. 366, comma secondo, c.p.c., nel testo introdotto dalla legge numero 183 del 2011 applicabile ratione temporis , la notificazione del controricorso non sarebbe potuta validamente avvenire presso la Cancelleria di questa Corte, essendo tale formalità attualmente rituale solo se il ricorrente non solo non proceda all'elezione di domicilio in Roma ma inoltre non indichi il suo indirizzo postale certificato cfr anche Cass. SU numero 10143 del 2012 Cass. numero 26696 del 2013 Cass. numero 5457 del 2014 , come invece era nel caso avvenuto. Tuttavia la notifica del controricorso erroneamente attuata dalla B. presso la Cancelleria di questa Corte deve ritenersi non inesistente ma nulla, essendo stata comunque compiuta con formalità irrituali ma consentite dalla legge per portare l'atto a conoscenza del destinatario, e, dunque, aventi un qualche collegamento con questo conseguentemente, malgrado l'invalidità della notifica, si rende applicabile il principio di cui all'art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., secondo cui ove l'atto sia tempestivamente venuto a conoscenza del destinatario, la nullità non può essere dichiarata per il raggiungimento dello scopo cfr Cass. numero 5457 del 2014 . In effetti, nella specie la nullità conseguente alla notifica del controricorso deve ritenersi sanata per il fatto che il P. ha eccepito nella memoria solo l'inesistenza di tale notifica, perciò da lui evidentemente acquisita, e non ha nemmeno allegato di avere avuto conoscenza tardiva del controricorso, così dimostrando che la notifica in questione ha raggiunto il suo evidenziato scopo cfr Cass. numero 3455 del 2007 . A sostegno del ricorso il P. denunzia 1. Nullità del procedimento art. 360 numero 4 c.p.c. per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti art. 101 e 183 c.p.c. in relazione all'art. 360 numero 4 c.p.c In subordine, nullità del procedimento per vizio di ultrapetizione art. 112 c.p.c., in riferimento alla qualificazione della domanda introduttiva non come mera domanda di divisione, bensì come domanda ex art. 192 primo comma c.c., di rimborso alla comunione delle somme da lui prelevate dal patrimonio comune. Il motivo in tutte le sue articolazioni non merita favorevole apprezzamento. I giudici d'appello hanno mantenuto ferma e non mutato ex officio la qualificazione resa dal Tribunale della domanda proposta dalla B. nei confronti del marito. In base al chiaro tenore letterale delle pretese dell'attrice, già il Tribunale aveva inteso la sua domanda introduttiva come domanda restitutoria pro quota dei beni che in tesi costituivano il patrimonio mobiliare comune e che il marito aveva sottratto dopo il 5.9.1991, data in cui era stato presentato il ricorso per separazione personale di tale domanda i medesimi giudici d'appello si sono limitati a ribadire e chiarire in via esegetica l'articolato contenuto, non solo confermandone l'indole non prettamente divisoria presumibilmente sostenuta dal P. , ma anche, senza alterare causa petendi e petitum , individuandone il fondamento normativo e precisando le implicazioni giuridiche e fattuali. Al riguardo oltre a confermare la soddisfatta necessità del previo giudicato separatizio, hanno irreprensibilmente sottolineato l'esigenza di accertare, sia pure in via induttiva, la reale consistenza del patrimonio in comunione legale tra i coniugi all'atto dello scioglimento di tale regime, ossia al 3.6.1996, data di formazione di detto giudicato, in tale limitata prospettiva certativa valorizzando, stante l'indebita successiva distrazione dei beni comuni da parte del P. , la composizione del compendio alla data anteriore del 5.09.1991, che i primi giudici avevano erroneamente pure assunto come legalmente rilevante ai fini divisori e restitutori cfr., tra le altre, Cass. numero 18564 del 2004 . Per tali ragioni, ancorate come detto alla confermata esegesi della domanda introduttiva ed all'individuazione delle relative implicazioni giuridiche, consentite dal principio iura novit curia , e, dunque, senza nemmeno che il decisum involgesse nuove questioni soggette a previa segnalazione alle parti o comportasse ultrapetizione, i giudici d'appello hanno sul punto corretto la motivazione dell'impugnata sentenza di primo grado e ritenuto recepibile, nonostante la discrepanza temporale, l'esito della svolta consulenza tecnica d'ufficio. 2. Violazione degli artt. 2697 c.c. e 61, 155 e 191 c.p.c. unitamente a insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riguardo al rigetto del secondo motivo d'appello inerente all'ammissione della C.T.U. ed al recepimento del relativo esito da parte del Tribunale, in tesi irrituali per essersi l'indagine posta in funzione di ricerca della prova e non come semplice supporto di natura tecnica per la conoscenza di elementi già acquisiti al processo. Il motivo non ha pregio. Premesso che l'esperimento di una consulenza tecnica d'ufficio al pari dell'adozione dell'ordine di esibizione, è rimesso, anche con riguardo alla tempistica, alla discrezionalità del giudice del merito, le proposte censure in parte si sostanziano in inammissibili, nuove o generiche ragioni di dissenso dall'assunzione di tale iniziativa da parte dei giudici di primo grado e dalla condivisione del relativo esito per altro verso, i giudici d'appello appaiono avere puntualmente, plausibilmente e condivisibilmente chiarito le ragioni per le quali la consulenza tecnica contabile era stata legittimamente disposta dal Tribunale e non finalizzata alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non allegati né provati dalla B. , con suo indebito esonero dall'onere di dimostrare quanto assumeva in tema cfr, tra le altre, Cass. numero 6155 del 1999 numero 20695 del 2013 . 3. Violazione degli artt. 177, 191, 192, 194 e 1298 c.c. , con conclusiva deduzione dell'erronea ricomprensione di beni di sua esclusiva pertinenza, essenzialmente costituiti da cespiti finanziari, tra quelli comuni ritenuti esistenti all'atto dello scioglimento della comunione legale, ossia al 3.6.1996. Il motivo, in tutte le dedotte articolazioni, non è suscettibile di accoglimento. Il ricorrente ripropone in parte doglianze da disattendere per le medesime ragioni di sfavorevole apprezzamento dei precedenti motivi per il resto prospetta inammissibili o infondate mere critiche e censure riferite alla sorte sia dei beni cointestati ad entrambe le parti che di quelli di cui figurava unico intestatario. Dal contenuto dell'impugnata pronuncia emerge che la presunzione di contitolarità di cui all'art. 1298 c.c. è stata, pure per il profilo argomentativo, irreprensibilmente applicata solo in riferimento ai cespiti cointestati conto corrente e libretto di risparmio , per cui le doglianze che tale presunzione involgono ed avversano con riguardo invece a quelli in titolarità del solo P. devono essere disattese, al pari di quelle che solo genericamente e con rilievi nuovi o comunque privi di decisività inammissibilmente involgono sia la conclusione negativa in ordine al superamento da parte del medesimo P. della presunzione in questione e sia la riconduzione alla comunione dei titoli acquisiti in costanza di matrimonio ed intestati soltanto a lui. D'altra parte anche la confermata espunzione dalla comunione de residuo dei titoli in questione e l'inclusione di essi nel novero di quelli contemplati dalla lettera a e non e dell'art. 177 c.c. appare ineccepibilmente in linea con l'orientamento giurisprudenziale già espresso da questa Corte cfr. Cass. numero 5172 del 1999 numero 21098 del 2007 . 4. Violazione degli artt. 91 e 336 c.p.c. per essersi i giudici d'appello conclusivamente sottratti all'obbligo di rideterminare ex novo il regolamento delle spese di primo grado. Il motivo deve essere disatteso giacché i giudici d'appello non hanno tralasciato di riesaminare lo statuito regime delle spese di primo grado, pervenendone alla conferma pur considerando l'esito del grado d'appello. Conclusivamente il ricorso del P. deve essere respinto, con condanna del soccombente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il P. al pagamento in favore della B. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.500,00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 52, comma 5, del D.Lgs. numero 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.