Azione di riduzione e accertamento di atti di liberalità: possibili due giudizi separati?

L’eccezione per la quale chi agisce in riduzione ha ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo d’ufficio non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello.

La Seconda sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26858 depositata il 29 novembre 2013, si è occupata di una questione in materia di donazioni/successioni, affrontando in particolare tematiche di carattere processuale, inerenti i rapporti tra due diversi giudizio di riduzione delle disposizioni testamentarie di accertamento della sussistenza di atti di liberalità da considerare ai fini della riduzione. La questione di fondo? L’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. Il caso. Come spesso accade in materia di successioni, la vicenda esaminata dalla Suprema Corte è piuttosto articolata. In estrema sintesi, questo lo scenario. L’attore nella causa infine approdata in Cassazione, era stato in precedenza convenuto in un altro giudizio, nel quale era stata proposta una azione di riduzione delle disposizioni testamentarie da parte di un soggetto che riteneva lesa la propria quota ereditaria riservata per legge. Nel processo che ci interessa più da vicino, l’attore aveva chiesto – proprio in ragione delle pretese fatte valere nei suoi confronti nell’altra e precedenza causa poco fa menzionata – che fosse accertato che una scrittura privata costituiva atto di liberalità. Ma il Tribunale rigettava la domanda per carenza di interesse ad agire art. 100 c.p.c. , ritenendo che l’accertamento della liberalità fosse funzionale alla determinazione di quanto già ricevuto in conto legittima dal soggetto che agiva in riduzione per questo motivo per il Tribunale l’attore era privo di interesse ad azionare la pretesa in via autonoma e al di fuori del giudizio di riduzione. La Corte d’Appello confermava la decisione l’attore era privo di interesse a far accertare l’atto di liberalità al di fuori del giudizio di riduzione. Contro questa decisione veniva proposto ricorso per cassazione, che, come si vedrà tra poco, avrà esito favorevole per il ricorrente annullamento con rinvio. L’interesse ad agire. Questo il quesito di diritto formulato dal ricorrente in Cassazione se sussiste in capo al legatario l’interesse ad agire ex articolo 100 del codice di procedura civile a far accertare la natura di donazione indiretta dell’atto transattivo con cui il de cuius ha trasferito la proprietà di alcuni beni al coerede che successivamente lo abbia convenuto in giudizio per lesione di legittima . Il ricorrente formulava anche una secondo quesito di diritto se sussiste in capo al menzionato legatario l’interesse alla conservazione delle disposizioni del de cuius e l’interesse a mantenere intatto il proprio patrimonio . Violato l’art. 100 c.p.c. Secondo il ricorrente doveva essere riconosciuto il suo concreto interesse e la concreta utilità di una pronuncia di accertamento dell’atto di liberalità compiuto con una accordo, perché, tra l’altro, i legittimari che avevano agito per la riduzione delle disposizioni testamentarie a suo favore dovevano imputare alla quota di legittima anche la liberalità ricevuta una volta accertatane la natura di atto di liberalità. Inoltre, la sentenza che accertasse la natura di atto di liberalità della scrittura privata, una volta passata in giudicato farebbe stato ad ogni effetto tra le parti, eredi e aventi causa, per cui egli ricorrente non avrebbe più dovuto subire gli effetti pregiudizievoli dell’azione di riduzione. Infine, nessuna preclusione per l’accertamento dell’atto di liberalità era maturata nel giudizio di riduzione perché nessun elemento era emerso per valutare l’eventuale decadenza da eccezioni o accertamenti incidentali o precisazione delle domande. L’errata prospettiva della Corte d’Appello l’ipotesi eccezione tardiva”. Secondo la Cassazione la motivazione della Corte d'appello muove dall'infondato presupposto per il quale, anche accertato in separato giudizio l’atto di liberalità compiuto in vita a favore dell’erede, non per questo tale accertamento potrebbe essere opposto dal soggetto convenuto nel giudizio di riduzione per lesione della legittima giudizio peraltro pendente costituendo una eccezione inammissibile in quanto tardiva. Nel giudizio di riduzione, l’attore, nel dar prova del suo diritto, ha l’onere di sottrarre il valore delle liberalità ricevute. I Giudici di legittimità premettono, in via generale, che non esiste un principio per il quale non possa essere fatto valere in via di azione ciò che non possa essere fatto valere in via di eccezione per effetto di preclusioni processuali. La Corte d’appello aveva inoltre fondato la sua decisione su un presupposto l’inopponibilità dell’accertamento della liberalità in altro processo che non doveva essere considerato, e comunque errato, sia perché la valutazione sull’eventuale preclusione processuale era di competenza del giudice del diverso giudizio nel quale era dedotta la lesione della legittima, sia perché giuridicamente infondato. Infatti, nel giudizio di riduzione, l’attore, nel dar prova del suo diritto, ha l’onere di sottrarre il valore delle liberalità ricevute. Ne consegue che, intervenuto il giudicato che accerta la liberalità non dichiarata da chi agisce in riduzione, lo stesso giudicato esterno intervenuto tra le stesse parti sarebbe opponibile nel giudizio di riduzione, posto che l’esistenza del giudicato esterno è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in sede di legittimità. L’esistenza di giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio. La Corte di Cassazione ricorda un suo precedente molto importante, reso a Sezioni Unite nel 2001 sentenza n. 226/2001 . In quella occasione era stato affermato che, siccome nel nostro ordinamento vince il principio della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di una puntuale specifica previsione normativa, l’esistenza di giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità, ma corrispondono entrambi all’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l’autorità del giudicato riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile, per l’intera comunità. Inoltre, il rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito. L’attore che agisce per la riduzione ha ricevuto donazioni eccezione in senso stretto o in senso lato? L’eccezione per la quale l’attore che agisce in riduzione ha ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo d’ufficio non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe vanificato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto. Del resto, precisano i Giudici di Piazza Cavour, è onere dell’attore che agisce in riduzione indicare le donazioni ricevute da imputare alla legittima. Il ricorrente aveva quindi un interesse attuale anzi addirittura urgente alla decisione. In conclusione, secondo la Suprema Corte, da quanto argomentato deriva l’interesse attuale oltre che urgente, del ricorrente - convenuto nell’azione di riduzione promossa contro di lui in altro giudizio -, di fare accertare in questo giudizio le liberalità ricevute in vita dal soggetto che agisce per la riduzione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 ottobre - 29 novembre 2013, n. 26858 Presidente Triola – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 14/8/2002 F C. conveniva in giudizio le sorelle P.A. e M. e M.F. , figlio di quest'ultima e destinatario di una disposizione testamentaria in suo favore, nel testamento di M D.R. , madre delle due convenute. L'attore chiedeva che fosse accertato che la scrittura privata del 5/7/1984 costituiva atto di liberalità della madre a favore delle figlie A. e M. . L'attore esponeva che con il suddetto accordo le eredi di Pa.Ma. , ossia il coniuge M D.R. , e le figlie P.A. e M. , si erano divise il patrimonio ereditario attribuendo secondo quanto si apprende dal ricorso - a D.R.M. , madre dell'attore, 1/10 di un immobile che per l'intero era stimato in lire 8.600.000, un diritto di abitazione su una quota di immobile, la somma di lire 10.000.000 e una rendita vitalizia di lire 700.000 mensili - ad A. la totalità delle quote di una s.r.l. proprietaria di diversi immobili, nonché altri immobili per il valore complessivo di oltre un miliardo e 802 milioni di lire - a M. tutto il restante compendio immobiliare e la totalità delle azioni di una S.p.A. proprietaria di diversi immobili, per un valore complessivo di oltre un miliardo e 473 milioni di lire. Ciò premesso, assumeva che, attesa la rilevante sproporzione tra la minore ricchezza attribuita alla madre e la maggiore ricchezza attribuita alle figlie, la madre, nel dividere il patrimonio, aveva compiuto un atto di liberalità a favore delle figlie. In ordine all'interesse a tale declaratoria, deduceva che l'interesse era divenuto concreto in conseguenza di due precedenti atti di citazione con i quali la zia M. , rispettivamente per sé e in surroga della sorella A. , essendone creditrice, aveva chiesto la riduzione delle disposizioni testamentarie della madre D.R.M. che aveva lasciato un immobile a ciascuno dei due nipoti, ossia allo stesso F C. e a F M. in quanto lesive della quota ereditaria ad essa riservata per legge secondo C.F. la zia M. aveva già ricevuto in via dalla comune dante causa, beni di valore ben superiore alla sua quota di legittima. M P. , costituendosi eccepiva preliminarmente la carenza di legittimazione attiva dell'attore. Il Tribunale di Venezia riteneva che l'accertamento della liberalità fosse funzionale alla determinazione di quanto già ricevuto in conto di legittima dall'attrice che agiva in riduzione e per tale motivo, riteneva l'attore carente di interesse ad azionare la pretesa in via autonoma e al di fuori dal giudizio di riduzione. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 25/5/2007, decidendo sull'appello proposto da F C. rigettava l'appello confermando la decisione secondo la quale l'attore sarebbe carente di interesse a far accertare l'atto di liberalità al di fuori del giudizio di riduzione. F C. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo e ha depositato memoria. M.M. , quale unico erede di M P. , già costituitosi in appello quale erede della stessa, resiste con controricorso. Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell'art. 100 c.p.c. e il vizio di motivazione sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, doveva essere riconosciuto il suo concreto interesse e la concreta utilità di una pronuncia di accertamento dell'atto di liberalità compiuto con l'accordo del 5/7/1984 perché - i legittimari che hanno agito per la riduzione delle disposizione testamentarie a suo favore dovranno imputare alla quota di legittima anche la liberalità ricevuta una volta accertatane la natura di atto di liberalità - la sentenza che accertasse la natura di atto di liberalità della scrittura privata, una volta passata in giudicato farebbe stato ad ogni effetto tra le parti, eredi e aventi causa così che, esclusa la lesione della legittima, esso ricorrente non dovrebbe subire gli effetti pregiudizievoli dell'azione di riduzione - non è precluso l'accertamento dell'atto di liberalità risultante ex actis, quanto meno per quella parte non attinente alla contestazione sulla titolarità delle quote di una delle due società considerate nell'atto nel giudizio di riduzione perché nessun elemento era emerso, in questo giudizio, per valutare l'eventuale decadenza da eccezioni o accertamenti incidentali o precisazione delle domande. Formulando il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione temporis , il ricorrente chiede - se sussista in capo al legatario l'interesse ex art. 100 c.p.c. a far accertare la natura di donazione indiretta dell'atto transattivo con cui il de cuius ha trasferito la proprietà di alcuni beni al coerede che, successivamente lo abbia convenuto in giudizio per lesione di legittima - se sussista in capo a detto legatario interesse alla conservazione delle disposizioni del de cuius e interesse a mantenere intatto il proprio patrimonio. 2. Il motivo è fondato. La sentenza Cass. 24/6/1986 n. 4216 richiamata dalla Corte di Appello è del tutto inconferente rispetto alla fattispecie. Nel richiamato precedente della sezione lavoro di questa Corte, si affermava l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale - ex artt. 3 e 24 cost. - dell'art. 437 cod. proc. civ., che non consente la proposizione in appello di nuove eccezioni e si osservava che non sussiste disparità di trattamento processuale, in relazione al diritto di azione e di difesa in giudizio, tra la posizione dell'attore, che non può proporre domande nuove in appello, e la posizione del convenuto, che non può proporre eccezioni nuove, sotto il profilo che mentre il primo potrebbe comunque esperire la domanda nuova in un diverso giudizio, invece il secondo avrebbe irrimediabilmente perso la possibilità di far valere l'eccezione, atteso che la preclusione che in tale ultimo caso si determina è conseguenziale alla natura dell'eccezione che ha la funzione di ostacolare l'esercizio dell'azione della controparte e che pertanto può manifestare i suoi effetti unicamente nella sede in cui l'azione medesima viene esercitata. La motivazione della Corte di appello muove dall'infondato presupposto per il quale, anche accertato, in separato giudizio l'atto di liberalità compiuto in vita a favore dell'erede, non per questo tale accertamento potrebbe essere opposto dal soggetto convenuto nel giudizio di riduzione per lesione della legittima che è pendente costituendo una eccezione inammissibile in quanto tardiva. Occorre premettere, in via generale, che non esiste un principio generale per il quale non possa essere fatto valere in via di azione ciò che non possa essere fatto valere in altro processo in via di eccezione per effetto di preclusioni processuali. Ciò premesso, si deve osservare che la Corte di appello di Venezia ha fondato la sua decisione su un presupposto l'inopponibilità dell'accertamento della liberalità in altro processo che non doveva essere considerato e comunque errato sia perché la valutazione sull'eventuale preclusione processuale era di competenza del giudice del diverso processo nel quale era dedotta la lesione della legittima, sia perché giuridicamente infondato. Infatti nel giudizio di riduzione l'attore nel dar prova del suo diritto, ha l'onere di sottrarre il valore delle liberalità ricevute ne consegue che, intervenuto il giudicato che accerta in tesi la liberalità non dichiarata da chi agisce in riduzione, lo stesso giudicato esterno intervenuto tra le stesse parti sarebbe opponibile nel giudizio di riduzione, posto che l'esistenza del giudicato esterno è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in sede di legittimità. Questa Corte a sezioni Unite, fin dal 2001 Cass. S.U. 25/5/2001 n. 226 ha affermato che siccome nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell'istanza di parte solo dall'esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, l'esistenza di un giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità ex art. 2909 c.c. ma corrispondono entrambi all'unica finalità rappresentata dall'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l'autorità del giudicato riconosciuta non nell'interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell'interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi - nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile - per l'intera comunità il rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito cfr. anche Cass. 16/6/2006 n. 13916 . Né varrebbe opporre che la deduzione di un pregresso atto di liberalità da imputare alla quota di legittima sarebbe oggetto di eccezione in senso stretto, come tale non rilevabile di ufficio il potere di rilevare fatti impeditivi compete esclusivamente alla parte e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte soltanto nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva e non certo nel caso di specie, nel quale è onere dell'attore che agisce in riduzione indicare le donazioni ricevute da imputare alla legittima , ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito Cass. S.U. 3/2/1998 n. 1099 . L'eccezione per la quale l'attrice che agisce in riduzione ha ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo di ufficio non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis , in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe vanificato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto cfr. Cass. S.U. 7/5/2013 n. 10531 Ord. . Ne deriva l'interesse attuale, oltre che urgente, dell'odierno ricorrente, convenuto nell'azione di riduzione promossa contro di lui in altro giudizio, di fare accertare in questo giudizio del quale peraltro aveva infruttuosamente chiesto la riunione a quello avente ad oggetto la domanda di riduzione le liberalità ricevute in vita dal soggetto che agisce per la riduzione. 3. In conclusione la sentenza impugnata ha erroneamente applicato l'art. 100 c.p.c. ritenendo il ricorrente privo di interesse ad accertare che la scrittura privata 25/7/1984 costituisce atto di liberalità in quanto l'interesse sussiste, per le ragioni sovra esposte e di conseguenza la sentenza deve essere cassata con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia per la decisione sul merito della domanda che la Corte di Appello di Venezia ha ritenuto di non dovere decidere. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.