Solo il passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento di paternità rimuove l’impedimento costituito dal precedente status filiationis

Ai fini dell’art. 253 c.c., la rimozione dell’impedimento costituito da un diverso stato di figlio, decorre dal passaggio in giudicato dell’azione di disconoscimento di paternità, in quanto prima di tale momento è sempre possibile una riforma della sentenza che ha accolto l’azione di disconoscimento.

Non è possibile introdurre una azione per far valere lo stato di figlio naturale nei confronti dei beni della successione del padre naturale anche in presenza di una sentenza di accoglimento di una azione di disconoscimento del proprio stato di figlio legittima non passata in giudicato in quanto quest’ultima, essendo soggetta ad impugnazione, non sarebbe idonea a superare la permanenza del contrasto con lo stato di figlio legittimo che ai sensi dell’art. 253 c.c. determina l’inammissibilità di ogni pretesa fondata sullo stato di figlio naturale. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 15990 del 25 giugno 2013. Mutamento di valore dell’asse ereditario ed azione di riduzione. Con la pronuncia che si commenta la Corte di Cassazione analizza una complessa controversia successoria interessata dall’applicazione delle norme transitorie della legge di riforma del 1975. Pur pronunciandosi su tale fattispecie particolare, in cui i diritti successori oggetto del contendere venivano riconosciuti solo con l’entrata in vigore della riforma del 1975, con conseguente applicazione delle relative disposizioni transitorie che pur sancendo l’applicazione retroattiva delle norme interessate ponevano a tale retroattività un limite triennale dall’apertura della successione per far valere i relativi diritti, la pronuncia in esame offre importanti indicazioni con riguardo all’art. 253 c.c L’inammissibilità del riconoscimento in contrasto con un altro status. L’art. 253 c.c. afferma infatti che non può ammettersi un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato, con ciò sancendo l’inammissibilità di un contrasto tra uno stato di figlio ed un altro. Alla base del divieto in questione vi è l’esigenza di evitare che tramite la presenza di differenti titoli di accertamento della filiazione vanga meno la certezza circa lo status giuridico della persona con conseguente confusione nei rapporti giuridici. In aderenza alla ratio della norma si ritiene in dottrina che il divieto sancito dall’art. 253 c.c. valga anche ad impedire il contrasto del nuovo riconoscimento con un precedente riconoscimento e, quindi, un contrasto con lo status di figlio naturale, o meglio – in attuazione della l. n. 219/2012 – un contrasto con un precedente status di figlio. Si tenga peraltro presente che in attuazione della delega contenuta nella l. 219 cit., che come noto ha equiparato lo status di figlio eliminando la distinzione tra figli legittimi e figli naturali, l’art. 253 c.c. dovrebbe essere presumibilmente riformulato eliminando il riferimento ai figli legittimi o legittimati. La rimozione del precedente status decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento. La Corte chiarisce quindi che la rimozione dell’impedimento costituito dallo status non veritiero ai sensi e per gli effetti dell’art. 253 c.c. non decorre dalla pronuncia di accoglimento ma solo ed esclusivamente dal momento in cui tale pronuncia passa in giudicato, in quanto prima di tale evento è ben possibile una riforma della sentenza di accoglimento che non rimuove lo status originario. Con tale pronuncia la Corte si allinea quindi al proprio risalente precedente che ha affermato che il divieto di cui all’art. 253 c.c. è un divieto tassativo e senza eccezioni, il quale impedisce che si possa dare ingresso a qualunque azione il cui risultato si possa porre in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato e che quindi detto stato deve essere direttamente rimosso, senza azioni strumentali o succedanee, e prima di qualunque altra che ne presupponga uno diverso Cass. n. 8190/1998 .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 aprile - 25 giugno 2013, n. 15990 Presidente Oddo – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 24-25 e 26 10-1983 B.G.R. assumeva - con testamento olografo del 18-3-1960 L G. aveva riconosciuto l'esponente suo figlio naturale nato da una relazione con P B. - all'anagrafe egli risultava essere figlio legittimo dei coniugi B.P. ed A F. - con successivo testamento del 13-7-1965 L G. aveva revocato ogni altra sua precedente disposizione di ultima volontà ed aveva lasciato l'intero suo patrimonio alla moglie M C. - in data OMISSIS era deceduto L G. - con testamento olografo del 26-10-1965 M C. aveva lasciato il suo patrimonio al fratello A. ed ai cognati G.M. e C G. nonché il legato di un appartamento ad U P. - M C. era deceduta il OMISSIS - con sentenza n. 1463/1980 il Tribunale di Firenze aveva escluso il suo stato di figlio legittimo di A F. . Tanto premesso l'attore conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli O D. , E C. e G C. eredi di A C. nel frattempo deceduto , M G. e G.C. nonché U P. chiedendo dichiararsi il suo stato di figlio legittimo o comunque legittimario avente diritto alla quota di riserva. I convenuti si costituivano in giudizio e si opponevano alla domanda formulando diverse eccezioni. A seguito del decesso di M G. si costituivano in giudizio i suoi eredi C D.P. ed i figli E G. , G G. , M.C G. e P G. . Con sentenza non definitiva del 17-2/22-7-1993 il Tribunale di Napoli accertava la validità del riconoscimento contenuto nel testamento del 1960 e conseguentemente dichiarava che l'attore era figlio naturale di L G. , rigettava la domanda volta ad ottenere la revoca delle disposizioni contenute nel successivo testamento del 13-7-1965 e disponeva la prosecuzione del giudizio in ordine alla domanda di riduzione delle disposizioni contenute nel testamento del 1965 e lesive della quota di legittima spettante all'attore sull'eredità lasciata dal padre. A seguito della impugnazione di tale sentenza il Tribunale disponeva la sospensione del processo in attesa della definizione della questione pregiudiziale di stato. Tanto la Corte di Appello che la Corte di Cassazione confermavano la sentenza non definitiva. Cessata la causa di sospensione, il Tribunale con sentenza del 7-10-2002 rigettava la domanda di riduzione, ritenendo che l'attore avrebbe potuto vantare diritti sulla successione del padre soltanto se nei tre anni dalla apertura della successione stessa avesse fatto valere le sue ragioni sui beni ereditari. Proposto gravame da parte del B.G. cui resistevano C.E. , G C. , O D. , C G. , C D.P. , E G. , G G. , G.M.C. e P G. da un lato ed il P. dall'altro la Corte di Appello di Napoli con sentenza del 28-6-2006 ha rigettato l'impugnazione. Avverso tale sentenza il B.B. ha proposto un ricorso articolato in quattro motivi cui E C. , C.G. , O D. , C D.P. , E G. , G.G. , M.C G. e P G. da un lato ed il P. dall'altro hanno resistito con separati controricorsi tutte le parti hanno successivamente depositato delle memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., premesso che il Tribunale di Napoli con la sentenza del 22-7-1993, dopo aver dichiarato che l'esponente era figlio di L G. , aveva disposto la rimessione della causa sul ruolo al fine della necessaria istruzione della domanda subordinata di riduzione nei confronti degli eredi di G.L. , sostiene che la mancata impugnazione di tale statuizione aveva determinato il passaggio in giudicato della accertata sussistenza del diritto del B.G. ad ottenere la riduzione dell'eredità di L G. in qualità di erede necessario a seguito del riconoscimento del suo status di figlio del de cuius erroneamente pertanto la sentenza impugnata ha svolto una delibazione sulla ammissibilità della domanda di riduzione. La censura è infondata. Con la sentenza non definitiva del 22-7-1993 il Tribunale di Napoli si era limitato ad accertare la veridicità del riconoscimento contenuto nel testamento del 1960, a dichiarare che l'attore era figlio naturale di L G. ed a rigettare la domanda volta ad ottenere la revoca delle disposizioni contenute nel testamento del 13-7-1965, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio in ordine alla domanda di riduzione delle disposizioni contenute nel suddetto testamento e lesive della quota di legittima spettante all'attore sull'eredità lasciata dal padre pertanto le questioni relative alla ammissibilità ed alla fondatezza o meno della suddetta domanda non hanno costituito oggetto di alcuna statuizione da parte della richiamata sentenza non definitiva, cosicché correttamente la sentenza impugnata si è pronunciata al riguardo. Con il secondo motivo il B.G. , denunciando violazione degli artt. 230 terzo comma L. n. 151/1975-253-2967 e 2935 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che P B. , quale curatrice di R B. , onde non incorrere nella decadenza prevista dal menzionato art. 230 terzo comma, avrebbe dovuto promuovere, entro tre anni dall'apertura della successione del padre naturale quindi entro il luglio del 1968, essendo il G. deceduto il OMISSIS un'azione giudiziale nei confronti degli eredi volta al riconoscimento delle pretese ereditarie del figlio. Il ricorrente rileva in senso contrario che il divieto sancito dall'art. 253 c.c. secondo cui in nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato in cui la persona si trova era un elemento ostativo al riconoscimento, che impediva alla madre del B. , fino a quando quest'ultimo aveva lo status di figlio legittimo del F. , di promuovere l'azione di riconoscimento nei confronti del G. ed avanzare le conseguenti pretese sulla relativa eredità considerato che ai sensi dell'art. 2935 c.c. la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, i diritti dell'esponente avrebbero potuto essere fatti valere solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Firenze n. 1463/1980 che aveva escluso lo stato di figlio legittimo di F.A. quindi il 15-9-1981, esattamente un anno e 45 giorni dopo la pubblicazione della sentenza avvenuta in data 30-6-1980 pertanto l'assunto che il termine di decadenza per l'esercizio dell'azione in questione fosse decorso nonostante il diritto non fosse in concreto tutelabile costituisce una ingiustificata ed irragionevole compressione del diritto di azione del comparente. Con il terzo motivo il B.G. , deducendo violazione del combinato disposto degli artt. 230 terzo comma L. n. 151/1975 e 2909 c.c. e del combinato disposto degli artt. 230 citato e 274 c.c. prima della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte Costituzionale del 10-2-2006 n. 50, assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che, anche a voler accedere alla tesi del ricorrente, la domanda non avrebbe potuto essere accolta essendo comunque decorso il termine triennale di cui all'art. 230 terzo comma sopra menzionato anche dalla data di deposito della sentenza del Tribunale di Firenze del 30-6-1980 che aveva escluso lo stato di figlio legittimo del B. , posto che l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado della presente controversia era stato notificato il 24-10-1983. Anzitutto soltanto l'accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, gli eredi e gli aventi causa, cosicché solo con il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Firenze sopra richiamata era stato rimosso il divieto di cui all'art. 253 c.c. inoltre il giudice di appello ha omesso di considerare che l'esponente, prima di notificare l'atto di citazione nell'ottobre del 1983, aveva promosso il ricorso ex art. 274 c.p.c. per l'ammissibilità dell'azione depositato in cancelleria il 24-2-1982, e che il rispetto del termine triennale di cui all'art. 230 terzo comma L. n. 151/1975 avrebbe dovuto essere valutato con riferimento a tale data, in quanto è con tale procedimento che il comparente aveva attivato la procedura volta a far valere le proprie ragioni ereditarie sulla successione di L G. . Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate. La Corte territoriale ha richiamato anzitutto l'art. 230 della L. 19-5-1975 n. 151 che, dopo aver previsto al primo comma che le disposizioni della suddetta legge relative al riconoscimento dei figli naturali si applicano anche ai figli nati o concepiti prima della sua entrata in vigore, ed aver aggiunto al secondo comma che il riconoscimento di figli naturali compiuto prima di tale data, ed invalido secondo la normativa all'epoca vigente, non poteva essere annullato se al momento in cui era stato fatto concorrevano le condizioni di ammissibilità secondo le disposizioni della nuova legge di riforma del diritto di famiglia, al terzo comma stabilisce che Tale riconoscimento vale anche agli effetti delle successioni aperte prima dell'entrata in vigore della presente legge, purché i diritti successori del figlio non siano stati esclusi con sentenza passata in giudicato o definiti con convenzione tra le parti interessate o non siano trascorsi tre anni dall'apertura della successione senza che il figlio abbia fatto valere alcuna ragione ereditaria sui beni della successione . Il giudice di appello, quindi, rilevato come dato incontroverso che nell'arco di tre anni dal 14-7-1965 data della morte di G.L. il B. non aveva promosso alcuna azione in ordine all'eredità del padre, ha ritenuto ininfluente il fatto che al momento dell'apertura della successione del padre naturale l'appellante, in quanto figlio adulterino e formalmente dotato dello stato di figlio legittimo dei coniugi F. e B. , non fosse nelle condizioni di potere esercitare un'azione nei confronti della successione di L G. infatti la Corte territoriale ha sostenuto che, al di là del rilievo che la formulazione della disposizione sopra menzionata nella sua ampiezza non consente di procedere a distinzioni nell'ambito della categoria dei riconoscimenti invalidi di cui al secondo comma dell'art. 230 citato, l'ostacolo giuridico invocato dall'appellante a suo favore risultava comunque rimosso dalla sentenza del Tribunale di Firenze n. 1463/1980 che, in accoglimento dell'azione di disconoscimento della paternità promossa da P B. , aveva dichiarato che F.R. non era figlio del presunto padre A F. , ed aveva ordinato all'ufficiale dello stato civile di procedere alle relative annotazioni e correzioni sull'atto di nascita pertanto una interpretazione della richiamata disposizione tendente ad escludere la decorrenza e la maturazione del termine per effetto dell'impossibilità giuridica a far valere i propri diritti ereditari nel termine triennale dall'apertura della successione, ancorché fosse corretta, avrebbe comportato la decorrenza del suddetto termine triennale dal momento in cui l'interessato aveva effettivamente avuto la possibilità giuridica di promuovere le azioni a tutela dei suoi diritti successori, ovvero nel termine triennale dalla pubblicazione della suddetta sentenza del Tribunale di Napoli, quindi entro il 30-6-1983, mentre il B.G. aveva notificato l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado della presente controversia soltanto il 24-10-1983. Orbene tale assunto trascura anzitutto il rilievo fondamentale che al riconoscimento dell'attuale ricorrente quale proprio figlio naturale operato da L G. con il testamento olografo del 18-3-1960 non poteva attribuirsi originariamente alcuna validità in quanto in insanabile contrasto con lo stato di R F. di figlio legittimo dei coniugi P B. ed A F. al riguardo deve richiamarsi l'art. 253 c.c. secondo il quale In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato in cui la persona si trova invero tale norma intende impedire una sovrapposizione di stati di filiazione tra loro in contrasto, nel senso che è inammissibile che un soggetto sia investito da un duplice stato di filiazione nei confronti di persone diverse, ovvero contemporaneamente di figlio legittimo di genitori uniti da matrimonio e di figlio naturale di un terzo. Conseguentemente ai fini di far valere i propri diritti sulla successione di L G. quale suo figlio naturale era necessario per l'attuale ricorrente rimuovere l'impedimento giuridico costituito dal suo stato di figlio legittimo del F. e della B. , come in effetti è avvenuto con la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1463/1980 che aveva accolto l'azione per il disconoscimento di paternità prevista dall'art. 235 c.c., con l'ovvia precisazione che al riguardo occorreva il passaggio in giudicato di tale sentenza, posto che evidentemente prima di allora sarebbe stata pur sempre possibile una riforma della predetta sentenza Il giudice di appello, quindi, nel fare riferimento all'art. 230 terzo comma della L. n. 151/1975, non ha considerato che il termine ivi previsto per far valere da parte del figlio naturale riconosciuto le proprie ragioni ereditarie sui beni della successione del padre naturale, nella fattispecie poteva decorrere soltanto dal passaggio in giudicato della suddetta sentenza del Tribunale di Firenze, atteso che altrimenti eventuali pretese ereditarie sarebbero state inammissibili questa Corte del resto in una fattispecie simile ha ritenuto che l'atto con il quale un figlio concepito durante il matrimonio sia stato in precedenza riconosciuto da altri come figlio naturale con testamento olografo, se originariamente privo di effetti, perché inidoneo a contrastare il più favorevole stato di figlio legittimo, viene ad acquistare piena operatività a seguito della retroattiva caducazione di tale stato per il passaggio in giudicato della sentenza che accoglie l'azione di disconoscimento di paternità del suddetto figlio Cass. 3-6-1978 n. 2782 non sarebbe quindi ammissibile introdurre una azione per far valere ragioni ereditarie da parte di un figlio naturale nei confronti dei beni della successione del padre naturale anche in presenza di una sentenza di accoglimento di una azione di disconoscimento del proprio stato di figlio legittimo non passata in giudicato in quanto quest'ultima, essendo soggetta ad impugnazione, non sarebbe idonea a superare la permanenza del contrasto con lo stato di figlio legittimo che ai sensi dell'art. 253 c.c. determina appunto l'inammissibilità di ogni pretesa fondata sullo stato di figlio naturale. Le argomentazioni finora espresse comportano l'assorbimento del profilo di censura articolato nel terzo motivo in ordine all'asserito rilievo, ai fini dell'osservanza del termine triennale di cui all'art. 230 terzo comma citato, dell'avvenuta proposizione da parte dell'attuale ricorrente del ricorso ex art. 274 c.c. per l'ammissibilità dell'azione giudiziale di paternità naturale. Con il quarto motivo il B.G. denuncia omessa e comunque insufficiente motivazione delle ragioni per le quali secondo il giudice di appello, con riferimento alle successioni aperte prima dell'entrata in vigore della L. n. 151/1975, lo stato di figlio legittimo di un terzo non impedirebbe la decorrenza del termine triennale previsto dall'art. 230 terzo comma della suddetta legge per far valere le ragioni ereditarie nella successione del padre naturale in particolare il richiamo al mero dato fattuale del decorso del termine di tre anni dall'apertura della successione, nonché all'azione proposta il 5-4-1971 dalla B. in qualità di curatrice del figlio R. per ottenere un vitalizio proporzionato alle sostanze ereditarie lasciate da G.L. , e l'asserita ampiezza della norma in questione, che non consentirebbe di procedere a distinzioni nell'ambito della categoria dei riconoscimenti invalidi di cui al secondo comma dell'art. 230 citato, non costituivano elementi idonei a consentire una sia pur minima disamina delle ragioni poste a fondamento della decisione. Il ricorrente poi solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 230 terzo comma della L. n. 151/1975 con riferimento agli artt. 3-24 e 30 Cost. qualora questa Corte condividesse l'impostazione della Corte territoriale, in quanto si determinerebbe una ingiustificata distinzione tra figli naturali riconosciuti con sentenza e figli naturali riconosciuti per volontà del genitore, posto che solo per i primi si farebbe valere la decadenza prevista dalla norma de quo , in palese violazione del principio di uguaglianza dell'art. 3 della Costituzione, oltre che della ratio ispiratrice della legge di riforma del diritto di famiglia. Il motivo è inammissibile. Invero il ricorrente, nel censurare l'interpretazione resa dal giudice di appello dell'art. 230 terzo comma più volte menzionato, lungi dal denunciare una violazione di legge a causa di una errata ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, deduce invece omessa o insufficiente motivazione, ovvero vizi relativi all' iter argomentativo che attengono piuttosto alla vantazione delle risultanze di causa e non all'ambito di operatività di una determinata disposizione di legge. La questione di legittimità costituzionale resta poi assorbita all'esito dell'accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti rilevato poi che la pronuncia rescissoria invocata dal ricorrente è preclusa dalla necessità di accertamenti di fatti inammissibili in questa sede, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.