Testamento biologico e amministratore di sostegno a garanzia: nessuna efficacia se l’incapacità è futura e solo eventuale

Chiara la linea seguita dai giudici, che hanno respinto la richiesta di una donna di nominare preventivamente l’amministratore di sostegno da lei indicato in una scrittura privata autentica e destinato a fungere da garante per il rispetto del testamento biologico da lei messo nero su bianco. La procedura ha ragione d’essere solo in occasione del manifestarsi effettivo della condizione di infermità o di incapacità della persona.

Porte sbarrate all’ipotesi di mettere ‘nero su bianco’ il proprio testamento biologico, e di individuare anche la persona – di fiducia – che dovrà fungere da garante. Porte sbarrate se l’operazione è messa in atto in previsione di una futura ed eventuale incapacità . Esattamente questo dettaglio – chiamiamolo così – non è accettabile, oggi come oggi, in un Paese come l’Italia Cassazione, sentenza n. 23707/2012, Prima Sezione Civile, depositata oggi . Carta straccia A dare il ‘la’ alla battaglia, giudiziaria e di civiltà, è la scrittura privata, autenticata da un notaio, con cui una donna nomina il proprio amministratore di sostegno in previsione di una propria futura ed eventuale incapacità , precisando, allo stesso tempo, le proprie volontà circa le cure mediche alle quali essere o non essere sottoposta in futuro e affidando, su quest’ultimo aspetto, alla persona dell’amministratore di sostegno, ovviamente, pieni poteri . Scelta di libertà? Probabilmente sì, da un punto di vista etico. Ma scelta non accettabile secondo la giustizia italiana. Non a caso, prima il giudice tutelare e poi la Corte d’Appello rigettano la richiesta della donna di nominare ufficialmente l’amministratore di sostegno indicato nella scrittura privata, e i giudici di secondo grado chiariscono che la richiesta non può provenire da persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica , poiché essa presuppone uno stato d’incapacità attuale e non futuro . Libertà condizionata Ma di fronte al niet della giustizia italiana la donna non si arrende, e prosegue anche dinanzi ai giudici della Suprema Corte la propria ‘guerra’, contestando la pronunzia di secondo grado e rivendicando la legittimità del proprio operato. Per una ragione fondamentale la designazione dell’amministratore di sostegno rappresenta strumento di tutela idoneo a garantire piena validità alle direttive anticipate di trattamento sanitario , anch’esse indicate nella scrittura privata, come, ad esempio, esclusione della ventilazione o alimentazione forzata artificiale in caso di malattia allo stato terminale, lesione cerebrale irreversibile e invalidante, comportanti trattamenti o sistemi artificiali impeditivi della normale vita di relazione . Ebbene, sostiene la donna, richiamando anche un precedente di merito ad hoc , tale consapevole operazione prescinde dall’attualità dello stato d’incapacità . Ma quest’ultima posizione non viene condivisa dai giudici della Cassazione, che mostrano, invece, di seguire in pieno la linea di pensiero già manifestata dai giudici di primo e di secondo grado, e centrata su un elemento preciso la sussistenza della condizione attuale d’incapacità . Su quest’ultimo aspetto, comunque, i giudici si soffermano ulteriormente per fare chiarezza, ribadendo, innanzitutto, che la procedura , ossia la nomina dell’amministratore di sostegno, implica il manifestarsi della condizione di infermità o incapacità della persona e l’insorgere coevo dell’esigenza di protezione , e affermando che, di conseguenza, l’intervento giudiziario, in coerenza con questa finalità, non può che essere contestuale al manifestarsi dell’esigenza di protezione del soggetto, dunque della situazione d’incapacità o infermità da cui quell’esigenza origina . Conseguenza logica, e assolutamente netta non ne è ammessa l’adozione ora per allora, in vista di una condizione futura . Così, chiudendo la vicenda, i giudici di Cassazione respingono definitivamente la richiesta presentata dalla donna. Con l’aggiunta, però, di un’ulteriore importante sottolineatura la designazione de futuro , che si esplica mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, resta circoscritta nell’ambito di un’iniziativa privata, i cui effetti si dispiegano sul medesimo piano privatistico dal momento che non postula l’intervento del giudice. Valida nel momento genetico, la sua funzione è però destinata a compiersi, mediante il dispiegarsi dei suoi effetti, al realizzarsi della condizione personale avuta presente, e nell’alveo del procedimento giurisdizionale conseguentemente attivato attraverso la nomina conforme da parte del giudice tutelare .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 – 20 dicembre 2012, n. 23707 Presidente Luccioli – Relatore Cultrera Svolgimento del processo R.P., nel pieno delle sue facoltà fisiche e psichiche, con scrittura privata autenticata dal notaio dott.ssa F. in R. in data 7 giugno 2010, ha designato G.C. e in subordine in sostituzione P.S. quale proprio amministratore di sostegno, in previsione di una propria futura ed eventuale incapacità, precisando nel contempo la propria volontà circa le cure mediche alle quali essere o non sottoposta in futuro, con pieno poteri all’amministratore di sostegno di decidere al riguardo. Con ricorso del 26.10.2010 ha quindi chiesto nominarsi l’amministratore di sostegno nella persona ed al fine indicati nella cennata scrittura, al giudice tutelare di Trento che con decreto 29.11.2010 ne ha dichiarato l’inammissibilità. La Corte d’appello di Trento, investita del reclamo proposto dalla P., ne ha disposto il rigetto con decreto n. 862 depositato il 19 aprile 2011, osservando che la richiesta in discorso non può provenire da persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica, presupponendo uno stato d’incapacità attuale e non futuro. Avverso questo provvedimento R.P. ha infine proposto ricorso per cassazione in base ad unico motivo, cui non ha resistito il P.G. presso la Corte d’appello di Trento, cui è stato indirizzato e notificato. Motivi della decisione La ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 406 e 408 c.c., critica l’impugnato decreto sull’assunto che la designazione dell’amministratore di sostegno rappresenta strumento di tutela idoneo a garantire piena validità alle direttive anticipate di trattamento sanitario, difatti espresse specificamente nei termini riferiti nella scrittura privata allegata alla sua istanza nel senso di escludere rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione o alimentazione forzata artificiale in caso di malattia allo stato terminale, lesione cerebrale irrevocabile e invalidante, comportanti trattamenti o sistemi artificiali impeditivi della normale vita di relazione, in cui avrebbero dovuto invece assumersi cure dirette ad alleviare il dolore, comprese l’uso di oppiacei, anche se comportanti l’anticipo del fine vita , che prescinde dall’attualità dello stato d’incapacità del designante, presupposto della produzione degli effetti dell’istituto e non della sua stessa introduzione. Richiama a conforto precedente di merito, che ammette siffatta designazione ‘‘de futuro’’ alla luce del disposto dell’art. 406 c.c., che legittima lo stesso beneficiario ad attivare la procedura senza predeterminati limiti cronologici. Il ricorso espone censura priva di pregio. La decadenza impugnata ha assunto a dato dirimente, al fine della nomina dell’amministratore di sostegno designato dall’odierna ricorrente nella scrittura privata indicata in narrativa, la sussistenza della condizione attuale d’incapacità della designante, che consente l’attivazione della procedura e l’ingresso dell’istituto. Designato in vista di una probabile futura situazione d’incapacità o infermità, l’amministratore di sostegno va dunque nominato dal giudice nella persona indicata nell’atto, a meno di motivate gravi ragioni ostative, ma se e quando tale condizione si sarà verificata. Siffatta conclusione non si presta a critica. A lune del combinato disposto degli artt. 404 c.c., che prevede che ‘‘la persona che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio’’, e del successivo art. 407 c.c., comma 1, secondo cui ‘‘il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno deve indicare - le ragioni per cui si richiede la nomina dell’amministratore di sostegno’’, e comma 2, che stabilisce che ‘‘il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce - e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa’’, la procedura implica il manifestarsi della condizione d’infermità o incapacità della persona e l’insorgere coevo dell’esigenza di protezione cui è ispirata la ratio dell’istituto in discorso. La sua introduzione con la legge n. 6 del 2004, come già affermato da questa Corte con sentenza n. 13584/2006, mira infatti ad offrire uno strumento d’assistenza alla persona carente di autonomia a causa della condizione d’infermità o incapacità in cui versa che, calibrato dal giudice tutelare rispetto al grado d’intensità di tale situazione, consente di escludere gli interventi più invasivi degli istituti tradizionali posti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione. L’intervento giudiziario, in coerenza con questa finalità, non può che essere contestuale al manifestarsi dell’esigenza di protezione del soggetto, dunque della situazione d’incapacità o infermità da cui quell’esigenza origina, che, secondo il contesto normativo riferito, rappresenta presupposto dello stesso istituto e non già dei suoi soli effetti. Il provvedimento giudiziale, che, come previsto dal combinato disposto degli artt. 407 c.c. e 720 bis c.p.c., deve essere assunto all’esito del procedimento di volontaria giurisdizione cui sono connaturate trattazione sollecita e definizione allo stato, viene disposto ‘‘rebus sic stantibus’’, perciò all’attualità, in modo da salvaguardare, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti legittimati ai sensi dell’art. 406 c.c. ad attivare l’istituto, il diritto della persona alla tutela effettiva, necessaria in quel momento e in quella determinata situazione. In logica consecuzione, non ne è ammessa l’adozione ora per allora, in vista di una condizione futura. La legittimazione a proporre il ricorso per l’introduzione dell’istituto che l’art. 406 c.c. attribuisce anche al beneficiario, nella prospettazione della tesi difensiva della ricorrente munita di decisivo rilievo, e soprattutto la facoltà concessa dall’art. 408 c.c. allo stesso interessato di designare l’amministratore di sostegno in previsione della propria futura incapacità, non interferiscono né immutano il riferito quadro ricostruttivo, operando su piani distinti. Ed invero, la designazione ‘‘de futuro’’, che si esplica mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, resta circoscritta nell’ambito di un’iniziativa privata, i cui effetti si dispiegano sul medesimo piano privatistico dal momento che non postula l’intervento del giudice. Valida nel momento genetico, la sua funzione è però destinata a compiersi, mediante il dispiegarsi effettivo dei suoi effetti, al realizzarsi della condizione personale avuta presente, e nell’alveo del procedimento giurisdizionale conseguentemente attivato, attraverso la nomina conforme da parte del giudice tutelare. La tesi difensiva della ricorrente e le puntuali osservazioni espresse a base della sua richiesta conclusiva dal Procuratore Generale sollecitano questa Corte ad affermare che, esplicazione del principio dell’autodeterminazione della persona, in cui a sua volta si esplica e si realizza il rispetto della dignità umana, la designazione preventiva di cui si discute mira a valorizzare, come testualmente recita l’art. 408 c.c. ‘‘in della propria eventuale futura incapacità’’, il rapporto di fiducia interno al designante ed alla persona scelta che sarà tenuta ad esprimere le intenzioni, se risultano esternate ad integrazione dell’atto, circa gli interventi di natura patrimoniale e personale che si rendessero necessari all’avverarsi di quella condizione. In tal caso sul designato, non quale fiduciario perché non esclusivamente incaricato d’esternare la volontà del designante, non quale rappresentate legale al pari del tutore, né infine quale mero sostituto del beneficiario, graverà il compito di agire non solo nell’interesse di quest’ultimo, esercitando la funzione di protezione e garanzia tipica della sua investitura, ma con esso, per attuarne il proposito dichiarato. Ed il giudice tutelare, che in presenza di gravi motivi può motivatamente discostarsi dalla designazione, per logico corollario, analogamente, potrà discostarsi dalle scelte integrative espresse nell’atto di designazione, laddove se ne renda necessario l’intervento, soltanto se apprezza la sussistenza di gravi motivi. Premessa l’estraneità al thema decidendum e quindi l’irrilevanza ai fini della presente decisione della problematica attinente alla natura ed agli effetti delle direttive anticipate di trattamento sanitario - c.d. D.A.P. -, sulle quali il nostro legislatore, diversamente da quello di altri Stati europei - Francia, Germania, Austria e Spagna – non è ancora intervenuto, deve affermarsi che nel caso in considerazione l’intervento dell’amministratore di sostegno designato, pur con i limiti operanti in materia di diritti personalissimi, è vincolato alle indicazioni manifestate nella condizione di capacità dal soggetto, occorre aggiungere sempre revocabili, ed ha il potere ed il dovere di esternarle, senza che si ponga la necessità di ricostruire la volontà attraverso atti e/o fatti compiuti in stato di capacità. L’art. 408 c.c. prevede che la scelta dell’amministratore di sostegno avvenga con ‘‘esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona’’ ed il successivo art. 410 c.c., comma 1, impone al predetto di agire tenendo conto dei bisogni e delle ‘‘aspirazioni’’ del beneficiario, a maggior ragionen se questi le abbia già dichiarate con l’atto di designazione proprio in previsione della sua futura incapacità. Il diritto alla salute, secondo l’art. 32, comma 2, della Costituzione, prevede in senso preminentemente volontario il trattamento sanitario, in coerenza con i principi fondamentali e indeclinabili d’identità e libertà della persona umana, senziente e non, di cui agli artt. 2 e 13 della Costituzione, di quali in senso speculare è espressione il consenso informato quale libera e volontaria adesione al trattamento sanitario proposto dal medico. E’ la dignità umana il valore fondamentale a base dei dettami riferiti e su di essa converge il coacervo delle fonti giuridiche interne e sopranazionali, rappresentate dagli artt. 2, 3 e 35 della Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vincolante dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dai principi di cui agli artt. 5, 9 e 21 della Convenzione di Oviedo che impongono di tener conto, a proposito di un intervento medico, dei desideri del paziente non in grado di esprimere la sua volontà, dall’art. 38 del Codice medico di tener conto di quanto precedentemente manifestato dal paziente in modo certo e documentato, dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 dicembre 2008 che reca raccomandazioni alla Commissione sulla protezione giuridica degli adulti, dal documento del Comitato Nazionale per la Bioetica sulle c.c. D.A.P. del 19 dicembre 2003 che ammette ‘‘sia preferibile far prevalere le indicazioni espresse dal malato quando in possesso delle sue facoltà’’, dagli arresti giurisprudenziali della Cassazione n. 21748/2007 sul caso di E.E., della Corte Costituzionale n. 438 del 2008 in materia di consenso informato, della CEDU del 29 aprile 2002, Pretty contro R.U. ricorso n. 2346/2002. Ancor più significativa è la Convenzione di New York ratificata con legge n. 18 del 3 marzo 2009, che nel preambolo riconosce l’importanza per le persone con disabilità nell’autonomia ed indipendenza individuale della libertà di scegliere le cure mediche, e ne promuove, garantisce e protegge il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, prevedendo all’art. 3 il rispetto della dignità del disabile attraverso l’eliminazione di barriere che ne determinino disuguaglianze, all’art. 17 il rispetto dell’integrità fisica, all’art. 12 l’esercizio effettivo della capacità giuridica, imponendo agli Stati d’assicurare tutte le misure relative. Quale perno di questa copiosa produzione, che disvela l’attenzione sempre più avvertita alla tutela della persona tout court ed al rispetto della sua volontà, il valore della dignità riferito sia al soggetto capace sia all’incapace si esprime nella autodeterminazione, che a sua volta rappresenta l’asse portante del rapporto che si estrinseca nella ‘‘alleanza terapeutica’’ e che esplicita l’impostazione che ad essa la persona capace intende dare attraverso l’atto di designazione. A corollario, può sostenersi che siffatto atto 1. vincolerà l’amministratore di sostegno, seppur i suoi poteri non sono prestabiliti ma sono fissati dal giudice tutelare nell’esercizio del suo potere decisionale, nel perseguire la finalità della ‘‘cura’’ necessaria a garantire la protezione del beneficiario e nell’attuarne le ‘‘aspirazioni’’, laddove ne venga in rilievo il diritto alla salute, prestando il consenso o il dissenso informato agli atti di cura che impongono trattamenti sanitari 2. orienterà l’intervento del sanitario 3. ne imporrà la delibazione da parte del giudice nell’esercizio dei suoi poteri, segnatamente nell’attribuzione di quelli da affidare all’amministratore di sostegno, ovvero in sede d’autorizzazione agli interventi che incidono sulla salvaguardia della salute del beneficiario in caso di sua incapacità. Nel solco della sentenza n. 21748/2007, questo scrutinio non potrà però prescindere dalla verifica circa l’attualità della volontà del soggetto in stato d’incapacità che, sino al momento della perdita della coscienza, ha il potere di revocare quella scelta, nonché, secondo quanto si è affermato nei precedenti nn. 4211/2007 e 23676/2008 in ordine al dissenso alla sottoposizione alle cure mediche trasfusionali da parte di un testimone di Geova, della sua univocità e specificità, in modo da fugare incertezze ricostruttive o interpretative. E’ ovvio che, secondo quanto si è affermato in premessa, siffatto strumento necessita per la sua attuazione della nomina da parte del giudice tutelare della persona designata, che, intanto può disporsi, in quanto si sia realizzata a sua volta la finalità indicata nell’art. 1 della stessa legge istitutiva n. 6 del 9 gennaio 2004 di garantire la tutela delle ‘‘persone prive in tutto, in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana’’, in presenza dunque del presupposto identificato a lume del combinato disposto degli artt. 404 e 408 c.c. come dianzi interpretato, che consente attivazione dell’istituto e non certo il mero dispiegarsi dei suoi effetti. Tutto ciò premesso, deve disporsi il rigetto del ricorso senza farsi luogo alla pronuncia sulle spese del presente giudizio, non potendo l’ufficio del P.M. esserne destinatario. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.