Atea eppure sposata in chiesa: matrimonio nullo

Recepita dall’ordinamento italiano la pronunzia ecclesiastica che ha sciolto ab origine il matrimonio. Decisiva la valutazione della riserva mentale attribuita alla donna e conosciuta all’uomo ella era contraria all’idea stessa delle nozze religiose.

Donna, atea ma fintamente cattolica , e contraria all’idea stessa delle nozze religiose quasi l’identikit perfetto della tradizionale sposa, di bianco vestita, pronta a raggiungere il proprio uomo ai piedi dell’altare di una chiesa Assolutamente evidente la ‘tara’ mentale manifestata dalla donna ciò basta perché la nullità del matrimonio concordatario, stabilita con sentenza ecclesiastica, sia recepita anche dall’ordinamento dello Stato italiano. Cassazione, sentenza n. 28220, sezione Prima Civile, depositata oggi Scioglimento . Nessun dubbio viene espresso dai giudici della Corte d’Appello sulla legittimità della declaratoria di nullità sancita dal Tribunale ecclesiastico regionale per simulazione totale , da parte della donna, e per divergenza assoluta tra volontà e dichiarazione . Decisiva la constatazione che la oramai ex sposa aveva più volte manifestato di non credere nel matrimonio . E tale riserva mentale , evidenziano ancora i giudici, era nota all’uomo prima del matrimonio . Durissima la contestazione mossa dalla donna alla decisione della Corte d’Appello. Centrale, secondo la donna, è la mancata considerazione che ella accettava il matrimonio civile , quindi non ha simulato il consenso agli effetti civili del matrimonio, ma solamente la propria fede cattolica . Perché, domanda la donna, desumere, dal fatto che ella non voleva sposarsi in chiesa, che non volesse sposarsi affatto ? Perché dichiarare la nullità del matrimonio sul piano civilistico solo perché una parte è atea ? Perché ritenere simulato il matrimonio per l’atteggiamento di non credenza, mentre tale convincimento rientra nella libertà religiosa della parte, costituzionalmente garantita ? Ateismo . Di fronte ai molteplici dubbi sollevati dalla donna, però, si pongono, anche in ultima battuta, le certezze espresse dalla Corte d’Appello, certezze ora condivise anche dai giudici del ‘Palazzaccio’. Da questi ultimi, comunque, arriva, in premessa, la sottolineatura che è illogica la posizione della donna, che mira a una illegittima compenetrazione tra i principi dell’ordinamento canonico e quello statuale, quasi a volere mettere nel nulla il fatto che si è trattato di matrimonio concordatario, soggetto ai principi di diritto canonico, da cui la valutazione, da parte del Tribunale ecclesiastico, sulla validità del vincolo alla stregua di quell’ordinamento . Chiarita l’ottica del ragionamento, per i giudici del ‘Palazzaccio’ è corretta la scelta di recepire la pronunzia ecclesiastica, alla luce delle prove acquisite , ossia prove che attestano la simulazione totale da parte della donna, che, come detto, più volte aveva manifestato di non credere nel matrimonio . Tale riserva mentale , espressione, secondo la donna, di una visione atea della vita, e nota all’uomo prima del matrimonio , è assolutamente sufficiente per ritenere nullo il matrimonio non solo in ambito ecclesiastico ma anche in ambito civile.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 novembre - 18 dicembre 2013, n. 28220 Svolgimento del processo La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 17/7/2009-6/10/2009, ha dichiarato l'efficacia della sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Emiliano del 7/12/2005, di nullità del matrimonio concordatario celebrato il 29/6/96 in Salsomaggiore Terme da C.M. e M.F., trascritto nel Registro Atti di matrimonio del Comune di Salsomaggiore nel 1996, parte II, serie A n. 36, ed ha ordinato all'Ufficiale di Stato Civile di eseguire le annotazioni e trascrizioni di legge. La Corte del merito, premesso che la declaratoria di nullità è stata resa per simulazione totale da parte della convenuta e quindi per divergenza assoluta tra volontà e dichiarazione, ha rilevato che dalla sentenza ecclesiastica emergeva dalle prove svolte che la M. aveva più volte manifestato di non credere nel matrimonio, e tale riserva mentale era nota al C. prima del matrimonio, da cui la non contrarietà all'ordine pubblico della pronuncia ecclesiastica, in quanto resta salvo il principio della tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole ex art. 8, 2° comma lett. c dell'Accordo di modifica del Concordato e dell'art. 64 lett. g della l. 218/1995. Ricorre avverso detta pronuncia la M., con ricorso basato su due motivi. Si difende con controricorso il C. Motivi della decisione 1.1. - Col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 8, 2° comma dell'Accordo del 1984 di modifica del Concordato Lateranense del 1929 e dell'art. 64 lett. g della l. 218/95, atteso che il Tribunale ecclesiastico ha accertato che la parte accettava il matrimonio civile e che quindi non ha simulato il consenso agli effetti civili del matrimonio, ma solamente la propria fede cattolica la nullità è stata dichiarata solo per l'avvenuta simulazione della fede cattolica, mentre la parte voleva sicuramente sposarsi agli effetti civili. 1.2. - Col secondo motivo, la ricorrente denuncia vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, per non avere la Corte d'appello verificato se l'effettiva fattispecie trovasse corrispondenza nell'ordinamento dello Stato la simulazione totale è diversa dalla fattispecie di cui all'art. 123 c.c. e vi è un salto logico nella sentenza ecclesiastica, e di riflesso nella sentenza impugnata, nel desumere dal fatto che la M. non voleva sposarsi in chiesa che la stessa non volesse sposarsi affatto. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata è contraria all'ordine pubblico, perché nella sostanza si dichiara la nullità del matrimonio sul piano civilistico solo perché una parte è atea, e la Corte del merito non ha motivato perché dovesse ritenersi simulato il matrimonio per l'atteggiamento di non credenza, mentre tale convincimento rientra nella libertà religiosa della parte, costituzionalmente garantita. 2.1. - I due motivi, strettamente connessi, possono essere valutati congiuntamente e sono da ritenersi infondati. E' opportuno premettere che, come affermato nella pronuncia 6308/2000 conformi, 11137/03 e 17535/03 , la declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè per divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata manifestata all'altro coniuge, ovvero che sia stata da questo effettivamente conosciuta, ovvero che non gli sia stata nota soltanto a causa della sua negligenza, atteso che ove le suindicate situazioni non ricorrano la delibazione trova ostacolo nella contrarietà con l'ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole se pure è vero che il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l'oggettiva conoscibilità di tale esclusione da parte dell'altro coniuge con piena autonomia, trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronunzia ecclesiastica di nullità, è tuttavia altrettanto vero che la relativa indagine deve essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia delibanda intesa l'espressione come comprensiva di entrambe le sentenze rese in sede ecclesiastica ed agli atti del processo canonico eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi luogo in fase delibatoria ad alcuna integrazione di attività istruttoria. Ciò posto, si deve rilevare che la ricorrente col primo motivo prospetta una interpretazione diversa della sentenza ecclesiastica rispetto a quanto correttamente inteso dalla Corte d'appello, ed opera un'illegittima compenetrazione tra i principi dell'ordinamento canonico e quello statuale, quasi a volere mettere nel nulla il fatto che si è trattato di matrimonio concordatario, soggetto ai principi di diritto canonico, da cui la valutazione, da parte del Tribunale Ecclesiastico, sulla validità del vincolo alla stregua di quell'ordinamento né detto Tribunale avrebbe in ogni caso potuto valutare la fattispecie ponendosi nell'ottica del matrimonio civile. E la Corte d'appello ha correttamente operato la valutazione alla stessa spettante, condotta sulla base di quanto risultante dalla sentenza ecclesiastica, in relazione al profilo della non contrarietà all'ordine pubblico della pronuncia oggetto di delibazione, e quindi nella specie riscontrando, sempre sulla base di quanto evidenziato nella pronuncia delibanda, con particolare riferimento alle prove acquisite, che il C. era ben consapevole della riserva mentale della M. in relazione all'istituzione del matrimonio. 3.1. - Il ricorso va pertanto respinto le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate per compenso in euro 2000,00, oltre euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.