Se la funzione genitoriale non è irrecuperabilmente compromessa non può essere pronunciata l'adottabilità del minore

Il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine rappresenta un diritto fondamentale riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali e dal diritto italiano. Ciò implica che se la funzione genitoriale non è irrecuperabilmente compromessa, l'adottabilità del minore non può essere pronunciata in assenza della preventiva verifica della possibilità del recupero di tale funzione, da compiere attraverso l'attuazione di un valido progetto programmato e posto in essere dalle autorità pubbliche competenti, progetto che il giudice ha il dovere di valutare e monitorare nella sua esecuzione sino alla decisione finale del procedimento.

Con la sentenza n. 21110, depositata il 7 ottobre 2014, la Suprema Corte è tornata ad occuparsi dei principi e dei criteri per l'accertamento dello stato di abbandono e per la dichiarazione di adottabilità, ribadendo che l'interesse superiore è sempre quello del minore. Il fatto. Il Tribunale per i minorenni di Torino aveva dichiarato lo stato di adottabilità di un minore nato in Italia da genitori stranieri, sul presupposto che il bambino era stato sottoposto ad un grave rischio sanitario da parte della madre che aveva negato la propria sieropositività ed interrotto i rapporti con il reparto malattie infettive dell'ospedale , che la madre avesse rifiutato di vivere in comunità con il bambino e, infine, che le due figlie minorenni della stessa coppia erano già state dichiarate adottabili. Per i giudici piemontesi, come accertato a seguito degli incontri con gli operatori sociali, al minore non poteva essere offerto uno spazio affettivo, perché i genitori mancavano di capacità genitoriale e, peraltro, vivevano avulsi dal contesto dei connazionali immigrati in Italia. La sentenza di primo grado veniva confermata anche in sede d'appello. Ricorrevano per cassazione i genitori del minore e si difendeva con controricorso il curatore speciale del minore. La reale efficacia” della consulenza tecnica. Ritengono i ricorrenti che l'intera procedura di merito, avvenuta in presenza di un atteggiamento assolutamente penalizzante da parte dei servizi sociali e di un'indagine peritale svolta con modalità insoddisfacenti, abbia tradito la finalità di sostenere in modo adeguato le loro risorse genitoriali, rendendo di fatto impossibile l'instaurazione di un rapporto significativo con il figlio. I ricorrenti, oltre ad invocare la nullità dell'intero procedimento per mancata traduzione in una lingua a loro conosciuta, lamentano, in particolare, i limiti della espletata C.T.U. che si è limitata ad una singola osservazione genitori-figlio ed ad un unico colloquio individuale limitato, peraltro, da problemi linguistici, atteso che il consulente era affiancato da un mediatore culturale e non da un interprete. I genitori lamentano, inoltre, che il bambino sia stato allontanato da loro dopo soli cinque giorni dalla nascita e lo abbiano potuto rivedere solo dopo due mesi in incontri in luogo neutro e con modalità molto restrittive ogni quindici giorni per appena mezz'ora , incontri che i servizi sociali interrompevano arbitrariamente non appena il bambino veniva inserito in una famiglia idonea all'adozione. Nonostante tali circostanze, il consulente del giudice ha ritenuto sussistere i presupposti per affermare acriticamente che il minore aveva un contatto con i genitori privo di affettività ed emozioni. Il consulente, però, non ha ritenuto di dover tenere conto delle valutazioni compiute dal Servizio di Neuropsichiatria Infantile a seguito dell'osservazione della coppia genitoriale e del bambino durata oltre un anno che avrebbe potuto chiarire una serie di circostanze, quali lo sforzo dei genitori di ricongiungersi con i propri familiari che avevano intenzione di raggiungerli dal Bangladesh. Peraltro, i ricorrenti, evidenziano che la consulenza era stata senza prendere in considerazione l'aspetto socio-culturale di provenienza della coppia, tanto che è stata addirittura confusa la loro l'area geografica di provenienza, ed erano stati definiti dal C.T.U. come cingalesi, anziché bengalesi. Il ruolo proattivo del giudice e l'interesse del minore. I giudici di legittimità, dopo aver precisato che nel nostro ordinamento non è prevista in linea generale la traduzione degli atti e delle decisioni giurisdizionali per le parti di cittadinanza straniera che non abbiano adeguata conoscenza della lingua italiana atteso che la fase giurisdizionale è caratterizzata dalla obbligatorietà della difesa tecnica e dalla possibilità del ricorso al patrocinio a spese dello stato, strumenti – attuativi dei precetti costituzionali stabiliti negli articoli 24 e 111 Cost. – che giustificano adeguatamente la mancata traduzione e, peraltro, nei procedimenti rivolti alla dichiarazione di adottabilità vi è l'ulteriore garanzia della nomina del difensore d'ufficio fin dall'apertura del procedimento nell'ipotesi in cui i genitori del minore non vi provvedano sono passati ad un esame unitario dei motivi del ricorso, ribadendo che in questo tipo di procedimenti, di grande delicatezza e difficoltà di valutazione, il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine rappresenta un diritto fondamentale e ciò implica che se la funzione genitoriale non è irrecuperabilmente compromessa, l'adottabilità del minore non può essere pronunciata in assenza della preventiva verifica della possibilità del recupero di tale funzione, da compiere attraverso l'attuazione di un valido progetto programmato e posto in essere dalle competenti autorità pubbliche. Tale progetto deve essere valutato e monitorato dal giudice sino alla decisione del procedimento e, di conseguenza, l'oggetto del procedimento deve essere più articolato e il giudice, oltre a verificare la funzionalità del progetto di recupero della funzione genitoriale, deve svolgere, unitamente agli operatori sociali e psicologici, un ruolo proattivo, apportando anche le modifiche necessarie al procedimento di verifica. Tanto al fine di garantire, attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere le situazioni di disagio familiare, la preminenza del diritto prioritario del minore a crescere nella sua famiglia di origine. Il compito del servizio sociale nell'individuare i casi di abbandono. Di conseguenza, il compito del servizio sociale non è solo finalizzato a rilevare le insufficienze del nucleo familiare, ma è, soprattutto, quello di concorrere con interventi di sostegno utili, ove possibile, a rimuoverle. Pertanto, la situazione di abbandono ricorre nel caso di rifiuto ostinato a collaborare con gli operatori sociali o qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico. In tali casi l'unico strumento per evitare più gravi pregiudizi al minore è la rescissione del legame familiare. Nella fattispecie all'attenzione della Suprema Corte, non appaiono però essere state realizzate le condizioni essenziali – ottenibili solo all'esito di una rigorosa verifica delle potenzialità di recupero della capacità genitoriale – per consentire al giudice di merito di escludere l'interesse del minore alla permanenza nel contesto familiare di origine. Tele circostanza è evincibile dalle stesse motivazioni della impugnata sentenza nella quale viene dato atto che la decisione ha risentito in maniera significativa della precedente decisione sull'adottabilità delle altre figlie, che la procedura sia stata particolarmente rapida ed il minore sia stato immediatamente inserito in una famiglia avente i requisiti per la futura adozione, che i servizi sociali hanno ristretto in maniera irragionevole e poco rispettose per i genitori le modalità ed i tempi degli incontri, che non vi è stata attenzione da parte del C.T.U. alla questione linguistica e al paese di provenienza dei genitori. Pertanto, la Suprema Corte ha ritenuto di accogliere il ricorso, atteso che le modalità con cui si è svolto il procedimento per l'accertamento dello stato di abbandono e per la dichiarazione di adottabilità sono da ritenersi incompatibili con i principi di salvaguardia dello stesso minore, poiché compromettono l'adeguata valutazione delle capacità genitoriali e delle potenzialità di recupero del rapporto genitoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 luglio – 7 ottobre 2014, numero 21110 Presidente Vitrone – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Tribunale per i minorenni di Torino, con sentenza del 24 agosto 2012, ha dichiarato lo stato di adottabilità del minore H.M. nato a omissis da A.H. e Ab.Ha. rilevando che il piccolo M. era stato esposto a un gravissimo rischio sanitario da parte della madre che aveva negato la sua sieropositività e interrotto i rapporti con il reparto malattie infettive dell'Ospedale, che la madre aveva rifiutato di vivere in comunità con il bambino e le sue due sorelline S.B. nata in omissis e H.H. nata a omissis dichiarate adottabili dal Tribunale per i minorenni di Torino con sentenza del 19 dicembre 2012 - 9 gennaio 2012 confermata dalla Corte di appello. 2. Il T.M. ha anche affermato che i genitori non possono offrire a M. uno spazio affettivo, come risulta dagli incontri tenutisi presso la Comunità, sono privi di capacità genitoriale, vivono isolati anche dal contesto dei connazionali immigrati in Italia. 3. La Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado. 4. Ricorrono per cassazione A.H. e Ab.Ha. affidandosi a otto motivi di impugnazione erroneamente numerati come sette nel ricorso . 5. Si difende con controricorso l'avv. D.L. curatore speciale del minore ed eccepisce l'inammissibilità del ricorso oltre a contestarne la fondatezza. 6. Con il primo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza impugnata e dell'intero procedimento articolo 360 numero 4 c.p.c. per mancata traduzione in una lingua conosciuta dai genitori. I ricorrenti, subordinatamente all'accertamento della mancata previsione, nella legislazione processuale e speciale in tema di adozioni, dell'obbligo di traduzione pongono alla Corte questione di costituzionalità degli articoli 10, 15 e 17 della legge numero 184/1983 e successive modificazioni per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. laddove non prevedono che i provvedimenti in materia di adottabilità relativi a figli minori di cittadini stranieri debbano essere tradotti in lingua a loro conosciuta. 7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti articolo 360 numero 5 c.p.c. in particolare omesso esame circa il richiesto espletamento di nuova C.T.U. Lamentano i ricorrenti che la C.T.U. si sia limitata a svolgere un'unica osservazione genitori-figlio e un solo colloquio individuale peraltro già depauperato da problemi linguistici che il C.T.U. sia stato affiancato da un mediatore culturale e non da un interprete che il piccolo M. sia stato allontanato dai genitori dopo soli cinque giorni dalla nascita quando ancora era in ospedale e che i genitori abbiano potuto vederlo solo dopo due mesi dalla nascita che i servizi sociali abbiano disposto incontri in luogo neutro con modalità assai restrittive visite quindicinali di appena trenta minuti che gli incontri siano stati interrotti, del tutto arbitrariamente dal Servizio Sociale, in difformità da quanto previsto dal Tribunale per i minorenni, dopo l'inserimento di M. in una famiglia idonea all'adozione che nonostante tali circostanze il C.T.U. abbia affermato acriticamente che il piccolo M. ha un contatto con i genitori privo di affettività e di emozioni. Lamentano inoltre i ricorrenti che la C.T.U. non abbia tenuto conto dell'osservazione della coppia genitoriale e del minore durata oltre un anno e compiuta dalla dr. Luciano del Servizio di Neuro Psichiatria Infantile N.P.I. nonché delle valutazioni da lei espresse e che la stessa C.T.U. non ha affatto tenuto in considerazione l'aspetto socio-culturale, l'ambiente di provenienza della coppia genitoriale e le influenze dei diversi modelli culturali ed educativi tanto da aver addirittura confuso l'area di provenienza degli odierni ricorrenti definiti dal C.T.U. come cingalesi anziché bengalesi. Ritengono i ricorrenti che una tale impostazione dell'intera procedura, in presenza di un atteggiamento assolutamente penalizzante tenuto dai servizi sociali, nonché lo svolgimento con modalità cosi insoddisfacenti dell'indagine peritale, abbia tradito la finalità di sostenere in modo adeguato le loro risorse genitoriali e ha reso di fatto impossibile l'instaurazione di un rapporto significativo dei genitori con il figlio. 8. Con il terzo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti articolo 360 numero 5 c.p.c. in particolare omessa audizione del sig. R.G. . I ricorrenti contestano l'affermazione della Corte di appello secondo cui sarebbe irrilevante accertare se la famiglia di A.H. fosse contraria al matrimonio con Ab.Ha. tanto da metterla al bando dopo le nozze. Secondo i ricorrenti infatti la mancata ammissione del mezzo di prova ha contribuito a far affermare ai giudicanti l'inesistente isolamento della coppia genitoriale dal suo stesso ambiente familiare. 9. Con il quarto motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti articolo 360 numero 5 c.p.c. in particolare omessa audizione della dottoressa Luciano dell'N.P.I. Violazione del contraddittorio. I ricorrenti ritengono ingiustificata la decisione di non procedere all'audizione della Luciano che aveva seguito a lungo il nucleo familiare e che avrebbe potuto chiarire una serie di circostanze quali lo sforzo dei ricorrenti di ottenere il ricongiungimento familiare con i parenti più stretti che avevano intenzione di raggiungerli dal omissis . 10. Con il quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Costituzione. Secondo i ricorrenti le circostanze negative esposte nei precedenti motivi di ricorso hanno determinato la compromissione del loro diritto di difesa in violazione delle citate disposizioni costituzionali. 11. Con il sesto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 8 della legge numero 184/1983, come modificata dalla legge numero 149/2001 articolo 360 numero 3 c.p.c. insussistenza dello stato di abbandono - mancata individuazione di strumenti di supporto alla genitorialità. Secondo i ricorrenti la Corte di appello ha violato le predette disposizioni di legge laddove ha ritenuto la sussistenza di uno stato di abbandono del minore, affidandosi a criteri presuntivi e non sulla base dell'accertamento di una situazione di irreversibile carenza di capacità genitoriale dei ricorrenti ma esclusivamente in relazione a difficoltà dovute a fattori socio-culturali e alla stessa condotta dei servizi sociali che hanno creato una situazione preclusiva all'instaurazione di un rapporto affettivo fra i genitori e il minore e non hanno fornito il sostegno necessario all'esercizio e al recupero della funzione genitoriale determinando in definitiva la lesione del diritto fondamentale del minore a vivere nella famiglia di origine. 12. Con il settimo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c. articolo 360 numero 3 c.p.c. erronea valutazione delle prove. Secondo i ricorrenti la sentenza della Corte di appello viola il dettato dell'articolo 116 c.p.c. in quanto il convincimento della Corte distrettuale è fondato pressoché esclusivamente sulla C.T.U. risalente a due anni orsono e carente per il mancato utilizzo di un interprete nonché limitata a un solo colloquio e ad una unica osservazione della relazione tra genitori e figlio, relazione già di per sé compromessa dalle stringenti e limitanti modalità degli incontri in luogo neutro. 13. Con l'ottavo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti articolo 360 numero 5 c.p.c. in particolare omesso esame circa la possibilità di un collocamento della madre con i tre figli minori in Comunità. I ricorrenti lamentano il mancato esame della richiesta difensiva di disporre il collocamento della madre in Comunità con i suoi tre figli e il fraintendimento circa il mai manifestato rifiuto di entrare con M. nella comunità in cui si trovavano le altre due figlie anch'esse interessate da un procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità. Ritenuto che 14. Va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso per invalidità della procura rilasciata al difensore dei ricorrenti in quanto priva del requisito della specialità. Secondo l'univoca giurisprudenza di questa Corte la riferibilità della procura al giudizio di legittimità è implicita nell'essere stata rilasciata a margine del ricorso per cassazione cfr. Cass. civ., sezione VI-1 numero 21205 del 11 settembre 2013 secondo cui la procura apposta sul ricorso per cassazione e autenticata da avvocato iscritto all'albo dei cassazionisti deve ritenersi speciale, ai sensi dell'articolo 365 cod. proc. civ., proprio in quanto incorporata ad esso e posta a margine dell'impugnazione articolo 83, comma terzo, cod. proc. civ. anche se il timbro prestampato nell'atto preveda che la legittimazione processuale è conferita al difensore nel presente giudizio in ogni suo grado e nell'eventuale opposizione all'esecuzione . 15. Sono inoltre infondate, per quanto si dirà in seguito, le eccezioni di inammissibilità per incontestabile conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza consolidata di legittimità e per esclusiva attinenza dei motivi di ricorso al merito della decisione. 16. Il primo motivo del ricorso per cassazione è infondato. Come è stato già rilevato da questa Corte nel nostro ordinamento non è prevista in linea generale la traduzione degli atti e delle decisioni giurisdizionali per le parti di cittadinanza straniera che non abbiano una adeguata conoscenza della lingua italiana salvo quanto previsto dall'articolo 122 c.p.c. sulla possibilità, per il giudice, in caso di audizione personale di una persona che non conosce la lingua italiana, di nominare un interprete. L'obbligo di traduzione è previsto sia in ordine a procedimenti non giurisdizionali privi della garanzia della difesa tecnica obbligatoria e caratterizzati dalla verosimile mancanza di conoscenza della lingua italiana come quelli, in tema di immigrazione, proposti dai richiedenti la protezione internazionale e come quelli relativi a provvedimenti amministrativi unilaterali espulsivi. Tale obbligo di traduzione cessa però nella fase giurisdizionale caratterizzata dalla obbligatorietà della difesa tecnica e dalla possibilità del ricorso al patrocinio a spese dello Stato. Questi strumenti, immediatamente attuativi dei precetti costituzionali stabiliti negli artt. 24 e 111 Cost. giustificano adeguatamente la mancata traduzione degli atti processuali e delle decisioni . Peraltro, nei procedimenti rivolti alla dichiarazione di adottabilità articolo 10, comma 2 della legge numero 183/1984 vi è l'ulteriore garanzia della nomina del difensore di ufficio fin dall'apertura del procedimento nell'ipotesi in cui i genitori del minore non vi provvedano Cass. civ. sezione I, numero 15457 del 7 luglio 2014 . 17. L'esame dei successivi motivi di ricorso deve essere effettuato unitariamente stante la loro stretta connessione e conduce a una valutazione di fondatezza del ricorso. 18. Come viene sempre ribadito in questo tipo di procedimenti, di grande delicatezza e difficoltà di valutazione, il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine rappresenta un diritto fondamentale riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali e dal diritto italiano. Ciò implica che se la funzione genitoriale non è irrecuperabilmente compromessa, l'adottabilità del minore non può essere pronunciata in assenza della preventiva verifica della possibilità del recupero di tale funzione, da compiere attraverso l'attuazione di un valido progetto programmato e posto in essere dalle autorità pubbliche competenti, progetto che il giudice ha il dovere di valutare e monitorare nella sua esecuzione sino alla decisione finale del procedimento. Ciò implica anche che l'oggetto del procedimento sia nello stesso tempo più articolato e eterogeneo rispetto a un processo civile di cognizione basato su uno schema avversariale e che presuppone una situazione di sostanziale parità di posizioni delle parti. Di questo particolare connotato e di questa specifica funzione del procedimento il giudice deve tenere conto non solo verificando la funzionalità del progetto all'effettivo recupero della funzione genitoriale ma anche svolgendo, unitamente agli operatori sociali e psicologici coinvolti nel procedimento, un ruolo proattivo inteso a sperimentare tutte le possibilità di successo del progetto e ad apportare tutte le modifiche che si rendano a tal fine necessarie nel corso della sua attuazione. 19. Questo ruolo e questa peculiarità del procedimento deriva, come si è detto, dalla preminenza del diritto del minore a vivere e crescere nella sua famiglia di origine. In particolare l'articolo 1 della legge 4 maggio 1983, numero 184 nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, numero 149 attribuisce al diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine un carattere prioritario considerandola l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico - e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la situazione di abbandono sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva Cass. civ., sezione I, numero 7115 del 29 marzo 2011 . 20. Nel caso di specie non appaiono essere state realizzate le condizioni essenziali che, sole, possono consentire al giudice di escludere l'interesse del minore alla permanenza nel contesto familiare di origine, all'esito di una rigorosa verifica delle potenzialità di recupero della capacità genitoriale. Ciò può affermarsi sulla base del riscontro della motivazione della sentenza impugnata nella quale si da atto che a la decisione riguardante M. ha risentito in maniera significativa della precedente decisione relativa alle altre due figlie degli odierni ricorrenti ma nello stesso tempo non si è ritenuto opportuno trattare unitariamente i giudizi di adottabilità b la procedura si è svolta in maniera particolarmente rapida, in quanto M. è stato inserito in una famiglia avente i requisiti per la sua futura e eventuale adozione con il decreto di apertura della procedura stessa c i Servizi sociali hanno di fatto ristretto in maniera irragionevole, e poco rispettosa per le esigenze dei genitori, tempi e modalità degli incontri, rendendo di fatto molto difficile per i genitori avviare una relazione con il proprio figlio, inserito alla nascita in comunità d vi è stata scarsa ma ben si potrebbe dire che non vi è stata affatto attenzione, soprattutto da parte del CTU, alla questione linguistica e al paese di provenienza la C.T.U. ha dimostrato di non essere consapevole della nazionalità dei genitori di M. definiti cingalesi anziché bengalesi e si è avvalsa di un mediatore culturale incapace di comunicare adeguatamente con i genitori . 21. Tali condizioni di svolgimento del procedimento per l'accertamento dello stato di abbandono e per la dichiarazione di adottabilità sono incompatibili con i principi e i criteri sopra menzionati perché compromettono in radice una adeguata valutazione delle capacità genitoriali e delle potenzialità di recupero che costituiscono il presupposto richiesto dalla legge per poter dichiarare nell'interesse del minore la rescissione del suo legame con i genitori. 22. Va pertanto accolto il ricorso e rinviata la causa davanti alla Corte di appello di Torino che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione. Dispone che in caso di pubblicazione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo numero 195/2003.