Ancora sul riconoscimento delle “coppie di fatto”: confermata la legittimazione ad agire per il convivente more uxorio

La convivenza more uxorio, quale formazione sociale che dà vita ad un consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio del convivente e diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità. Tale interesse assume i connotati tipici di una detenzione qualificata che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Pertanto l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario ai danni del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio.

Il caso. Con la sentenza n. 19423/14, depositata il 15 settembre, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del tema della convivenza more uxorio e della rilevanza del rapporto ai fini dell’esperimento di azioni possessorie. La pronuncia si pone in continuità con il precedente del 21 marzo 2013 n. 7214/13 e conferma la tendenza della Suprema Corte a riconoscere sempre maggiore importanza, anche a livello giuridico, alle coppie di fatto. Nel caso di specie, la convivente more uxorio chiedeva la reintegrazione nel possesso di un appartamento nel quale la coppia aveva vissuto come marito e moglie lamentando di esserne stata privata dall’erede del de cuius . Il resistente si opponeva spiegando che la convivente non sarebbe stata legittimata ad esperire l’azione possessoria nei suoi confronti perché egli era erede del proprietario che in vita la aveva ospitata” ed era altresì compossessore del bene stesso essendo succeduto nel possesso al defunto. Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello respingevano le tesi del resistente il quale ricorreva anche in Cassazione. L’azione di reintegra contro il sofferto spoglio da parte del convivente more uxorio. Come noto l’azione ex art. 1168 c.c. è esperibile sia dal possessore della cosa, sia dal detentore qualificato e consente a chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso, entro l’anno dal sofferto spoglio, di chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo. Ovviamente l’azione è proponibile anche nei confronti del proprietario che abbia cercato di farsi giustizia da solo riappropriandosi del suo bene, non essendo l’autotutela in linea di principio consentita. Come noto, possesso e detenzione sono due istituti giuridici distinti. Il primo individua la situazione di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale sulla cosa. La seconda ipotesi invece è quella di colui che esercita il potere di fatto sulla cosa altrui con l’intenzione di tenerla a propria disposizione in virtù di un diritto personale ad esempio il conduttore di un appartamento concesso in locazione dal proprietario . Premesso quanto sopra, rispetto all’azione ex art. 1168 c.c., in che condizione si pone il convivente more uxorio del proprietario del bene? Apparentemente egli non avrebbe nessun diritto e nessuna legittimazione ad agire, giacché la situazione in cui versa non corrisponde all’esercizio né di un diritto reale sul bene di proprietà esclusiva del partner , né di un diritto personale eventualmente derivante da un rapporto obbligatorio con il legittimo proprietario. Sul punto la Corte di Cassazione compie nuovamente come già avvenuto con la sentenza del 21.3.2013 una breve digressione sul riconoscimento giuridico della posizione dei conviventi more uxorio. In primo luogo la sentenza ovviamente precisa che la convivenza non può essere integralmente equiparata al matrimonio, essendo quest’ultimo fondato su un regime di stabilità e certezza prescritto dalla legge e certamente superiore a quello esistente in una coppia di fatto. Nel matrimonio inoltre sussistono reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che possono nascere solo dal rapporto di coniugio. Tuttavia anche le coppie di fatto” sono certamente caratterizzate da un’ affectio quotidiana seppure liberamente e in ogni momento revocabile che dà luogo a un vero e proprio consorzio familiare. Di più, come indicato nel precedente del marzo 2013, un simile rapporto costituisce una formazione sociale ormai di rilevanza costituzionale, a patto che si configuri come una relazione salda, duratura, caratterizzata da un legame sincero e connotata dai crismi della stabilità, esclusività e reciproca contribuzione e assistenza. In tale contesto, per similitudine con il matrimonio, i conviventi fissano una residenza abituale nella quale attuano il programma di vita comune. Da ciò discende in capo al convivente non proprietario dell’immobile un potere di fatto sullo stesso diverso e maggiore di quello che deriverebbe da ragioni di mera ospitalità. Tale potere in altre parole, assume proprio i connotati di una detenzione qualificata fondata su un negozio giuridico di tipo familiare, quale è ormai considerata la convivenza more uxorio . Ciò consente al convivente estromesso dal partner proprietario violentemente o clandestinamente dall’abitazione, di esperire i rimedi possessori dell’azione di reintegrazione. Pertanto anche nei casi in cui il rapporto di coppia entra in crisi, non è mai consentito al proprietario ricorrere alle vie di fatto ed estromettere l’ex partner dall’abitazione. Anzi, in ossequio ai principi di buona fede e correttezza che regolano anche la fase di cessazione della relazione di fatto”, il legittimo titolare che vuole giustamente rientrare nella piena ed esclusiva disponibilità di un bene di sua proprietà, deve, quanto meno, comunicare il proprio intento all’altra parte e concedere un termine congruo per reperire un’altra sistemazione. Nel caso di specie gli Ermellini compiono un passo ulteriore. L’azione di spoglio è infatti concessa al convivente quale detentore qualificato non solo contro il partner proprietario, ma anche nei confronti degli eredi dello stesso ed altresì nei riguardi di terzi che tentino di estrometterlo. Il fatto poi che l’erede affermasse di essere compossessore e successore nel possesso del bene non escludeva certo la legittimazione ad agire del convivente more uxorio nei termini sopra descritti.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 luglio – 15 settembre 2014, numero 19423 Presidente Bursese – Relatore Proto Svolgimento del processo Con ricorso del 24/3/2003 S.I. chiedeva la reintegrazione nel possesso di un appartamento e relative pertinenze essendone stata privata da R.L. che vi si era introdotto clandestinamente impedendole l'accesso. La ricorrente esponeva di essersi unita in matrimonio religioso con dispensa da trascrizione, sin dal 1977 con D.V.D. , il quale, deceduto il omissis , l'aveva istituita usufruttuaria dell'appartamento suddetto che costituiva la loro casa ove convivevano come marito e moglie. Nella fase a cognizione sommaria il giudice accoglieva il ricorso e successivamente il Collegio rigettava il reclamo del resistente. Nella fase di merito, espletata l'istruttoria, il Tribunale con sentenza del 17/4/2004 accoglieva la domanda possessoria e ordinava a R.L. di reintegrare S.I. nel possesso. R. proponeva appello che era rigettato dalla Corte di Appello di Torino con sentenza del 22/2/2007. La Corte territoriale rilevava - che la ricorrente, in quanto convivente more uxorio e quindi detentore qualificato era legittimata ad agire con l'azione di spoglio - che era irrilevante, ai fini di precludere l'esercizio dell'azione, la qualità di erede del resistente, che non era possessore quando era in vita il de cuius, ma solo ospite per il rapporto di parentela con il nonno D.V.D. - che inoltre il resistente non aveva ragione di far valere la sua qualità di erede in quanto il thema decidendum era limitato al compossesso tra le parti come dedotto dal R. - che non era decorso l'anno dal sofferto spoglio - che la ricorrente non aveva volontariamente abbandonato l'alloggio, ma viveva altrove proprio a causa dello spoglio subito. R.L. ha proposto ricorso affidato a due motivi. S.I. è rimasta intimata. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100, 112, 342 c.p.c. e 1140, 1168 e 1170 c.c. sostenendo che la S. , in quanto convivente more uxorio, non sarebbe stata legittimata ad agire con l'azione possessoria nei suoi confronti perché egli era erede del proprietario convivente che la ospitava e, comunque, compossessore, essendo succeduto nel possesso aggiunge che la S. avrebbe avuto altrove la propria residenza. Il ricorrente, formulando i quesiti di diritto ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione temporis , chiede - se il convivente more uxorio sia o meno legittimato all'azione possessoria - se tale azione possa essere esercitata nei confronti dell'altro convivente ospitante e nei confronti degli eredi di costui. 1.1 Il motivo, con riferimento al vizio di motivazione è inammissibile per l'assoluta mancanza del momento di sintesi. Le censure trascurano che, nel vigore dell'art. 366-bis c.p.c., il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c., deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione e pertanto la relativa censura deve essere accompagnata da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità il motivo, cioè, deve contenere - a pena d'inammissibilità - una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all'illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l'ammissibilità del ricorso Cass. S.U. 20/05/2010 numero 12339 Cass. 4/2/2008 numero 2652 Ord. Cass. S.U. 1/10/2007 numero 20603 . Il motivo, con riferimento alla violazione delle norme indicate nell'epigrafe del motivo e nell'ambito delimitato dai quesiti di diritto, è infondato perché le ragioni giuridiche addotte a sostegno del motivo trovano confutazione, in diritto, nella giurisprudenza di questa Corte ai quesiti deve quindi rispondersi affermando che il convivente more uxorio è legittimato all'azione possessoria e che tale azione possa essere esercitata nei confronti dell'altro convivente ospitante e nei confronti degli eredi di costui. Questa Corte, infatti, già con sentenza 21/3/2013 numero 7214 ha affermato che la convivenza more uxorio , quale formazione sociale che da vita ad un consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità e tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Pertanto l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio. Nel precedente testé richiamato si è dato conto della diversità della convivenza di fatto, fondata sull' affectio quotidiana ma liberamente e in ogni istante revocabile di ciascuna delle parti, rispetto al rapporto coniugale, caratterizzato, invece da stabilità e certezza e dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio si è tuttavia osservato che questa distinzione non comporta che il rapporto del soggetto con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà dell'altro convivente, si fondi su un titolo giuridicamente irrilevante quale l'ospitalità, anziché sul negozio a contenuto personale alla base della scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare, nei casi in cui l'unione, pur libera, che abbia assunto - per durata, stabilità, esclusività e contribuzione - i caratteri di comunità familiare pertanto in questi casi, anche dopo la dissoluzione del rapporto di coppia così stabilizzato nel caso qui in esame per la morte del convivente non è consentito al convivente proprietario nel caso qui in esame all'erede che subentra nell'identica posizione ricorrere alle vie di fatto per estromettere l'altro dall'abitazione, perché il canone della buona fede e della correttezza, dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento, impone al legittimo titolare che intenda recuperare, com'è suo diritto, l'esclusiva disponibilità dell'immobile, di avvisare e di concedere un termine congruo per reperire altra sistemazione. La legittimazione all'azione di spoglio da parte del convivente more uxorio è stata poi ritenuta applicabile anche qualora lo spoglio sia compiuto da un terzo nei confronti del convivente del detentore qualificato del bene Cass. 2/1/2014 numero 7 . L'azione è comunque esperibile anche nei confronti dell'erede del proprietario il quale, pur subentrando per fictio iuris nel possesso del de cuius non è legittimato ad estromettere dal possesso con violenza o clandestinità colui che non poteva esserne estromesso dal de cuius . Il ricorrente richiama inoltre un certificato di residenza secondo il quale la residenza della S. sarebbe in altro luogo trattandosi di questione di fatto non può essere esaminata in questa sede di legittimità tenuto conto che nella sentenza impugnata sono stati evidenziati elementi idonei per la prova della relazione di fatto con l'immobile v. pagg. 11 e 12 nei riferimenti al trasporto di effetti personali e alla presenza nell'alloggio dei mobili della convivente e dell'inammissibilità per mancanza del momento di sintesi della censura di vizio di motivazione. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1146 c.c. e il vizio di motivazione. Il ricorrente sostiene - che la Corte di Appello ha violato il principio dell'art. 1146 c.c. secondo il quale il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione - che pertanto egli era succeduto nel medesimo possesso o compossesso del defunto D.V. e la Corte di Appello avrebbe dovuto rigettare la domanda possessoria per essere egli possessore o quanto meno compossessore dell'immobile - che era contraddittoria, omessa o insufficiente la motivazione per la quale il thema decidendum doveva essere limitato all'accertamento dell'eventuale sussistenza della situazione di compossesso tra le parti, in quanto la situazione di compossesso era quella indicata negli atti difensivi di primo grado nei quali si invocava la qualità di erede e la successione nel possesso o compossesso. Il ricorrente, formulando i quesiti di diritto ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis , chiede - se il possesso dell'autore si trasferisca o meno all'erede senza soluzione di continuità ed anche senza che l'erede abbia avuto il possesso del bene - se l'erede può invocare i principi di cui all'art. 1146 comma II c.c. unicamente agli effetti dell'usucapione oppure anche, in via di azione o eccezione nelle azioni a tutela del possesso. 2.1 Il motivo, con riferimento al vizio di motivazione è inammissibile per l'assoluta mancanza del momento di sintesi sul punto si richiamano i precedenti giurisprudenziali e i principi già enunciati al precedente punto 1.1. Va comunque osservato che la motivazione, pur sintetica, si collega alla motivazione della sentenza di primo grado trascritta a pag. 20 del ricorso secondo la quale egli non aveva mai agito in qualità di erede e il ricorrente non può far valere tale sua qualità neppure nella fase di merito si intende il merito possessorio la questione riproposta con il motivo di ricorso attinge quindi l’interpretazione dell'iniziale domanda e la motivazione della Corte di Appello si salda con la più completa motivazione del primo giudice, espressamente richiamata. Il motivo, con riferimento alla violazione dell'art. 1146 c.c. è infondato perché l'azione possessoria, come detto in precedenza, avrebbe potuto essere esercitata anche nei confronti del convivente more uxorio, ancorché proprietario, ove avesse estromesso come ha fatto l'erede l'odierna intimata con clandestinità dall'unità abitativa e pertanto anche all'erede è precluso estromettere con violenza o clandestinità colei che esercitava sull'immobile un potere di fatto basato su di un interesse proprio e fondato su una relazione di convivenza meritevole di tutela. In ogni caso, la reintegrazione deve avvenire nella stessa situazione di fatto esistente al momento dello spoglio, nella quale la S. , dopo la morte del convivente, esercitava un potere di fatto basato su una detenzione qualificata senza la presenza di altri e la disposta reintegrazione non contrasta con la previsione di cui all'art. 1146 comma II c.c. tenuto conto che per effetto di una fictio iuris , il possesso del de cuius si trasferisce agli eredi i quali subentrano nel possesso del bene anche senza necessità di una materiale apprensione così che, mancando il precedente possesso corpore , la materiale apprensione con esclusione del detentore qualificato è stata legittimamente sanzionata con l'ordine di reintegrazione. Pertanto il primo quesito non è pertinente perché, pur essendo corretto affermare che il possesso dell'autore si trasferisce all'erede senza soluzione di continuità ed anche senza che l'erede abbia avuto il possesso del bene, ciò non preclude, per le ragioni già dette, l'azione di spoglio della convivente more uxorio nei confronti dell'erede del proprietario che non era nel possesso dei beni del de cuius prima della sua morte ciò essendo stato escluso con valutazione di merito in entrambi i gradi del giudizio . Egualmente inconferente rispetto alla concreta fattispecie anche il secondo quesito con il quale si chiede se l'erede può invocare i principi di cui all'art. 1146 comma II c.c. unicamente agli effetti dell'usucapione oppure anche, in via di azione o eccezione nelle azioni a tutela del possesso nella specie il ricorrente non ha esercitato una azione a tutela del possesso, ma è ricorso a vie di fatto estromettendo dall'immobile la detentrice qualificata ed ha operato una materiale apprensione del bene illegittima per le sue modalità. 3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato non si pronuncia condanna alle spese in quanto la parte intimata e non soccombente non ha svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.