Lui paga l’affitto … e a lei alleggeriscono l’assegno di mantenimento

Il coniuge obbligato alla corresponsione dell’assegno di mantenimento lascia la casa coniugale ed è costretto a pagarsi l’affitto sì alla riduzione.

A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22950/2012, depositata il 13 dicembre. Il caso. Quasi 43 anni di matrimonio, poi il divorzio. E il relativo assegno di mantenimento che lui deve corrispondere all’ex moglie 670 euro e rotti, secondo il Tribunale. Di diverso avviso, invece, i giudici di secondo grado, che riducevano l’importo dell’assegno di mantenimento a 250 euro mensili annualmente rivalutabili. Ovviamente, a non essere soddisfatta è la donna, che propone ricorso per cassazione. L’uomo deve pagarsi l’affitto Questa lamenta un errato apprezzamento da parte dei giudici territoriali, i quali avevano deciso per la riduzione valutando la consistenza del reddito della donna, la diminuzione del reddito del marito e l’omessa considerazione della comproprietà della casa coniugale. e i giudici diminuiscono l’importo dell’assegno di mantenimento dell’ex moglie. La Corte Suprema, dal canto suo, ritiene corretta la decisione dei colleghi di merito, precisando che, nel caso di specie, l’uomo aveva lasciato la casa coniugale alla ex consorte, andando a vivere in un appartamento in affitto. Insomma, gli oneri derivanti dalla locazione di un nuovo alloggio hanno giustificato la riduzione dell’assegno di mantenimento nei confronti della donna.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 ottobre – 13 dicembre 2012, n. 22950 Presidente Fioretti – Relatore Piccininni Svolgimento del processo Con sentenza non definitiva dell'11.5.-6.5.2005 il Tribunale di Trapani pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato il XXXXXX tra Gi Ba. e B.G. , e con successiva sentenza definitiva del 26.5-8.6.06 condannava il primo alla corresponsione di Euro 671,39 in favore della seconda. La decisione, impugnata da entrambe le parti dal Ba. in via principale e dalla B. in via incidentale , veniva riformata dalla Corte di Appello di Palermo, che riduceva l'importo dell'assegno di mantenimento a Euro 250 mensili, annualmente rivalutabili. Avverso la detta sentenza B. proponeva ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui resisteva con controricorso l'intimato. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 17.10.2012. Motivi della decisione Con il solo motivo di impugnazione B. ha denunciato vizio di motivazione, con riferimento all'avvenuta riduzione, nella misura di due terzi, dell'assegno di mantenimento disposto in suo favore. Il detto importo era stato infatti determinato con l'accordo separatorio e la successiva modifica sarebbe riconducibile ad un errato apprezzamento dei riscontri emersi, quali la consistenza del reddito di essa ricorrente che viceversa sarebbe pari alla meta rispetto a quello considerato , la diminuzione del reddito del marito che al contrario sarebbe stata insussistente , l'omessa considerazione della comproprietà della casa coniugale, la contribuzione alle necessità lavorative del figlio, cui si sarebbe sottratto il Ba. . La censura è infondata. In proposito va infatti osservato che la Corte di Appello, dopo aver premesso che l'attuale ricorrente non è in grado, da sola, di mantenere il pregresso tenore di vita pur beneficiando di redditi propri, ha poi ridotto l'importo dell'assegno posto a carico del Ba. in ragione della duplice considerazione a del godimento esclusivo, da parte della B. , della casa coniugale di cui i coniugi erano comproprietari b delle documentate esposizioni debitorie dell'obbligato , da identificare stando a quanto risultante dalla sentenza impugnata, oltre che dalle non contestate indicazioni contenute nel controricorso , negli oneri derivanti dalla locazione di un nuovo alloggio resa necessaria dall'intervenuta cessazione della convivenza dei coniugi , e dalle anticipazioni di due erogazioni, rispettivamente di Euro 23.000 e di Euro 10.000, di cui la prima ricevuta per la ristrutturazione di altro alloggio. La decisione impugnata, adottata sulla base di parametri correttamente individuati, risulta dunque riconducibile ad una non condivisa valutazione in punto di fatto da parte del giudice del merito, valutazione tuttavia non sindacabile in questa sede di legittimità, in quanto sorretta da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per compensi, oltre accessori di legge.