L’acquisto della proprietà delle terre gravate da usi civici decorre dal decreto che legittima l’occupazione

I beni del coniuge, in regime di comunione familiare a decorrere dalla riforma del diritto di famiglia, acquistati con decreto di legittimazione all’occupazione abusiva del Commissario per la liquidazione degli usi civici anteriormente alla data del 20 settembre 1975 e liberati dal canone enfiteutico in data successiva alla predetta riforma non costituiscono oggetto di comunione legale.

La rilevanza del momento di acquisto della proprietà ai fini successori. Sottesa alla complessa vicenda successoria approdata in sede di legittimità è la determinazione del momento in cui un fondo del demanio civico può considerarsi definitivamente acquisito da un privato in seguito alla legittimazione dell’occupazione abusiva e relativa affrancazione ai sensi della legge n. 1766/1927. In particolare, ci si interrogava se tale acquisto decorra dal decreto del Commissario per la liquidazione degli usi civici con cui veniva legittimata l’occupazione abusiva decreto del 5 giugno 1973 , oppure tale acquisto fosse avvenuto solo con il successivo atto notarile del 1982 connesso all’esercizio del diritto di affrancazione. La questione rilevava in quanto tra le due date, per mezzo della riforma del diritto di famiglia del 1975, era stato introdotto il regime della comunione familiare, con la conseguenza che aderendo alla prima opzione il bene sarebbe di proprietà esclusiva del coniuge poi deceduto, mentre optando per la seconda ricostruzione il bene sarebbe entrato in comunione e quindi sarebbe stato, almeno in parte, escluso dalla successione. Mentre nei giudizi di merito i giudicanti ritengono di aderire alla prima opzione, con la pronuncia in rassegna la Cassazione fa propria la prima opzione ermeneutica. La natura del diritto attribuito mediante il decreto del Commissario per liquidazione degli usi civici. La Corte, premesso che l’art. 179, lett. a , c.c. qualifica come beni personali i beni che prima del matrimonio erano di proprietà del coniuge o su cui quest’ultimo aveva un diritto reale di godimento, ritiene che i beni del demanio civico oggetto di occupazione abusiva legittimata dal Commissario prima della costituzione del regime di comunione tra coniugi ma affrancati dopo tale momento siano beni personali del coniuge. Guardando la fattispecie oggetto di controversia, la Corte chiarisce che il rapporto enfiteutico che si era costituito con il decreto del Commissario per la liquidazione degli usi civici attribuiva un diritto reale e che quindi il bene in questione doveva ritenersi bene personale, dovendosi peraltro aggiungere che il diritto reale in questione, in realtà e come chiarito da un precedente di legittimità Cass. S.U. n. 1275/1991 , era di fatto equiparabile alla piena proprietà. Affrancazione ordinaria ed affrancazione speciale . La pronuncia in rassegna evidenzia ancora come l’affrancazione ricorrente nella fattispecie in esame sia da differenziare dall’affrancazione ordinaria dove l’enfiteuta consegue ex novo l’acquisto del diritto di proprietà del terreno. Al contrario, nell’affrancazione speciale, essendo il legittimario già titolare di un diritto reale assimilabile alla proprietà, deve ritenersi che l’affrancazione determini un mero effetto espansivo del diritto già esistente. In altri termini in tale ipotesi, l’affrancazione avrebbe quale unico effetto quello di liberare il legittimario dall’obbligo di corrispondere il canone annuo. Momento di acquisto della proprietà e comunione legale . Su tali presupposti la Corte afferma che i beni acquistati dal coniuge con il decreto di legittimazione dell’occupazione abusiva del Commissario per la liquidazione degli usi civici anteriore al 20 settembre 1975 e liberati dal canone enfiteutico dopo la riforma del diritto di famiglia non sono oggetto di comunione legale. La vicenda in esame, oltre al particolare caso della comunione legale applicabile al rapporto coniugale in seguito all’introduzione della riforma del diritto di famiglia, può avere una rilevanza più generale in tutti i casi in cui il regime delle comunione legale è intervenuto dopo il decreto del Commissario ma prima dell’affrancazione speciale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 febbraio - 8 aprile 2013, n. 8506 Presidente Goldoni – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 15/4/1995 S D. , vedova del defunto A C. e i figli di quest'ultimo, C.V. , An. , L. , R. e Am. , convenivano in giudizio S.M. , moglie di Cr.Lo. figlio deceduto di a. in proprio e nella qualità di esercente la patria potestà sulla minore C.A. , figlia di Lo. . Gli attori esponevano - che nel patrimonio da dividere la metà già apparteneva alla vedova per effetto della comunione legale 1/3 del patrimonio ereditario era invece da attribuirsi alla vedova ex art. 581 c.c. in quanto coniuge - che la S. non aveva aderito alla residua divisione ereditaria in sei quote da attribuire a ciascun fratello - che pertanto era necessario procedere allo scioglimento della comunione ereditaria e alla conseguente attribuzione delle quote. La S. , nelle precisate qualità, si costituiva e chiedeva che si procedesse alla divisione previa collazione di somme e titoli depositati presso istituti di credito e intestati al de cuius e degli immobili apparentemente venduti da a c. agli altri figli, ma in realtà donati inoltre sosteneva che nella divisione doveva rientrare anche la quota di tre terreni che le controparti ritenevano in comproprietà della vedova la quale, invece, non ne era comproprietaria perché i terreni erano stati acquistati dal de cuius prima dell'entrata in vigore della l. 151/1975 che aveva introdotto il regime della comunione familiare tra coniugi in particolare sosteneva che l'acquisto si era verificato con il decreto 5/6/1973 del Commissario per la liquidazione degli usi civici di legittimazione dell'occupazione abusiva di terre del demanio civico. Con sentenza non definitiva pronunciata nell'anno 2000, il Tribunale di Roma accertava la consistenza del patrimonio ereditario dichiarando S D. proprietaria di 5/6 degli immobili costituiti dai terreni che erano stati affrancati nel 1985 rigettava le domande riconvenzionali di collazione e simulazione in quanto sfornite di prova rimettendo la causa sul ruolo per le operazioni di divisione. Con la sentenza definitiva, pronunciata nel 2005, il Tribunale disponeva lo scioglimento della comunione in ragione della quota di 12/18 spettante a S D. e di 1/18 a ciascuno degli altri eredi, compresa la quota della S. , alla quale era riconosciuta la somma di Euro 21.234,99 come controvalore. La S. appellava tempestivamente entrambe le sentenze. Resistevano gli originari attori che spiegavano appello incidentale per omessa pronuncia quanto alla dichiarazione che D.S. era proprietaria dei manufatti insistenti sui terreni sopra menzionati, per la quota di 5/6. La Corte di Appello di Roma con sentenza dell'11/12/2007 rigettava l'appello incidentale relativo alla quota in tesi da riconoscere a S D. di proprietà degli immobili, realizzati sui terreni e rigettava gli appelli della S. . La Corte territoriale, per quanto ancora di interesse, rilevava - che l'acquisto dei terreni, già gravati da usi civici, era avvenuto solo con l'atto notarile del 1982 a seguito dell'esercizio del diritto di affrancazione, e, quindi, nel regime di comunione familiare tra coniugi l'acquisto non poteva essere fatto risalire alla precedente data nella quale il Commissario per la liquidazione degli usi civici aveva legittimato l'occupazione perché tale atto non attribuiva la proprietà, ma solo un diritto enfiteutico - che la domanda di simulazione degli atti di compravendita a favore degli altri figli doveva essere rigettata per carenza di prova non essendo sufficiente la sola produzione degli atti di compravendita. M S. ha proposto ricorso affidato a due motivi la cui illustrazione si conclude con la formulazione di quattro quesiti la ricorrente ha depositato memoria. S D. , e C.V. , An. , L. , R. e Am. resistono con controricorso con il quale preliminarmente eccepiscono l'inammissibilità del ricorso per mancanza dell'esposizione sommaria dei fatti i controricorrenti hanno depositato memoria. Motivi della decisione L'eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per mancanza dell'esposizione sommaria del fatto è infondata in quanto dal ricorso emerge con chiarezza il fatto portato all'esame dei giudici, le contrapposte difese e il contenuto della decisione impugnata. 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della legge 16/6/1927 n. 1166 nonché del R.D. 26/2/1928 n. 332 art. 30 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. e sostiene che con il provvedimento commissariale di legittimazione dell'occupazione, emesso il 5/6/1973, era già stato acquisito al patrimonio di a c. un diritto soggettivo perfetto di natura reale l'esercizio del potere di affrancazione costituiva esercizio di un diritto potestativo già presente nel patrimonio dell'enfiteuta con il decreto di legittimazione, con la conseguenza che il diritto reale doveva considerarsi sorto già alla data del 5/6/1973 con l'acquisto della frazione economicamente più importante del bene, avvenuto in data antecedente rispetto all'entrata in vigore del diritto di famiglia e formula quesito diretto a stabilire se in costanza di matrimonio celebrato prima del 20/9/1975 i beni per i quali coniuge ha ottenuto la legittimazione dell'occupazione abusiva con decreto del Commissario per la liquidazione degli usi civici del 5/6/1973 e che sono stati affrancati nel 1982 rimangano nella proprietà esclusiva del coniuge intestatario. 1.1 Il motivo è fondato per quanto di ragione. I beni de quibus sono stati ritenuti appartenenti alla comunione familiare ai sensi dell'art. 177 c.c. sul presupposto che l'acquisto sia avvenuto con l'esercizio del diritto di affrancazione di cui all'atto notarile del 1982 e non con il decreto di legittimazione all'occupazione abusiva del Commissario per la liquidazione degli usi civici, pacificamente anteriore alla riforma del diritto di famiglia. Tuttavia, l'art. 179 c.c. lett. a stabilisce che non costituiscono beni della comunione e sono personali i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento nella specie il rapporto enfiteutico che si era costituito con il decreto del Commissario per la liquidazione degli usi civici attribuiva un diritto reale sul bene che, quindi doveva ritenersi bene personale ai sensi dell'art. 179 c.c. e, anzi, il diritto reale così acquisito doveva ritenersi equiparabile alla piena proprietà secondo quanto ritenuto da questa Corte v., in motivazione, Cass. S.U. 7/2/1991 n. 1275 tale istituto attribuisce all'occupatore la piena proprietà della terra, con il peso del canone enfiteutico, trasformando il demanio in allodio infatti mentre con l'affrancazione ordinaria, come è noto, l'enfiteuta consegue ex novo l'acquisto del diritto di proprietà del terreno, con l'affrancazione speciale di cui trattasi diversa dal riscatto di cui alla legge n. 369 del 1967 nel quale si configura una rapporto concessorio con diritto di riservato dominio spettante all'Ente di riforma v. Cass. 27/8/2012 n. 14653 , invece, poiché il legittimario è già titolare di un diritto reale assimilabile al diritto di proprietà per effetto della legittimazione, può sostenersi che l'affrancazione determini solo un effetto espansivo del diritto preesistente e l'unico effetto dell'affrancazione è la liberazione del legittimario dall'obbligo di corresponsione del canone annuo questa interpretazione, per la quale l'affrancazione determina solo l'effetto espansivo del diritto reale preesistente, trova una conferma nell'art. 2815 c.c. per il quale, nel caso di affrancazione l'ipoteca gravante sul diritto dell'enfiteuta si estende alla piena proprietà. Con riferimento al contenuto economico del diritto dell'enfiteuta e del diritto del proprietario concedente, può affermarsi che il valore della proprietà del concedente è pari al valore dell'affrancazione e il valore del diritto dell'enfiteuta è corrispondente al valore del terreno, detratto il costo dell'affrancazione. Va qui precisato, che con riguardo alle famiglie costituite prima della data di entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151, in mancanza di una volontà contraria al regime della comunione legale , il regime avrà decorrenza dal 16 gennaio 1978, ma in ragione dell'interpretazione autentica fornita con la legge n. 804 del 1977 oggetto della stessa saranno, non solo, gli acquisti compiuti dai coniugi dopo tale data, ma anche quelli effettuati dal 20 settembre 1975 fino al 15 gennaio 1978, purché ancora esistenti nel patrimonio del coniuge acquirente nel caso di specie l'acquisto deve considerarsi avvenuto in data 5/6/1973 e pertanto sicuramente non rientrante nella comunione. Occorre pertanto affermare il principio di diritto secondo il quale i beni acquistati dal coniuge con il decreto del Commissario per la liquidazione degli usi civici, di legittimazione all'occupazione abusiva, anteriormente al 20/9/1975 e liberati dal canone enfiteutico in data successiva alla predetta riforma non costituiscono oggetto della comunione legale. 2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1417 c.c. in relazione agli artt. 2724 e 2729 c.c. per il diniego di ammissione dei mezzi di prova e lamenta che la Corte territoriale ha rigettato la domanda di simulazione delle vendite tra c.a. e i figli V. , An. e R. e le rispettive mogli per mancanza di prova, non essendo sufficiente, ai fini della prova, la produzione degli atti di vendita nei quali, secondo la ricorrente, non risultava il pagamento del prezzo perché si dava atto che il prezzo era già stato pagato. La ricorrente afferma - che la Corte territoriale nulla dice sulle richieste istruttorie di interpello su capitoli di prova diretti a provare che a fronte della vendita non furono versate somme di denaro al padre venditore - che le prove per interrogatorio formale erano ammissibili anche per la prova della simulazione e anche con riferimento ai trasferimenti immobiliari in quanto diretti a provare la simulazione del contratto e non la sua esistenza. 2.1 Il motivo è inammissibile perché le norme di cui è denunciata la violazione non sono state né applicate, né disapplicate dal giudice di appello posto che dalla sentenza non risulta che sia mai stata formulata una richiesta di prove per interpello e i documenti sono stati ritenuti inidonei a provare la simulazione. La mancata ammissione di mezzi istruttori senza motivazione integra vizio di motivazione e la valutazione degli elementi istruttori documentali può e deve essere censurata come vizio di motivazione. Tuttavia nel ricorso non è dedotto un vizio di motivazione della sentenza con riferimento alle prove non ammesse e alla valutazione, ai fini della prova dei documenti, ma anche se si volesse ritenere una implicita censura di omessa o viziata motivazione la censura sarebbe in ogni caso inammissibile mancando il relativo quesito di fatto pertinente al vizio in ipotesi implicitamente dedotto, così come manca l'indicazione del momento in cui, nel processo, sono state formulate le relative istanze istruttorie e manca l'indicazione delle attività processuali con le quali tali istanze sarebbero state coltivate e non abbandonate. 3. In conclusione deve essere accolto il primo motivo di ricorso e deve essere dichiarato inammissibile il secondo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che si atterrà al seguente principio di diritto I beni del coniuge, in regime di comunione familiare a decorrere dalla riforma del diritto di famiglia, acquistati con il decreto di legittimazione all'occupazione abusiva del Commissario per la liquidazione degli usi civici anteriormente alla data del 20/9/1975 e liberati dal canone enfiteutico in data successiva alla predetta riforma non costituiscono oggetto della comunione legale. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.