Matrimonio religioso pre legge sul divorzio, legittimo lo scioglimento deciso dai giudici nazionali

Respinte le obiezioni della donna, che contestava la cessazione degli effetti civili del vincolo coniugale, richiamando la propria fede religiosa e il fatto che lei e il marito, all’epoca, prima della legge sul divorzio, avevano assunto un impegno irrevocabile.

Libera Chiesa in libero Stato , sosteneva, con convinzione, Camillo Benso conte di Cavour. E questo principio, oramai acclarato, e ‘sigillato’ anche dai Patti lateranensi, vale anche sul tema, sempre delicato, del matrimonio. Per essere chiari, la distinzione tra Stato e Chiesa non può vacillare di fronte alla granitiche convinzioni religiose della donna, che pretende, erroneamente, di mettere in discussione la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato col suo oramai ex marito in Chiesa Cassazione, ordinanza n. 18647, sez. VI Civile, depositata oggi . Pre divorzio. A considerare assolutamente inutili le proteste della donna – una anziana signora di quasi 80 anni – per la cessazione degli effetti civili del matrimonio - celebrato precedentemente alla legge sul divorzio – hanno già provveduto i giudici di merito. Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che la convinzione religiosa in ordine all’indissolubilità del matrimonio non riguarda la cessazione degli effetti civili, in quanto, con essa, il vincolo religioso non è messo in discussione, venendo a cessare solo gli effetti della trascrizione del matrimonio contratto in forma concordataria nei registri dello stato civile . E da questo punto di vista, hanno chiarito i giudici, ribattendo alle obiezioni della donna, la legge statale non interferisce con il diritto della persona ad appartenere ad una formazione sociale, né lede la sovranità della Chiesa, che ha competenza esclusiva solo in tema di matrimonio religioso . Chiesa e Stato. Secondo la donna, però, è erronea la prospettiva adottata dai giudici italiani. Innanzitutto perché non hanno considerato che i coniugi avevano celebrato e voluto un matrimonio indissolubile, con la conseguenza che la successiva legge sul divorzio non poteva né doveva interferire con il precedente irrevocabile accordo . In più, aggiunge ancora la donna, è stato così ingiustificatamente compresso il diritto ad esplicare la propria sfera religiosa mediante il canone dell’indissolubilità del matrimonio e leso il diritto a professare la propria fede religiosa, dal momento che il matrimonio come sacramento costituisce atto di culto . Ma anche in terzo grado le proteste dell’anziana donna si rivelano assolutamente prive di senso. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, come già evidenziato in Appello, è acclarata la non interferenza della cessazione degli effetti civili del matrimonio con l’indissolubilità del vincolo religioso , anche tenendo presente che sì per la Chiesa il matrimonio costituisce anzitutto ed essenzialmente un sacramento , ma ciò non implica affatto che, in questa sua figura e con le connesse caratteristiche di indissolubilità, esso sia stato altresì riconosciuto come produttivo di effetti civili dallo Stato . Fondamentale è distinguere tra il vincolo religioso e la sfera di autodeterminazione ad esso propria e gli effetti civili . Proprio alla luce di questa ottica, sono da respingere, in toto, in via definitiva, le proteste della donna rispetto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei contratto in Chiesa.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 11 luglio – 3 settembre 2014, n. 18647 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Brescia ha respinto l'appello proposto da R.V. avverso la sentenza del giudice di primo grado con la quale è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla medesima contratto con G.D. con rinvio per le disposizioni patrimoniali. La Corte territoriale ha rigettato l'impugnazione fondata sull'omessa motivazione in ordine all'indissolubilità del vincolo e all'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della l. n. 898 del 1970 in correlazione con gli art. 2, 7, 19 della Costituzione. A sostegno della decisione assunta è stato affermato che la convinzione religiosa in ordine all'indissolubilità del matrimonio non riguarda la cessazione degli effetti civili del medesimo, in quanto con essa il vincolo religioso non è messo in discussione venendo a cessare solo gli effetti della trascrizione del matrimonio contratto in forma concordataria nei registri dello stato civile. Ne consegue la manifesta infondatezza dell'eccezione d'illegittimità costituzionale sollevata dall'appellante dal momento che la legge statale non interferisce con il diritto della persona ad appartenere ad una formazione sociale né lede la sovranità della chiesa che ha competenza esclusiva solo in tema di matrimonio religioso. Su domanda della parte appellata è stata riconosciuta ai sensi dell'art. 96 cod. proc civ. la somma di E 3000 attesa l'assoluta infondatezza delle questioni proposte e la loro esclusiva funzione di rallentamento della conclusione dei procedimento. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione R.V., affidato a quattro motivi. Ha resistito con controricorso il D Nel primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata per non aver considerato che i coniugi avevano celebrato e voluto un matrimonio indissolubile con la conseguenza che la successiva legge sul divorzio non poteva né doveva interferire con il precedente accordo irrevocabile. Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di violazione di legge per non avere la pronuncia di secondo grado accertato l'effettiva insussistenza della comunione di vita limitandosi al riscontro della condizione temporale. Nel terzo motivo viene prospettata l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della I. n. 898 dei 1970 in ordine ai parametri dell'art. 2, 7 e 19 Cost. per essere stato ingiustificatamente compresso il diritto ad esplicare la propria sfera religiosa mediante il canone dell'indissolubilità dei matrimonio per aver violato la sovranità della Chiesa cattolica pure riconosciuta dai Patti Lateranensi e dall'art. 7 Cost per avere ingiustificatamente leso il diritto a professare la propria fede religiosa, dal momento che il matrimonio come sacramento costituisce atto di culto. Nel quarto motivo viene dedotta la violazione dell'art. 96 cod. proc. civ. per non avere la Corte d'Appello fatto riferimento al parametro della colpa grave necessario per sancire il diritto al risarcimento del danno ex art. 96. Il ricorso è manifestamente infondato in ordine a tutti i motivi formulati. Quanto al primo la Corte d'Appello ha ampiamente ed esaurientemente motivato in ordine alla non interferenza della cessazione degli effetti civili dei matrimonio con l'indissolubilità del vincolo religioso. Quanto al secondo perché correttamente la Corte d'Appello ha verificato la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge, ovvero la ricorrenza di uno dei presupposti indicati nell'art. 3 I. n. 898 dei 1970, ed in particolare, il protrarsi della separazione per il tempo stabilito dalla legge. La declaratoria giudiziale non è automatica ma non può fondarsi su accertamenti diversi da quelli rigorosamente e tassativamente richieste dalla legge. Il terzo motivo è manifestamente infondato in quanto le rilevate eccezioni d'illegittimità costituzionale sono state affrontate e definitivamente ritenute insussistenti. Al riguardo la Corte Costituzionale con la sent. n. 169 dei 1971, ha affermato Come emerge dai lavori preparatori, con i Patti Lateranensi lo Stato non ha assunto l'obbligo di non introdurre nel suo ordinamento l'istituto del divorzio. Non può argomentarsi in contrario dal riferimento dell'art. 34 al sacramento del matrimonio , giacché l'espressione usata ben si spiega in un atto bilaterale, alla formazione del quale concorreva la Santa Sede, dal momento che, per la Chiesa, il matrimonio costituisce anzitutto ed essenzialmente un sacramento ma non implica affatto che, in questa sua figura e con le connesse caratteristiche di indissolubilità, esso sia stato altresì riconosciuto come produttivo di effetti civile dallo Stato. Ed infatti, l'espressione più non ricorre nell'art. 5 della legge 27 maggio 1929, n. 847, contenente disposizioni per l'attuazione del Concordato nella parte relativa al matrimonio, la quale più semplicemente stabilisce che il matrimonio celebrato davanti un ministro del culto cattolico, secondo le norme del diritto canonico produce, dal giorno della celebrazione, gli stessi effetti del matrimonio civile, quando sia trascritto nei registri dello stato civile secondo le disposizioni degli articoli 9 e seguenti . Anche la Corte di cassazione è pervenuta alla medesima conclusione con le pronunce n. 1965 dei 1976 e 4921 del 1978, quest'ultima così massimata E' manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità delle Disposizioni della legge 1 dicembre 1970 n 898, sui casi di scioglimento del matrimonio, sotto il profilo che le stesse, in quanto applicabili ai matrimoni contratti prima della loro entrata in vigore, implicherebbero violazione del principio di irretroattivita sancito dall'art 25 secondo comma della Costituzione, atteso che dette Disposizioni non attengono all'atto costitutivo del matrimonio, od alla sua disciplina, ne incidono sulla sua validità, ma riguardano esclusivamente gli effetti in atto del matrimonio stesso' Nessuno dei parametri costituzionali indicati dalla ricorrente risulta pertanto vulnerato, dovendosi distinguere il vincolo religioso e la sfera di autodeterminazione ad esso propria e gli effetti civili. Il quarto motivo, infine, è manifestamente infondato in quanto la Corte d'Appello ha specificamente individuato nella assoluta infondatezza dei motivi d'appello il profilo di colpa grave giustificativo della condanna ex art. 96 cod. proc. civ. non essendo necessario al fine dell'esecuzione e della completezza dell'accertamento la parafrasi della norma e la indicazione nominalistica della condicio legis. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Ritenuto che il Collegio aderisce senza rilievi alla relazione e deve essere applicato il principio della soccombenza in ordine alle spese di lite oltre all'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese dei presente procedimento che liquida in E 4000 per compensi E 100 per esborsi oltre accessori di legge. Dà atto che ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.