Il padre naturale non può proporre opposizione di terzo

Contro la sentenza di disconoscimento della paternità, colui che è indicato come padre naturale, e per lui i suoi eredi, non sono legittimati a proporre il giudizio di opposizione di terzo.

Tra il procedimento di disconoscimento della paternità legittima e quello instaurato per il riconoscimento della paternità naturale non sussiste un nesso di pregiudizialità, dal momento che il solo oggetto di quest’ultimo è costituito per il padre biologico dal suo diritto ad escludere la paternità naturale ex adverso pretesa, non anche da quello a vedere affermata la paternità disconosciuta nell’altro procedimento. D’altra parte, né colui che sia indicato come padre naturale, né i suoi eredi, sono legittimati passivi nel giudizio di disconoscimento della paternità e la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento è opponibile nei confronti di tali soggetti, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio. Inoltre, neppure è ammissibile nel giudizio per il disconoscimento della paternità l’intervento di colui che è indicato come padre naturale, non potendo la controversia sul relativo riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di legittimità della filiazione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento dell’azione di riconoscimento. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 487, depositata Il 13 gennaio 2014. La predetta sentenza nega l’esistenza di una legittimazione a proporre il procedimento di opposizione di terzo avverso la sentenza di disconoscimento della paternità in capo a colui che viene indicato come padre naturale e per lui i suoi eredi sul presupposto che questi nel dedurre che l’esito positivo dell’azione di disconoscimento di paternità si proietterebbe sulla successiva azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita, in realtà, a far valere un giudizio di mero fatto. Il rimedio contemplato dall’art 404 c.p.c. invece, presuppone in capo all’opponente un diritto autonomo la cui tutela sia da ritenersi incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata. Il caso. La controversia trae origine dal giudizio di opposizione di terzo intentato oltre che dal Procuratore Generale presso la competente corte territoriale dagli eredi del de cuius avverso la sentenza che aveva accolto la domanda di disconoscimento di paternità proposta da un soggetto nei confronti del presunto padre. Il Tribunale dichiarava inammissibili le opposizioni sul presupposto della carenza di legittimazione in capo agli opponenti in quanto non titolari di un diritto autonomo ed incompatibile con quello oggetto della sentenza di disconoscimento della paternità. La Corte territoriale, previa riunione dei giudizi scaturenti dai gravami proposti dagli opponenti, confermava la decisione di primo grado. Gli opponenti, pertanto, proponevano ricorso per cassazione. Presupposto dell’opposizione di terzo il pregiudizio diretto. Nello specifico, la Corte territoriale aveva confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che il rimedio dell’opposizione di terzo può essere esperito nei casi tassativi in cui dal giudicato possa derivare un pregiudizio diretto. Tale pregiudizio non poteva essere in alcun modo ravvisato nel caso de quo , atteso che, colui indicato come padre naturale nell’ambito della sentenza di disconoscimento della paternità, escluso peraltro, dal novero dei soggetti indicati dall’art. 244 cod. civ., risultava essere privo di legittimazione in quanto, non già direttamente, bensì solo mediatamente interessato agli effetti della decisione di disconoscimento dell’altrui paternità. Gli Ermellini, nel condividere in toto quanto affermato dai giudici di appello, rilevano che ai sensi dell’art. 404 c.p.c. un terzo può proporre opposizione avverso la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva, pronunciata tra altri soggetti solo nei casi in cui tale sentenza sia lesiva dei suoi diritti. Infatti, il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità nega non solo la legittimità, ma anche la possibilità di intervento in appello nell’ambito del giudizio di disconoscimento di paternità da parte del padre naturale, in quanto tale legittimazione viene riconosciuta ai sensi del citato articolo, esclusivamente a favore di chi possa far valere un diritto autonomo ed incompatibile con il rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza opposta cioè, come già detto, solo a favore di chi si veda pregiudicato in un suo diritto. Difatti, la circostanza che la sentenza di disconoscimento faccia stato erga omnes potrà comportare lesioni nei confronti dei singoli soggetti estranei al rapporto in questione, nella peggiore delle ipotesi, solo di natura non giuridicamente apprezzabile. Peraltro, appare pacifico ritenere che costoro non possano aver titolo a dolersi del fatto che un presunto figlio abbia fatto valere in giudizio il proprio diritto all’accertamento della verità biologica circa la propria origine. Soggetti legittimati a proporre l’azione di disconoscimento di paternità Com’è noto il novero dei soggetti legittimati a proporre l’azione di disconoscimento di paternità è una scelta insindacabile del legislatore che ha ritenuto di riservare ai soli soggetti interessati, e cioè ai membri della famiglia legittima, il potere di decidere circa la prevalenza della verità biologica o di quella legale. Un’innovazione che attribuisse direttamente la legittimazione attiva a soggetti privati estranei alla famiglia legittima nella specie, il presunto padre naturale e per lui i suoi eredi certamente rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato ad un’ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, scelta pertanto, che solo il legislatore ha il potere di compiere. Infine, gli Ermellini hanno ritenuto manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale introdotta dai ricorrenti circa la lamentata privazione di ogni forma di tutela in loro a favore scaturente dall’impossibilità per gli stessi di esperire il rimedio dell’opposizione di terzo avverso una pronuncia, a loro dire, frutto di dolo di una parte. La predetta questione di legittimità è infondata in quanto la stessa si basa su di un’inammissibile confusione tra carenza di legittimazione a proporre opposizione di terzo e diritto di difesa. La sentenza de qua stabilisce infatti che i ricorrenti non hanno titolo ad opporsi alla pronuncia di accoglimento della domanda di disconoscimento di paternità proposta dal terzo. Gli stessi, pertanto, conservano certamente il diritto ad esperire la successiva azione di riconoscimento di paternità nei confronti del loro dante causa, nell’ambito di un autonomo giudizio nel quale il loro diritto di difesa può essere validamente esercitato con l’unico limite derivante dall’efficacia erga omnes della pronuncia in tema di disconoscimento di paternità. Concludendo. Va infine rilevato, con riguardo al ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la competente Corte territoriale che i Giudici di legittimità lo hanno ritenuto inammissibile per carenza di legittimazione al riguardo. In particolare, il codice di rito prevede che nel giudizio di disconoscimento di paternità promosso dal figlio maggiorenne il Pubblico Ministero intervenga a pena di nullità, trattandosi di azione di stato. Lo stesso magistrato tuttavia, non può proporre impugnazione, avendo il relativo potere carattere eccezionale ed essendo esercitabile soltanto nei casi previsti dalla legge.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 maggio 2013 – 13 gennaio 2014, n. 487 Presidente Luccioli – Relatore Campanile Svolgimento del processo 1 - Con separati atti Mo.Ma. , m. , M. , nonché G.F. proponevano opposizione di terzo avverso la sentenza n. 1880 del 2006 con la quale il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda di disconoscimento della paternità proposta da Fabio Camilli nei confronti del presunto padre ca.ro. . 1.1 - Con sentenze emesse in data 16 gennaio 2009 il Tribunale adito dichiarava inammissibili le opposizioni, rilevando che i predetti erano carenti di legittimazione, in quanto non titolari di un diritto autonomo e incompatibile con quello oggetto della sentenza di disconoscimento della paternità. 1.2 - La Corte di appello di Roma, previa riunione dei giudizi scaturenti dai gravami proposti dai predetti, i quali avevano ribadito di aver interesse a proporre opposizione di terzo avverso la sentenza di disconoscimento, pronunciata sebbene l'azione fosse stata proposta oltre il termine di decadenza previsto dall'art. 244 c.c., per aver C.F. , tale divenuto il Ca. dopo il positivo esperimento dell'azione di disconoscimento, proposto domanda di riconoscimento della paternità nei confronti di M.D. , del quale gli stessi erano eredi, ha confermato la decisione di primo grado. 1.3 - La corte territoriale ha affermato che l'opposizione di terzo può essere proposta solo quando dal giudicato possa derivare un pregiudizio diretto, e non nelle ipotesi, come quella della sentenza di disconoscimento della paternità, nei cui confronti colui che è indicato come padre naturale, escluso dal novero dei soggetti previsti dall'art. 244 c.c., è privo, in quanto solo mediatamente interessato dagli effetti della decisione di disconoscimento dell'altrui paternità, di legittimazione. È stato altresì condiviso il giudizio di infondatezza in merito alla pretesa risarcitoria avanzata da M.M. circa una pretesa condotta illecita nella proposizione della domanda di disconoscimento avanzata nei confronti del Ca. , rilevandosi, per le ragioni già espresse in relazione alla mancanza di un nesso diretto fra l'azione di disconoscimento della paternità e la successiva domanda di riconoscimento della paternità naturale, la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 244 cc e 404 c.p.c. in relazione agli artt. 24, 29 e 30 Cost 1.4 - Per la cassazione di tale decisione hanno proposto distinti ricorsi il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma, il quale ha dedotto unico e articolato motivo, nonché gli eredi M. , i quali hanno formulato sette motivi. Resiste con controricorso il C. . Le parti private hanno prodotto memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione 2 - Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma, che sostiene la propria legittimazione dovendosi la sua presenza ritenere immanente in ogni giudizio in cui sia richiesta la sua partecipazione , deduce che nella sentenza impugnata si riverbera il vizio della decisione con la quale era stata accolta la domanda di disconoscimento di paternità avanzata dal C. , per non essersi in quel giudizio considerata la decadenza, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, prevista dall'art. 244, secondo comma, c.c 2.1 - Passando all'esame del ricorso proposto dagli eredi di M.D. , gli stessi, deducendo con il primo motivo violazione o falsa applicazione dell'art. 404, primo comma, c.p.c., nonché degli artt. 269, 270, 274, 235,244 e 253 e.e, sostengono che erroneamente la corte di appello a-vrebbe escluso la loro legittimazione a proporre opposizione avverso la sentenza di disconoscimento della paternità emessa ad istanza del C. , sia perché il suo carattere antigiuridico attesa la violazione del termine di decadenza di cui all'art. 244 c.c. determinerebbe una lesione, di natura processuale e sostanziale, dell'integrità e della certezza della famiglia legittima, sia perché, in ogni caso, l'opposizione di terzo dovrebbe essere intesa come mezzo di tutela di qualsiasi situazione sostanziale che potrebbe essere pregiudicata dall'attuazione della sentenza resa inter alios . 2.2 - Con il secondo mezzo si denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all'esclusione del carattere giuridico, e non di mero fatto, nell'interesse posto alla base dell'azione esercitata dai ricorrenti. 2.3 - Con il terzo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., anche in relazione all'art. 24 Cost., si sostiene che l'esclusione di un danno ingiusto ed immediato per i ricorrenti, derivante dalla sentenza di disconoscimento - in quanto emessa in violazione dell'art. 244 c.c. - sarebbe errata, derivando tale pregiudizio dalla sottoposizione dei ricorrenti a un giudizio che non avrebbe potuto essere introdotto qualora non si fosse formato il giudicato sul disconoscimento della paternità. 2.4 - Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 244, terzo comma, c.c., sostenendosi che la Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare d'ufficio la violazione del termine previsto a pena di decadenza per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità. 2.5 - Con il quinto mezzo, in relazione all'interesse delle parti al rispetto del termine richiamato nella censura che precede, si prospetta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 113 e 103 Cost 2.6 - Con la sesta censura si denuncia motivazione omessa e contraddittoria in merito all'esclusione dei presupposti dell'azione risarcitoria proposta da M.M. . 2.7 - Viene infine sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 395, n. 1, 404 c.p.c. e 244 e ss. c.c., in relazione agli artt. 24, 29 e 30 Cost., sostenendosi che l'impossibilità per i terzi, titolari di un diritto soggettivo alla conservazione del proprio status personale, di chiedere la revocazione della sentenze, il diniego del rimedio dell'opposizione di terzo, nel caso di decisione frutto di dolo di una parte, priverebbero di ogni forma di tutela i terzi medesimi, in contrasto con le norme costituzionali sopra indicate. 3 - Deve in primo luogo rilevarsi l'inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello, in quanto carente di legittimazione al riguardo. Vale bene richiamare, in proposito, l'orientamento di questa Corte secondo cui nel giudizio di disconoscimento di paternità promosso dal figlio maggiorenne il pubblico ministero interviene a pena di nullità, ai sensi dell'art. 70, comma 1, n. 3, c.p.c., trattandosi di azione di stato, ma non può proporre impugnazione, avendo il relativo potere carattere eccezionale ed essendo esercitabile soltanto nei casi previsti dalla legge Cass., 16 marzo 2007, n. 6302 Cass., 7 giugno 2006, n. 13281 Cass., 15 novembre 2001, n. 14315 . 4 - Passando all'esame dell'impugnazione proposta dagli eredi di M.D. , deve ritenersi preliminare ed assorbente l'esame della questione relativa alla possibilità per un soggetto indicato come padre naturale, o per gli eredi dello stesso, di intervenire, o di proporre opposizione ai sensi dell'art. 404 c.p.c., nel giudizio di disconoscimento di paternità promosso da colui che solo all'esito del positivo esperimento di tale azione potrà chiedere il riconoscimento di paternità. La risposta negativa data dalla corte territoriale a tale quesito merita di essere condivisa. A mente dell'art. 404 c.p.c., un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti. Come costantemente affermato da questa Corte, la paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale, il quale, allorché deduca che l'esito positivo dell'azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull'azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita in realtà a far valere un pregiudizio di mero fatto, laddove il rimedio contemplato dall'art. 404 c.p.c. presuppone in capo all'opponente un diritto autonomo la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata ex multis, Cass., n. 12211 del 2012 Cass., n. 12167 del 2005. Cfr. anche Cass., n. 14315/2001, secondo cui il padre naturale non è legittimato neppure ad intervenire in appello in un giudizio di disconoscimento della paternità, essendo tale legittimazione riconosciuta a chi potrebbe proporre opposizione ai sensi dell'art. 404 c.p.c., rimedio esperibile solo da chi faccia valere un diritto autonomo e incompatibile col rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza opposta, e quindi solo a favore di chi sia pregiudicato in un suo diritto . È stato già rilevato che tra il procedimento di disconoscimento della paternità legittima e quello instaurato per il riconoscimento della paternità naturale non sussiste un nesso di pregiudizialità, dal momento che il solo oggetto di quest'ultimo giudizio è costituito per il dedotto padre biologico dal suo diritto ad escludere la paternità naturale ex adverso pretesa, non anche da quello a vedere affermata la paternità disconosciuta nell'altro procedimento Sez. 1, Sentenza n. 12167/2005 . D'altra parte, né colui che sia indicato come padre naturale, né i suoi eredi, sono legittimati passivi nel giudizio di disconoscimento della paternità e la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento è opponibile nei confronti di tali soggetti, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio Sez. 1, Sentenza n. 430/2012 . Inoltre, neppure è ammissibile, nel giudizio per il disconoscimento della paternità, l'intervento di colui che è indicato come padre naturale, non potendo la controversia sul relativo riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di legittimità della filiazione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento dell'azione di disconoscimento Cass., n. 1784/2012 . Non essendo colui che è indicato come padre naturale e per lui i suoi eredi legittimato a proporre opposizione di terzo contro la sentenza di disconoscimento di paternità, il primo e il secondo motivo sono infondati. Del pari infondato è il terzo motivo, in quanto, a prescindere dal rilievo della Corte d'appello circa l'assenza di comportamenti dolosi o colposi nel giudizio relativo al disconoscimento di paternità, l'evidenziata assenza di pregiudizialità della relativa pronuncia rispetto all'esito del giudizio di riconoscimento della paternità non consente di ravvisare nel danno lamentato alcun profilo di concretezza e attualità. Se, invero, la sentenza che accoglie l'azione di disconoscimento fa stato erga omnes, essa non può produrre alcuna lesione, se non in una misura che non è giuridicamente apprezzabile, nei confronti di singoli soggetti, estranei al rapporto in questione, i quali non possono dolersi del fatto che un presunto figlio abbia fatto valere in giudizio il proprio diritto all'accertamento della verità biologica circa la propria origine. Rimangono assorbiti , stante l'inammissibilità dell'atto di impugnazione con il quale venivano dedotte, le censure attinenti alla pretesa nullità della decisione con la quale era stata accolta la domanda di disconoscimento della paternità del C. , osservandosi, quanto alla questione di legittimità costituzionale introdotta con il settimo motivo, che la stessa appare all'evidenza manifestamente infondata, essendo ad essa sottesa una inammissibile confusione fra la carenza di legittimazione a proporre opposizione di terzo e diritto di difesa, che riguarda, secondo la stessa prospettazione dei proponenti, non l'accoglimento della domanda di disconoscimento proposta da un terzo, bensì la successiva azione di riconoscimento di paternità nei confronti del loro dante causa, nell'ambito di un autonomo giudizio nel quale il diritto di difesa potrà essere esercitato senza alcun limite, se non quello derivante dall'efficacia erga omnes della pronuncia in tema di disconoscimento di paternità. Come già rilevato, la determinazione dei soggetti legittimati a proporre l'azione di disconoscimento della paternità è una scelta insindacabile del legislatore che ha ritenuto di riservare ai soli soggetti direttamente interessati, e cioè ai membri della famiglia legittima, il potere di decidere circa la prevalenza della verità biologica o della verità legale una innovazione, che attribuisse direttamente la legittimazione ad agire a soggetti privati estranei alla famiglia legittima, quale è il presunto padre naturale, rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato ad una ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, che solo il legislatore può compiere. Né vale opporre che l'equilibrio tra verità legale, che tutela l'unità della famiglia legittima art. 29 Cost. , e verità biologica art. 30 Cost. è stato già modificato dalla L. n. 184 del 1983, con l'ammettere la promozione dell'azione di disconoscimento della paternità su iniziativa del P.M., fino a quando il figlio non abbia compiuto sedici anni, giacché la nuova norma, prevedendo che l'azione sia poi esercitata non dal pubblico ministero, ma, in nome e nell'interesse del figlio, da un curatore speciale, è rimasta formalmente nei limiti del criterio di determinazione dei soggetti titolari dell'azione assunto dalla legge n. 151 del 1975 Corte cost., sent. n. 429 del 1991, con la quale è stata ritenuta l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 244 c.c., u.c., in parte qua, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost. . Il ricorso incidentale, dunque, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso del procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma. Rigetta il ricorso proposto da Mo.Ma. , M. e m. , nonché da G.F. , che condanna in solido al pagamento, in favore del C. , delle spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compenso, oltre accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.