La convivenza prolungata impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità? La parola alle Sezioni Unite

Il valore della protrazione ultrannuale del matrimonio in relazione alla possibilità di delibazione della sentenza canonica di nullità è discusso non è chiaro, in particolare, se la prolungata convivenza dei coniugi rappresenti una condizione ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza canonica. Sul punto si dovranno pertanto pronunciare le Sezioni Unite.

La decisione è stata presa dalla Prima Sezione Civile della S.C. con l’ordinanza interlocutoria n. 712/13, depositata il 14 gennaio. Il caso. La Corte di appello di Venezia dichiara l’efficacia della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, confermata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica la sposa, infatti, avrebbe escluso il bonum sacramenti , ossia il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, manifestando il suo pensiero a terzi. Avverso tale pronuncia il marito propone ricorso per cassazione. Il favor per la validità. Con un primo motivo di ricorso, egli denuncia la contrarietà all’ordine pubblico interno degli effetti riconosciuti alla pronuncia di annullamento del matrimonio concordatario celebrato ben dieci anni prima, richiamando il noto favor per la validità del matrimonio che, in caso di convivenza prolungata dei coniugi, osterebbe alla delibazione della pronuncia di nullità. Resiste la controricorrente, deducendo il difetto di autosufficienza del ricorso nonché la sua infondatezza. La prolungata convivenza è condizione ostativa alla delibazione Gli Ermellini rilevano che effettivamente sussiste una diversità di opzioni interpretative con la sentenza n. 1343/2011 la S.C. ha affermato che la prolungata convivenza tra i coniugi rappresenta condizione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità. Tale situazione, infatti, esprime la volontà di accettazione del rapporto, in contrasto con l’esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione adducendo una riserva mentale risalente al tempo delle nozze, cioè un vizio del matrimonio – atto non più azionabile dopo la scadenza dei termini dell’impugnativa. Tale interpretazione manifesta il favor per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di tutela costituzionale e attribuisce pertanto rilievo preminente al matrimonio – rapporto fondato sull’unione coniugale. Le ragioni che rilevano per la legge canonica, pur ravvisabili, resterebbero dunque sanate dal rapporto che ne è seguito. oppure non contrasta con la pronuncia canonica? Si è invece discostata da tale orientamento la sentenza n. 8926/2012, la quale, accertato il vizio simulatorio di uno degli sposi, ha escluso che la successiva convivenza, seppure protrattasi per oltre trent’anni, esprima norme fondamentali che disciplinano l’istituto del matrimonio non si ravvisano pertanto ostacoli alla delibazione della sentenza ecclesiastica. Insomma, la convivenza, pur esprimendo l’effettiva comunione materiale e spirituale tra i coniugi creatasi nonostante il vizio genetico riscontrato dal giudice ecclesiastico, non comporta contrasto tra l’ordinamento canonico, che regola la validità del matrimonio – atto, e quello interno, che opta per la stabilità del matrimonio – rapporto trascorso il tempo ritenuto congruo dal legislatore. Stante la natura dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica, la Corte di appello, in sede di delibazione, è tenuta a trovare un punto di equilibrio nelle ipotesi di divergenza tra diritto canonico e civile da qui la necessità di delimitare il concetto di ordine pubblico interno ai soli casi in cui si ravvisi una contrarietà ai canoni essenziali cui secondo l’ordinamento italiano è improntato il matrimonio. Dovranno esprimersi le Sezioni Unite. A giudizio degli Ermellini il rilevato contrasto va sottoposto alle Sezioni Unite, le quali dovranno stabilire se la protrazione ultrannuale della convivenza rappresenti una condizione ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità e se il citato contrasto tra la condizione indicata e l’ordine pubblico interno sia verificabile d’ufficio dalla Corte di appello e dalla Cassazione qualora emerga dagli atti bisognerà poi chiarire se, in caso di risposta positiva, la Corte di appello possa disporre l’acquisizione di ulteriori elementi di verifica.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza interlocutoria 6 dicembre 2012 – 14 gennaio 2013, n. 712 Presidente Luccioli - Relatore Cultrera Svolgimento del processo La Corte d'appello di Venezia, con sentenza n. 508 depositata l'11 gennaio 2011, ha dichiarato l'efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza del 12.12.2008 pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale del Triveneto, confermata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo in data 3.9.2009 ed infine resa esecutiva con decreto 9.12.2009 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario tra F.F. e T.D. celebrato in omissis , per accertata esclusione del bonum sacramenti del vincolo indissolubile del matrimonio da parte della F. manifestata a terzi, in particolare ai suoi familiari e ad un'amica e percepita dal sacerdote che curò la preparazione prematrimoniale, congiunto dello sposo, dunque ragionevolmente anche da questo. Avverso questa decisione D T. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi resistiti dall'intimata con controricorso, illustrato altresì con memoria difensiva depositata a mente dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Il ricorrente deduce col primo motivo violazione dell'articolo 8 della legge n. 121/1985, dell'articolo 123 c.c. e dell'articolo 29 Cost. in relazione all'articolo 360 n. 3 c.p.c. per denunciare la contrarietà all'ordine pubblico interno degli effetti riconosciuti dalla Corte del merito alla pronuncia d'annullamento del matrimonio concordatario, seppur celebrato con la F. dieci anni prima, elevandone ad indici rivelatori la convivenza protratta per l'intera durata del rapporto matrimoniale e la nascita di una figlia. Richiama a conforto della censura il principio enunciato nella sentenza di questa Corte n. 1343/2011 secondo cui l'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare che, ove si sia protratto per lungo periodo di tempo, osta alla delibazione della pronuncia di nullità che investe l'atto. La controricorrente replica deducendo il difetto di autosufficienza del ricorso e quindi la sua inammissibilità, palesata dall'omessa specificazione degli elementi in cui si è concretata la vicenda fattuale indi la sua infondatezza, desumibile dall'inapplicabilità del richiamato enunciato, siccome espresso in fattispecie in cui il giudice ecclesiastico aveva escluso il bonum prolis , difforme dal caso di esclusione del vincolo dell'indissolubilità del matrimonio accertata dal tribunale ecclesiastico nel caso in esame, e coltiva infine la sua difesa, richiamando in memoria difensiva il principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 8926/2012, che ha escluso che la convivenza fra i coniugi rappresenti condizione ostativa alla delibazione della sentenza di nullità del matrimonio canonico ribadendo principio consolidato, contrastato unicamente dalla cennata sentenza n. 1343/2011. La tematica introdotta dalle riferite opposte tesi difensive, non ancora contrastanti all'epoca della decisione assunta dalla Corte d'appello di Venezia, che ha dichiarato l'efficacia nel territorio dello Stato della sentenza di nullità pronunciata dal giudice ecclesiastico trascurando la disamina circa la portata ostativa ovvero l’irrilevanza della durata decennale del matrimonio celebrato tra le parti in causa ed allietato anche dalla nascita di una figlia, registra il riferito contrasto tra l'enunciato invocato dal ricorrente, espresso con la sentenza n. 1343/2001, ed il successivo recente arresto n. 8926 del 2012, evocato dalla controparte, palesemente espressivi di antitetica opzione esegetica. Afferma la sentenza n. 1343/2011 che la prolungata convivenza tra i coniugi rappresenta condizione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario laddove si sia tradotta in un rapporto corrispondente alla durata del matrimonio o comunque ad un periodo di tempo considerevole dopo la celebrazione del matrimonio e la scadenza del termine per l'impugnativa del matrimonio - atto, in quanto siffatta situazione esprime la volontà di accettazione del rapporto proseguito, confliggente con l'esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione adducendo, per quel che rileva in questa sede, riserva mentale risalente al tempo delle nozze, cioè un vizio del matrimonio - atto non più azionabile dopo la scadenza dei termini per l'impugnativa, e concretante incompatibilità ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario. La costruzione esegetica, che assume a dato dirimente la durata del matrimonio intesa quale convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio, richiamando espressamente l'arresto delle S.U. n. 19809 del 18 luglio 2008, rileva che l'ordine pubblico interno matrimoniale manifesta il favor per la validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali Cass. S.U. 2008/19809 e, per l'effetto, nella cornice sistematica regolata secondo i dettami dell'articolo 29 della Costituzione e della riforma del diritto di famiglia, attribuisce rilievo preminente al matrimonio-rapporto fondato sull'unione coniugale, a sua volta fondante il rapporto familiare. Le ragioni che, attenendo alla coscienza dei nubendi, rilevano per la legge canonica, non necessariamente concretano cause invalidanti del matrimonio per l'ordinamento civile e, pur se ravvisabili, restano sanate dal protrarsi del rapporto che ne è seguito. A questo orientamento si è sostanzialmente uniformata la sentenza n. 9844/2012 in un caso in cui la sentenza del tribunale ecclesiastico aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per difetto di consenso, assumendo tale vizio psichico a condizione d'inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, sostanzialmente conforme all'ipotesi di invalidità contemplata dall'articolo 120 c.c., sostenendo all'esito che la durata ventennale del matrimonio prospettata dalla ricorrente come impeditiva della delibazione, secondo il principio dettato da Cass. 2011 n. 1343, non rilevava nella specie, essendosi la medesima ricorrente limitata a porre in evidenza solo detto elemento temporale, e non l'effettiva convivenza dei coniugi nello stesso periodo, che in ogni caso avrebbe dovuto essere dedotta e provata in sede di delibazione. Anche Cass. 2012 n. 1780 ha aderito al richiamato arresto, con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra matrimonio atto e matrimonio rapporto, pur escludendo nella specie l'instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato. Se ne è invece consapevolmente discostata la sentenza n. 8926 del 2012 che, in fattispecie in cui si era accertato il vizio simulatorio di uno degli sposi, ha escluso che la convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio, che pur nella specie considerata si era protratta per oltre trent'anni, esprima norme fondamentali che disciplinano l'istituto del matrimonio e, pertanto, non è ostativa, sotto il profilo dell'ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico . L'arresto si colloca espressamente nel solco tracciato dal precedente delle S.U. n. 4700/1988 che aveva risolto analogo contrasto affermando che Con riguardo alla sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per esclusione unilaterale di uno dei bona matrimonii , manifestata all'altro coniuge, la delibazione, nella disciplina di cui agli artt. 1 della legge 27 maggio 1929 n. 810 e 17 della legge 27 maggio 1929 n. 847 nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1982 , deve ritenersi consentita anche se detta nullità sia stata dichiarata su domanda proposta dopo il decorso di un anno dalla celebrazione, ovvero dopo il verificarsi della convivenza dei coniugi successivamente alla celebrazione stessa, in difformità dalla disposizione dettata dall'articolo 123 secondo comma cod. civ. in tema d'impugnazione del matrimonio per simulazione, atteso che la norma, pur avendo carattere imperativo, non configura espressione di principi e regole fondamentali con le quali la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l'istituto del matrimonio, e che, pertanto, la indicata difformità non pone la pronuncia ecclesiastica in contrasto con l'ordine pubblico italiano . E, a lume di questa esegesi, conclude assumendo che la convivenza, pur esprimendo l'effettiva comunione spirituale e materiale creatasi tra i coniugi nonostante il vizio genetico riscontrato dal giudice ecclesiastico, non comporta contrasto tra i due ordinamenti, quello canonico che regola la validità del matrimonio-atto e quello interno che, a dispetto del riscontrato difetto, opta per la stabilità del matrimonio-rapporto trascorso il tempo ritenuto congruo dal legislatore. Ed invero, prosegue nella motivazione la sentenza n. 8926/2012, considerata la natura dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, disciplinati da accordi il cui valore, nell'ambito del principio di bilateralità, è consacrato nell'articolo 7 Cost., comma 2, che fornisce copertura costituzionale anche agli accordi successivi ai Patti Lateranensi, ivi espressamente indicati , e pur nel vigore della L. 25 marzo 1985 n. 121 che ha dato esecuzione all'accordo di modificazioni ed al protocollo addizionale del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e l'Italia, restando attribuita in via esclusiva al tribunale ecclesiastico la cognizione sull'invalidità del matrimonio concordatario, siccome disciplinato nel suo momento genetico dalla legge canonica, la Corte d'appello, chiamata in sede di delibazione ad attribuirne efficacia nel nostro territorio, è tenuta a trovare un punto di equilibrio nelle non poche ipotesi di divergenza tra il diritto canonico e quello civile. Di qui la necessità di delimitare il concetto di ordine pubblico interno circoscrivendolo al caso cfr. S.U. n. 5026/1982 in cui si ravvisi una contrarietà ai canoni essenziali cui secondo l'ordinamento interno è improntata la struttura dell'istituto matrimoniale, tra i quali non si annovera l'instaurazione del matrimonio-rapporto e la stabilità ad esso attribuita dalla previsione dell'articolo 123 comma 2 c.c Affermata dai plurimi arresti citati nella motivazione della sentenza riferita Cass. 10 maggio 2006 n. 10796, 7 aprile 2000 n. 4387, 7 aprile 1997 n. 2002, 17 giugno 1990 n. 6552 e 17 ottobre 1989 n. 4166 , la tesi ivi propugnata si colloca in una cornice interpretativa del tutto contrastante con quella fondante la sentenza n. 1343/2011 che ha inteso far riferimento alla nozione di ordine pubblico predicata dalla sentenza delle sezioni unite del 18 luglio 2008 n. 19809, che tuttavia, in un caso di nullità basata su un vizio del consenso scaturente dall'ignoranza dell'infedeltà prematrimoniale di uno dei coniugi, e nell'ambito della delineata distinzione fra cause di incompatibilità assolute e relative essendo soltanto le prime ostative alla delibazione in considerazione del favor al riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale ai sensi del citato Protocollo addizionale , ha concluso per l'irrilevanza nel giudizio di legittimità della convivenza come causa ostativa alla delibazione, in quanto la relativa eccezione non era stata esaminata né prospettata in sede di merito. La composizione del rilevato contrasto ad avviso di questo collegio deve essere rimessa alle sezioni unite della Cassazione, cui s'intende sottoporre la definizione anche delle ulteriori questioni originate dalle riferite opzioni interpretative, allo stato irrisolte, secondo il seguente ordine logico 1.- se la protrazione ultrannuale della convivenza rappresenti condizione integrante violazione dell'ordine pubblico interno e per l'effetto sia ostativa alla dichiarazione d'efficacia della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice ecclesiastico, ed in presenza di quali vizi del matrimonio - atto operi, in tesi, tale preclusione. In questa cornice, in particolare, se il limite dell'ordine pubblico si riferisca alla convivenza da intendersi quale coabitazione materiale, cui fanno riferimento gli artt. 120 e 122 c.c. in caso di vizi del consenso, ovvero sia significativa di un'instaurata affectio familiae , nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi reciproci, per l'appunto, come tra veri coniugi articolo 143 cod. civ. , tale da dimostrare l'instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto Cass. n. 1780/2012 , dovendo in tal senso intendersi la locuzione abbiano convissuto come coniugi di cui al comma 2 dell'articolo 123 c.c. in caso di simulazione. E, in logica consecuzione 2.- se, in caso affermativo, il contrasto tra l'indicata condizione e l'ordine pubblico interno sia verificabile d'ufficio dalla Corte d'appello, versandosi in un caso d'impedimento assoluto alla riconoscibilità della sentenza ecclesiastica in tal senso Cass. citata n. 1780 del 2012 , dal momento che l'ordine pubblico esprime valori di natura indeclinabile ed è per l'effetto indisponibile, ovvero sia rilevabile solo su eccezione della parte che si oppone alla delibazione 3.- se, ammessa la rilevabilità d'ufficio, rientri nei poteri della Corte d'appello, la cui indagine è astretta entro il limite del compendio istruttorio formatosi nel giudizio ecclesiastico, disporre l'acquisizione di ulteriori elementi di verifica 4.- se l'incompatibilità in discorso, laddove si ritenga rilevabile d'ufficio, sia riscontrabile anche dalla Corte di Cassazione se emerge dagli atti secondo quanto è avvenuto in sede di pronuncia n. 1343/2011 e sia dunque scrutinabile senza necessità d'ulteriore istruttoria. Tutto ciò premesso, gli atti vanno rimessi al Primo presidente perché valuti l'opportunità di rimettere la composizione delle indicate questioni alle Sezioni Unite. P.Q.M. La Corte rimette gli atti al Primo Presidente perché valuti l'opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite.