Matrimonio breve, ma il marito non scappa dall’assegno

La breve durata del matrimonio può incidere sul quantum dell’assegno di mantenimento, non sul diritto a riceverlo.

Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21597, depositata il 13 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Messina sanciva il diritto per una donna all’assegno di mantenimento a carico dell’ex-marito, il quale ricorreva in Cassazione, deducendo, da una parte, il periodo limitato di convivenza matrimoniale e, dall’altra, lo scarso contributo alle esigenze familiari. Quanto, non se. Tuttavia, i giudici di legittimità ricordano che la breve durata del matrimonio può incidere sul quantum della somma, non sul diritto all’assegno. Infatti, l’assegno di mantenimento deve tendere al mantenimento del tenore di vita goduto dal coniuge durante la convivenza indice di tale tenore può essere anche l’attuale disparità di posizioni economiche tra i due coniugi. Ciò è quanto era stato accertato dai giudici di merito, che avevano verificato la perdita dell’attività lavorativa, in concomitanza con la cessazione della convivenza, con in più la necessità di trovare dei stabili punti di riferimento nella famiglia d’origine. Inoltre, la Corte aveva tenuto conto della capacità lavorativa, manifestata in passato dalla donna. Esigenze di famiglia. Anche il profilo sullo scarso contributo alle esigenze di famiglia un altro profilo che, comunque, incide solo sul quantum veniva giudicato irrilevante, in quanto l’uomo non ne aveva provato l’esistenza. Al coniuge richiedente è, infatti, richiesto semplicemente di dimostrare la mancanza di mezzi e l’impossibilità di ovviarvi. Infine, rigettando il ricorso, la Corte di Cassazione ricorda che, nella quantificazione dell’assegno divorzile, il giudice di merito può basare la propria decisione soltanto su alcuni dei parametri stabiliti dall’art. 5 l. n. 898/1970.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 8 luglio – 13 ottobre 2014, n. 21597 Presidente Di Palma – Relatore Dogliotti In un procedimento di divorzio tra C.L. e R.S., la Corte d'Appello di Messina con sentenza del 26/06/2012, riformava la sentenza del locale Tribunale, in punto assegno per la moglie. Ricorre per cassazione il marito. Resiste con controricorso la moglie. Non si ravvisano violazioni di legge. Quanto all'assegno per il coniuge, per giurisprudenza ampiamente consolidata, l'assegno deve tendere al mantenimento del tenore di vita da questo goduto durante la convivenza matrimoniale, e tuttavia indice di tale tenore di vita può essere l'attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi Cass. N. 2156 del 2010 . In sostanza il ricorrente propone profili e situazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una sentenza caratterizzata da motivazione adeguata e non illogica. Il giudice a quo, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha preso in considerazione la limitata durata della convivenza matrimoniale, ma ciò attiene al quantum, e non al diritto all'assegno. Sull'asserito scarso contributo alle esigenze della famiglia, semmai avrebbe dovuto fornire idonea prova il ricorrente, dovendo il coniuge richiedente limitarsi a provare la mancanza di mezzi e l'impossibilità di ovviarvi ma anche il profilo inerente al contributo alla famiglia attiene al quantum . La disparità di posizioni economiche tra le parti, a favore del marito, appare sussistente, secondo quanto indicato dalla Corte di merito, e viene giustificata dallo stesso giudice, con motivazione adeguata,¡ l'allontanamento della moglie da Verona, e la perdita di una attività lavorativa, sostanzialmente in concomitanza con la cessazione della convivenza con il marito, avendo rimasta sola, necessità di trovare stabili punti di riferimento nella famiglia di origine a Messina. In ogni caso, il giudice a quo tiene conto della capacità lavorativa , manifestata in passato dall'odierna resistente. E' appena il caso di precisare che, secondo l'insegnamento di questa Corte tra le altre, Cass. N. 5178 del 2012 , nella quantificazione dell'assegno di divorzio , il giudice del merito non deve necessariamente riferirsi a tutti i parametri di cui all'art. 5 L. Divorzio, potendo dare prevalenza anche soltanto ad alcuni o ad uno di essi. Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in E. 2.000,00 per compensi, e. 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell'art. 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.