Se il progetto di recupero della funzione genitoriale fallisce, allora si può dichiarare l’adottabilità del minore

Il giudice può dichiarare l’adottabilità del minore, solo quando abbia verificato l’irrecuperabilità della funzione genitoriale e lo stato di abbandono del minore stesso. Il procedimento di accertamento dell’adottabilità deve prevedere un progetto atto a permettere di recuperare la funzione genitoriale, avendo il minore il diritto di vivere nella propria famiglia d’origine. Tale progetto deve essere portato avanti e vigilato oltreché dal Giudice anche dai servizi sociali, chiamati ad intervenire in modo attivo per far fronte alle esigenze primarie dei minori.

Così ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 16175, depositata il 15 luglio 2014. Il caso. Il Tribunale dei minori di Roma dichiarava l’adottabilità di due ragazzi minorenni, nominava come tutore il Sindaco e vietava il contatto con i genitori, confermando l’affidamento ai servizi sociali, oltre alla sospensione della potestà genitoriale. Rigettato l’appello proposto dalla madre, la stessa ricorreva in Cassazione. La ricorrente lamentava la violazione del diritto dei genitori alla piena e attiva partecipazione al procedimento, non avendo potuto partecipare a vari atti istruttori decisivi e non avendo goduto di alcuna interpretazione linguistica e mediazione culturale, utile all’interazione con gli operatori sociali coinvolti nel procedimento. Censurava, inoltre, il mancato accertamento da parte dei Giudici, ai fini di una eventuale dichiarazione di adottabilità, dell’irrecuperabilità delle capacità genitoriali della madre. E’ compito del giudice valutare l’irrecuperabilità o meno della funzione genitoriale. Il minore ha diritto a vivere nella propria famiglia di origine. Quindi, quando la funzione genitoriale non sia del tutto compromessa, quand’anche vi sia la possibilità di recuperare tale funzione attraverso un valido progetto programmato da parte delle autorità pubbliche competenti, non si può pronunciare l’adottabilità del minore. E’ onere del giudice valutare e monitorare il progetto di recupero sino alla decisione finale del procedimento. La specifica funzione del procedimento di accertamento dell’adottabilità. L’oggetto del procedimento per dichiarare o meno l’adottabilità di un minore è più articolato rispetto a quello di un processo civile di cognizione basato su uno schema avversariale. Il giudice è chiamato a verificare la funzionalità del procedimento, vigilando sul progetto per il recupero della funzione genitoriale, collaborando con gli operatori sociali coinvolti. I servizi sociali devono intervenire attivamente nel progetto di recupero. I servizi sociali devono rilevare le insufficienze presenti nella famiglia e concorrere al progetto di recupero dalla funzione genitoriale con un ruolo proattivo questi possono difatti apportare modifiche al progetto protese al successo dello stesso. Quando ricorre lo stato d’abbandono? E’ pacifico, d’altronde, che ricorra la situazione di abbandono del minore quando vi sia rifiuto ostinato a collaborare con i servizi sociali e quando la vita offerta dai genitori ai figli sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, da rendere necessaria la rescissione del legame familiare per evitare ulteriori pregiudizi Cass., n. 7115/2011 . La madre si era rivolta ai servizi sociali. Nel caso in esame la Corte rileva che non erano state realizzate e rispettate le condizioni essenziali per consentire al Giudice di escludere l’interesse del minore alla permanenza nel contesto familiare. Non era difatti stata valutata adeguatamente la posizione della madre, che dopo aver subito violenze e abusi sessuali, si era rivolta ai servizi sociali per ottenere un sostegno e per superare la situazione di difficoltà in cui si era trovata. La stessa donna aveva deciso di intraprendere una terapia psicologica. Emergeva quindi un atteggiamento positivo della donna a collaborare con gli operatori sociali, per il bene dei propri figli. Il procedimento seguito dal giudice di merito era inadeguato. La Cassazione ha rilevato l’inadeguatezza del procedimento seguito dai Giudici di merito. Il procedimento di accertamento dell’adottabilità del minore non può consistere in una neutrale attività di osservazione della famiglia. Il Giudice, coadiuvato dai servizi sociali, deve sperimentare tutte le possibilità di recupero della genitorialità. Il progetto di recupero può essere abbandonato solo se sia stata dimostrata l’irrecuperabilità della funzione genitoriale. Nel caso in esame, il progetto di recupero non aveva tenuto conto delle difficoltà linguistiche della madre. Era infatti mancata la mediazione culturale, necessaria per una proficua interazione fra la madre e gli operatori sociali. La Cassazione riconosce, quindi, che non era stata assicurata piena partecipazioni della ricorrente, necessaria invece per questa tipologia di procedimento. Sulla base di tali ragionamenti, la Corte accoglie il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 marzo – 15 luglio 2014, n. 16175 Presidente Forte – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Tribunale per i minorenni di Roma, con sentenza n. 454/12 del 16 ottobre - 26 novembre 2012, ha dichiarato l'adottabilità dei minori H.S.D.l.C.S.G. nata il omissis e di H.S.D.l.C.J.J. nato il omissis nominando come tutore provvisorio il Sindaco di Roma, disponendo divieto di contatto con i genitori e altre figure parentali, confermando l'affidamento ai servizi sociali e la sospensione della potestà genitoriale. 2. Ha proposto appello la madre D.L.C.A.J. , unitamente ai nonni materni dei minori D.L.C.A.F. e D.L.C.T.M. , e agli zii materni D.L.C.A.F. , D.L.C.M. . 3. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2842/13 del 9 aprile - 16 maggio 2013 ha respinto il gravame. 4. Ricorrono per cassazione A.D.C.J. , A.D.C.F. , D.C.T.M. affidandosi a tre motivi di impugnazione a violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 8, 10, 12, 15 comma 2 della legge n. 184 del 1983, violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione b nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'articolo 12 della legge n. 184/1983 in relazione agli artt. 1 e 8 e successive modifiche della legge n. 184/83, agli artt. 3, 5, 7, 18, 29 e seguenti della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge 176/1991 e all'articolo 360 n. 3 c.p.c. c violazione e falsa applicazione dell'articolo 1 della legge n. 184/1983, degli articoli 2 e 3 della Costituzione, degli artt. 3, 5, 7, 18, 29 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge n. 17 6/1991 e omessa motivazione sulla mancata concessione di istanze istruttorie. 5. D.C.M. originariamente ricorrente insieme alla madre e agli altri parenti dei minori si costituisce successivamente con memoria di costituzione di nuovo difensore. 6. Si difende con controricorso il curatore speciale D.C.C. . Ritenuto che 7. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano come, sia in primo grado che in appello, sia stato violato il loro diritto alla piena e attiva partecipazione al procedimento. In particolare deducono che non hanno potuto partecipare a vari atti istruttori decisivi, come la audizione della responsabile della casa famiglia, non hanno goduto di alcuna interpretazione linguistica e non hanno potuto far comprendere il loro contesto culturale e familiare attraverso nessuna forma di mediazione culturale utile all'interazione con gli operatori sociali coinvolti nel procedimento e alle decisioni dei giudici. 8. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa comunicazione, ex articolo 12 della legge n. 184/83, di una richiesta al Consolato delle Filippine per ottenere l'indicazione dei parenti sino al quarto grado che potessero occuparsi dei minori e contestano la fondatezza dell'affermazione della Corte di appello circa la non legittimazione degli zii materni D.C.F. e M. a proporre l'appello. 9. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano come la Corte di appello e prima ancora il T.M. non abbiano adempiuto al compito di accertare, ai fini di una eventuale dichiarazione di adottabilità, l'irrecuperabilità, in un tempo compatibile alle esigenze dei minori, delle capacità genitoriali della madre. 10. Il primo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, per una migliore analisi dei loro contenuti appaiono fondati per i seguenti motivi. 11. Come viene sempre ribadito in questo tipo di procedimenti, di grande delicatezza e difficoltà di valutazione, il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine rappresenta un diritto fondamentale riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali e dal diritto italiano. Ciò implica che se la funzione genitoriale non è irrecuperabilmente compromessa, l'adottabilità del minore non può essere pronunciata in assenza della preventiva verifica della possibilità del recupero di tale funzione, da compiere attraverso l'attuazione di un valido progetto programmato e posto in essere dalle autorità pubbliche competenti, progetto che il giudice ha il dovere di valutare e monitorare nella sua esecuzione sino alla decisione finale del procedimento. Ciò implica anche che l'oggetto del procedimento sia nello stesso tempo più articolato e eterogeneo rispetto a un processo civile di cognizione basato su uno schema avversariale e che presuppone una situazione di sostanziale parità di posizioni delle parti. Di questo particolare connotato e di questa specifica funzione del procedimento il giudice deve tenere conto non solo verificando la funzionalità del progetto all'effettivo recupero della funzione genitoriale ma anche svolgendo, unitamente agli operatori sociali e psicologici coinvolti nel procedimento, un ruolo proattivo inteso a sperimentare tutte le possibilità di successo del progetto e ad apportare tutte le modifiche che si rendano a tal fine necessarie nel corso della sua attuazione. 12. Questo ruolo e questa peculiarità del procedimento deriva dalla preminenza del diritto del minore a vivere e crescere nella sua famiglia di origine. In particolare l'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 attribuisce al diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine un carattere prioritario - considerandola l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico - e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la situazione di abbandono sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva Cass. civ., sezione I, n. 7115 del 29 marzo 2011 . 13. Nel caso di specie non appaiono essere state realizzate le condizioni essenziali che, sole, possono consentire al giudice di escludere l'interesse del minore alla permanenza nel contesto familiare di origine, all'esito di una rigorosa verifica delle potenzialità di recupero della capacità genitoriale. 14. Specificamente non risulta essere stata valutata adeguatamente la posizione di fragilità in cui la ricorrente ha dovuto affrontare il procedimento a seguito di una vicenda fortemente traumatica a cui ha dimostrato di saper comunque reagire proteggendo i figli e rivolgendosi ai servizi sociali per ottenere un sostegno indispensabile a superare la situazione di difficoltà in cui è venuta a trovarsi per responsabilità non propria. Questa necessaria considerazione avrebbe dovuto portare all'esercizio di un forte sostegno psicologico e materiale in favore di A.D.C.J. che ha avuto la forza e la determinazione di reagire alla violenza e all'abuso sessuale denunciato al centro antiviolenza e di preservare i suoi figli abbandonando con loro la residenza familiare, dimostrando così una fortissima motivazione a esercitare e recuperare, anche da sola, la funzione genitoriale. Questa necessità evidente di fornire a A.D.C.J. un adeguato supporto derivava e deriva anche dall'essere una persona di nazionalità filippina, incapace di parlare la lingua italiana e costretta a impegnativi orari di lavoro. La ricorrente, peraltro consapevole di tale necessità, ha deciso di attivarsi presso la ASL di appartenenza e ha intrapreso una terapia psicologica con il Dott. M.G. che ha certificato gli effetti positivi della terapia. Non risulta che il Dott. M. sia stato coinvolto e neanche sentito nel corso del procedimento. 15. Non è di competenza di questa Corte valutare se sia stata coerente, con la finalità sopra indicata come propria di questo procedimento, la scelta di optare immediatamente per una collocazione dei minori in comunità. Sicuramente deve ritenersi però, per quanto detto sinora, che tale scelta non poteva significare immediata rescissione del legame della madre con i figli ma piuttosto scelta temporanea per sperimentare le capacità di recupero creando le condizioni per riassorbire il trauma subito da A.D.C.J. . Su questa linea progettuale sembra potersi qualificare l'orientamento verso il ritorno dei bambini nell'ambiente familiare che si è realizzato, dopo il primo periodo vissuto in comunità, con la loro collocazione residenziale presso i nonni. Tale scelta è stata però smentita a seguito della verificazione di un episodio di intemperanza della nonna a un comportamento della nipote di ostinato rifiuto del cibo. Non è dato a questa Corte di valutare la correttezza della scelta di far ritornare i minori in comunità a seguito di tale episodio. Deve ribadirsi però che il procedimento di accertamento della adottabilità del minore non consiste, se non nel suo esito finale, in una neutrale attività di osservazione del nucleo familiare ma è necessariamente inteso a sperimentare tutte le possibilità di recupero della genitorialità e a fornire il sostegno necessario a comprendere e superare le difficoltà. Le difficoltà sperimentate nel corso del procedimento non possono infatti costituire una giustificazione per l'abbandono del progetto se non dimostrano l'irrecuperabilità della funzione genitoriale all'esito di un impiego delle risorse culturali e specialistiche che possono rendere possibile il loro superamento. 16. Rilevante appare anche la peculiarità del procedimento in esame sotto il profilo della difficoltà per la madre e per i suoi parenti di affrontare una situazione di per sé oggettivamente difficile in un paese straniero di. cui non conoscono, se non rudimentalmente la lingua, e che ha sicuramente importanti differenze socioculturali con il paese di origine. In questa prospettiva appare fondata anche la censura di inadeguatezza del procedimento per non aver assistito il progetto di recupero della genitorialità con un ausilio di mediazione culturale necessario per una proficua interazione fra la madre, il suo contesto familiare e gli operatori del servizio sociale e i responsabili della comunità in cui hanno vissuto i minori. 17. Per altro verso non sembra essere stata assicurata una piena partecipazione dei ricorrenti al procedimento laddove oltre a non investire tempestivamente la comunità familiare della ricorrente della richiesta di partecipazione attiva al procedimento non è stata altresì consentita la partecipazione all'audizione della responsabile della comunità. La piena articolazione del contraddittorio è infatti necessaria a inquadrare il procedimento nei canoni del giusto processo equilibrando la dialettica processuale ai fini di accertare efficacemente quale sia la decisione corrispondente all'interesse dei minori in un procedimento che vede i genitori investiti di una richiesta di accertamento che può incidere profondamente sui loro legami familiari. 18. L'accoglimento dei motivi di ricorso sin qui discussi determina l'assorbimento del secondo motivo e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.