Migliorie eseguite sulla cosa comune: è dovuto solo il rimborso delle spese

Per le migliorie eseguite sulla cosa comune da un coerede è dovuto solo il rimborso delle spese sostenute per materiali o manodopera e non un’indennità pari all’aumento di valore della cosa.

Il caso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16364/13 depositata il 28 giugno scorso, si è occupata di una causa in materia di successione che vedeva come protagonista una donna e, rispettivamente, il fratello e la sorella di lei, convenuti in giudizio per la divisione dei beni relitti nella successione ab intestato dal padre. Solo il rimborso delle spese La Cassazione, decidendo sul ricorso presentato dalla donna, dopo che nel giudizio di merito era stato ordinato lo scioglimento della comunione sui beni immobili ed erano state assegnate le diverse quote tra gli eredi, ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di appello dalla quale emerge che alle migliorie eseguite sulla cosa comune dalla coerede non è applicabile l’art. 1150, comma 5, c.c. riparazioni, miglioramenti e addizioni . In pratica, secondo i giudici, a questa spetta il solo rimborso delle spese sostenute per materiali e manodopera e non una indennità pari all’aumento di valore della cosa. nessuna indennità pari all’aumento di valore della cosa. Secondo la S.C., infatti, i giudici di merito hanno applicato correttamente il costante principio di legittimità Cass., n. 15123/2010 e n. 6982/2009 , secondo cui il coerede che sul bene da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie, può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150, comma 5, c.c. , il quale stabilisce che è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti, ma, quale mandatario o utile gestore degli altri partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per materiali o manodopera .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 24 maggio – 28 giugno 2013, n. 16364 Presidente Goldoni – Relatore Giusti Fatto e diritto Ritenuto che, con atto di citazione notificato il 9 marzo 1998, G M. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Marsala il fratello P.S M. e la sorella M.L. , chiedendo la divisione dei beni relitti nella successione ab intestato dal padre S M. , deceduto in data omissis , previa formazione di tre quote eguali ed il rendiconto dei frutti degli immobili posseduti in via esclusiva che si costituirono i convenuti, con distinte comparse di risposta, chiedendo il rigetto delle domande dell'attrice che i convenuti addussero la presenza di un accordo fra i tre fratelli, intervenuto prima del decesso del padre, al fine di dividersi i beni in parti uguali che in pendenza della causa predetta, L M. e M.P.S. iniziarono due distinti e ulteriori giudizi, rispettivamente con atto di citazione notificato il 19 maggio 2000 e il 18 maggio 2000, convenendo ciascuno i fratelli e chiedendone la condanna in alternativa al pagamento o del valore dei materiali impiegati per le costruzioni realizzate sui fondi oltre al prezzo della mano d'opera o della somma di denaro corrispondente all'aumento di valore recato ai fondi che il Tribunale, riuniti i giudizi, con sentenza in data 27 settembre 2007, ordinò lo scioglimento della comunione sui beni immobili, assegnando a P.S M. la quota costituita dagli immobili di cui ai nn. 2 e 3, a L M. quelli di cui ai nn. 5, 6 e 7 e a G M. i restanti beni di cui ai nn. 1, 4, 9, 10, 11 e 12 dispose che M.G. versasse la somma di Euro 1.838,29 a titolo di conguaglio a M.P.S. e di Euro 994,62 allo stesso titolo a M.L. dispose inoltre che G M. pagasse a sua scelta, ex art. 936, secondo comma, cod. civ., a titolo di indennità, al fratello, la somma di Euro 13.944,34 o di Euro 26.296,85 ed alla sorella la somma di Euro 1.921,14 o di Euro 49.930,28 che il Tribunale osservò, tra l'altro, che il presunto accordo di divisione . avrebbe dovuto essere consacrato da un atto scritto e non poteva provarsi a mezzo testimoni che, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 gennaio 2012, la Corte d'appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado, condannando entrambi gli appellanti M.P.S. e L M. a versare a favore di M.G. le spese di giudizio che il giudice di secondo grado ha rilevato come alla situazione del coerede che abbia eseguito migliorie sulla cosa comune non possa applicarsi l'art. 1150, quinto comma, cod. civ., a questo spettando, non l'indennità pari all'aumento di valore della cosa, ma il rimborso delle spese sostenute per materiali e manodopera che per la cassazione della sentenza della Corte d'appello M.P.S. nonché V C. , G C. e C.M. , questi ultimi quali eredi di Le Ma. , deceduta in data omissis , hanno proposto ricorso con atto notificato il 19 aprile 2012, sulla base di tre motivi che vi ha resistito con controricorso G M. che in prossimità dell'udienza entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa. Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza che, preliminarmente, va rigettata l'eccezione di improcedibilità formulata dal pubblico ministero nell'udienza di discussione che, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal pubblico ministero, i ricorrenti hanno depositato in atti, nel rispetto del termine di cui all'art. 369 cod. proc. civ., copia autentica della sentenza impugnata, depositata il 23 gennaio 2012, munita della relata di notifica in data 22 marzo 2012, con ciò pienamente rispettando le prescrizioni formali discendenti dalla citata norma del codice di rito, nella lettura ricevuta ad opera di Cass., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9005 che, passando al merito, con il primo motivo omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio si sostiene che il giudice di secondo grado abbia ignorato un fatto fondamentale, ossia l'accordo intervenuto tra padre e figli sulla divisione in parti eguali del patrimonio, secondo la consistenza di allora l'accordo divisionale, se non era idoneo per l'attribuzione in proprietà dei beni, era però rilevante per costituire i tre fratelli come possessori in buona fede dei beni verbalmente a ciascuno assegnati che con il secondo motivo si lamenta l'omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e violazione dell'art. 2227 o 2727 cod. civ., ribadendosi la rilevanza giuridica dell'accordo intervenuto tra padre e figli di divisione dei beni eredi tari, seppure non in forma scritta, sulla base del quale essi stessi sarebbero dovuti essere qualificati come possessori di buona fede che con il terzo motivo violazione degli artt. 1150 e ss. cod. civ. e omissione di motivazione i ricorrenti sostengono che i rimborsi loro spettanti avrebbero dovuto precedere tutte le altre operazioni divisionali che i tre motivi - i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono infondati che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte Sez. II, 19 settembre 1968, n. 2963 Sez. II, 23 marzo 2009, n. 6982 Sez. II, 22 giugno 2010, n. 15123 , secondo cui il coerede che sul bene da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie, può pretendere, in sede di divisione, non già l'applicazione dell'art. 1150, quinto comma, cod. civ., secondo cui è dovuta un'indennità pari all'aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti, ma, quale mandatario o utile gestore degli altri partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per materiali o manodopera che, d'altra parte, il rilievo, contenuto nella memoria dei ricorrenti, secondo cui i miglioramenti sarebbero stati eseguiti durante la vita del de cuius , non tiene conto della circostanza che il ricordato principio giurisprudenziale è stato applicato dal giudice del merito per le spese eseguite sulla cosa comune dopo l'apertura della successione, mentre, per il periodo anteriore alla morte del de cuius , è stata riconosciuta in favore di M.P.S. e di L M. l'indennità di cui all'art. 936, secondo comma, cod. civ. che non può attribuirsi rilevanza all'accordo verbale di divisione tra il padre ed i figli in relazione a beni immobili compresi nella successione futura del padre, all'epoca ancora in vita sia per il difetto della necessaria forma scritta non surrogata dal fatto che ognuno dei tre eredi abbia poi pagato l'imposta di successione non già in tre parti eguali, bensì in proporzione dei beni da ciascuno di fatto posseduti , sia perché detta convenzione sarebbe in ogni caso relativa a diritti spettanti su una successione non ancora aperta che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna, i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida, in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per compensi, oltre ad accessori di legge.