Infedeltà coniugale: non è automatico l’addebito della separazione. Il rapporto era già in crisi

Anche nella fase fortemente conflittuale del matrimonio aveva rispettato i propri doveri coniugali. L’infedeltà è iniziata dopo una profonda rottura. Esclusa la responsabilità della crisi coniugale.

La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21660, depositata il 4 dicembre 2012. La coppia scoppia. Il Tribunale dichiara con sentenza la separazione personale di due coniugi. Alla moglie spettano la casa coniugale, l’affidamento della figlia minorenne e due assegni mensili di mantenimento. Rigettata la domanda, proposta dal marito, di addebito della separazione in capo alla moglie. Il marito non ci sta. In appello chiede la riforma della sentenza in tutte le sue parti, tranne che per l’affidamento della figlia. Intanto passa in giudicato la sentenza di divorzio. La Corte d’Appello respinge tutte le richieste. I quesiti di diritto. Il marito sottopone allora alla Cassazione alcuni quesiti di diritto, che possono essere così sintetizzati - se, in caso di accertata infedeltà, debba essere pronunciata separazione con addebito al coniuge infedele e se la mancanza del nesso di causalità tra infedeltà e separazione possa essere riscontrata dal giudice senza una valutazione complessiva del comportamento dei coniugi - se la decisione sulle questioni patrimoniali della separazione fino alla pronuncia di divorzio, spetti al giudice della separazione, visto che tale pronuncia opera solo ex nunc . Il ricorrente si lamenta del fatto che tali questioni non siano state prese in considerazione. Infedeltà e responsabilità della crisi coniugale. La Corte ritiene che il giudice di secondo grado, ben ha escluso un’automaticità di connessione tra questi due elementi. Egli ha peraltro preso in considerazione il rapporto complessivo che c’era tra i due coniugi. E ne ha dedotto una crisi profonda, indipendente dal rapporto extra-coniugale. Il giudice della separazione ha deciso su quanto chiesto. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di Appello si è espressa sulla questione dell’assegno di mantenimento. Ha dichiarata cessata la materia del contendere in riferimento all’assegnazione della casa coniugale. Per essa, ha deciso la sentenza di divorzio, passata in giudicato. La Corte, dunque, rigetta tutti i motivi e condanna il marito al pagamento delle spese, ritenendo corretto che anche quelle dell’appello gli siano state addebitate. Visto il rigetto della sua domanda e la conferma delle altre statuizioni, è infatti da ritenersi soccombente in senso sostanziale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 giugno - 4 dicembre 2012, n. 21660 Presidente Fioretti – Relatore Bisogni Svolgimento del processo 1. il Tribunale di Roma con sentenza del 27 settembre - 2 dicembre 2003, che aveva già dichiarato la separazione personale dei coniugi S.F. e C.M. , ha respinto le domande di addebito proposte, ha affidato alla madre la figlia minorenne C.P. , ha assegnato alla S. la casa coniugale, ha posto a carico del C. l'obbligo di corrispondere due assegni mensili di mantenimento di 820 Euro, ciascuno, in favore della S. e della figlia minore. 2. Avverso la predetta sentenza ha interposto appello C.M. chiedendo la sua riforma nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di addebito della separazione alla moglie e accolto le domande della S. di assegnazione della casa coniugale e di assegno di mantenimento in suo favore. 3. La Corte di appello di Roma ha ritenuto cessata la materia del contendere quanto alla assegnazione della casa coniugale avendo provveduto in merito la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio n. 4296/2005 passata in giudicato il 20 maggio 2005. Ha ritenuto infondato l'appello relativo alla dichiarazione di addebito della separazione non riscontrando nelle acquisizioni istruttorie la prova della attribuibilità alla S. di comportamenti contrari ai doveri del matrimonio tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza mentre ha rilevato che, al momento della proposizione da parte della S. del giudizio di separazione, la crisi coniugale era in atto da tempo esistendo già da molti anni un'elevata conflittualità fra le parti. Infine ha ritenuto congrua la misura dell'assegno di mantenimento fissata dal Tribunale di Roma con riferimento al periodo intercorrente fra l'inizio del procedimento di separazione e l'emanazione dei provvedimenti provvisori da parte del giudice del divorzio. 4. Ricorre per cassazione C.M. affidandosi a quattro motivi di impugnazione. 5. Si difende con controricorso S.F. . Motivi della decisione 6. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 143 e 151 del codice civile, dell'art. 29 della Costituzione, il tutto in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto se in caso di accertata infedeltà in capo ad un coniuge in costanza di matrimonio, debba essere pronunciata la separazione con addebito al coniuge responsabile e se la scriminante della mancanza del nesso di causalità tra l'infedeltà e la crisi coniugale possa essere legittimamente adottata quando, nello specifico, siano stati omessi sia accertamenti rigorosi sia una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi in epoca antecedente e successiva alla richiesta di separazione. 7. Il motivo è inammissibile a causa di una formulazione del quesito di diritto del tutto astratta. Quanto alla deduzione di un vizio denunciabile ex art. 360 n. 5 c.p.c, il motivo appare invece infondato e generico perché, da un lato, deduce la mancata valutazione del comportamento processuale della controparte che è del tutto irrilevante al fine di accertare un fatto storico pregresso al giudizio. Per altro verso si limita a ribadire una diversa lettura dei fatti senza argomentare sulla insufficienza o illogicità della motivazione che invece risulta esaurientemente argomentata e logicamente congrua quanto alla valutazione di inattendibilità dei testimoni sentiti sul fatto decisivo e controverso della dedotta relazione extra-coniugale della S. . 8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115, 116 del codice di procedura civile, dell'art. 2697 del codice civile, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto se in caso di accertata infedeltà in capo ad un coniuge in costanza di matrimonio possa essere pronunciata la scriminante della mancanza del nesso di causalità tra l'infedeltà e la crisi coniugale ex officio dal giudice, ovvero senza specifica richiesta domanda e/o eccezione della parte interessata e se ciò costituisca violazione dei principi di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e di quello dell'onere probatorio in un processo, come quello civile, improntato a un rigido principio dispositivo. 8. Il motivo è infondato. La Corte di appello investita del gravame sul mancato accoglimento della richiesta di addebito della separazione al comportamento della S. ha valutato le deduzioni e le prove acquisite nel processo pervenendo a un giudizio di esclusione della responsabilità della S. per la crisi coniugale causata dalla violazione dei suoi doveri coniugali. A tale giudizio la Corte di appello è stata indotta dalla valutazione del comportamento generale della S. come rispettoso dei suoi doveri coniugali, anche nella fase del matrimonio caratterizzata da una forte conflittualità fra i coniugi, e dalla constatazione della dedotta insorgenza di un rapporto sentimentale extra-coniugale da parte della S. prima della definitiva rottura quando la profonda crisi del rapporto coniugale si era manifestata e durava da anni. È palesemente insussistente pertanto il dedotto vizio di ultrapetizione basato su una infondata prospettazione meccanicistica del dovere di esame da parte del giudice del merito della domanda di addebito. 9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 156 del codice civile, dell'art. 112 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto se la decisione relativa alle questioni di natura patrimoniale della separazione fino alla data di pronuncia del divorzio, spetti al giudice della separazione, tenuto conto che la pronuncia del divorzio opera e dispone solo ex nunc dal momento del suo passaggio in giudicato. In altre parole se la pronuncia di divorzio, operando solo ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato, non determina la cessazione della materia del contendere del giudizio di separazione personale, in quanto non fa venir meno la necessità e quindi l'operatività sino a quel momento della pronuncia di separazione e dei relativi provvedimenti patrimoniali. Il ricorrente censura inoltre la contraddittorietà della motivazione laddove, la Corte di appello, dopo aver affermato che la pronuncia di divorzio non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione ancora pendente quanto alla definitiva regolamentazione dell'assegno per il periodo successivo all'inizio del procedimento e fino alla sentenza di divorzio, non si pronuncia sugli aspetti patrimoniali nel periodo intercorrente tra l'ottobre 2004 - data di acquisto in capo alla S. della casa coniugale che pur a giudizio degli stessi giudici di appello ha determinato certamente un consistente incremento della complessiva situazione patrimoniale della S. - ed il maggio 2007, quando è intervenuta la prima parziale decisione del Tribunale in sede di divorzio. 10. Anche questo motivo è infondato. La Corte di appello ha infatti pronunciato, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, sull'assegno di mantenimento spettante alla S. nel periodo in contestazione. Del resto tale censura appare logicamente incompatibile con la successiva deduzione di contraddittorietà della motivazione, resa sullo stesso oggetto della controversia, che appare anch'essa infondata. La Corte di appello ha valutato le rispettive situazioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi e ha ritenuto corretta l'attribuzione, da parte del giudice del primo grado, di un assegno di mantenimento a favore della S. tale da consentirle, con una integrazione del reddito percepito dalla sua attività di insegnante, di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e ciò anche in considerazione delle spese di mantenimento della figlia P. , convivente con la S. , e dell'onere del canone di locazione da versare all'ente proprietario per il godimento della ex casa familiare a partire dal 2004 mentre il C. ha mantenuto il godimento dell'immobile di proprietà comune. 11. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 91, 92, 132 n. 4 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto se sia legittima la condanna alle spese anche in assenza del requisito della soccombenza intesa in senso sostanziale, ovvero quando i motivi di gravame non possono considerarsi infondati. 12. Il motivo è infondato. La condanna alle spese del C. è stata legittimamente disposta dai giudici di merito in relazione al rigetto della domanda di addebito della separazione e alla conferma delle statuizioni sul diritto all'assegno di mantenimento in favore della S. . 13. Il ricorso va conseguentemente respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi 2.700 Euro di cui 200 per spese.