Come può l’erede provare la simulazione relativa?

L’erede che propone domanda di accertamento di simulazione relativa, costituita dalla falsa intestazione dell’immobile ai propri fratelli mentre il bene sarebbe stato in realtà acquistato dai genitori , se non propone domanda di riduzione e neppure di collazione, è soggetto alle limitazioni della prova della simulazione di cui all’art. 1417 c.c., non potendo il medesimo ritenersi terzo rispetto al negozio.

Il caso. La Suprema Corte, dopo 26 anni, chiude l’articolato giudizio tra due fratelli e una sorella che litigavano per l’eredità dei genitori. La Cassazione delude le richieste del coerede, che aveva proposto domanda di accertamento di una simulazione relativa, costituita dalla falsa intestazione dell’immobile al proprio fratello e sorella, mentre il bene sarebbe stato in realtà acquistato dai genitori poi deceduti. Poiché nel corso dell’interrogatorio formale del giudizio di primo grado la sorella aveva in effetti dichiarato che l’immobile era stato effettivamente acquistato con denaro dei genitori ed intestato ai germani circostanza negata dall’altro fratello cointestatario , il ricorrente, alla luce di questa prova, chiedeva che almeno la metà dell’immobile, quella fittiziamente intestata alla sorella, potesse rientrare nell’asse ereditario. La Suprema Corte non accoglie la richiesta sottolineando che l’attore non aveva proposto domanda di riduzione e neppure di collazione, ma una domanda di accertamento di simulazione relativa, e tale azione soggiace alle precise limitazioni previste dall’art. 1417 c.c., non potendo l’attore ritenersi terzo rispetto al negozio. L’azione di simulazione . E’ bene premettere che l’azione di simulazione è un’azione di accertamento. Essa infatti è normalmente diretta a far accertare giudizialmente l’inefficacia totale o parziale del contratto e il reale rapporto intercorrente tra le parti cfr. Ricciuto, La simulazione , in E. Gabrielli a cura di , I contratti in generale , t. II, in Trattato Contr. Rescigno , 1999, 1638 ss. Sacco, voce Simulazione , I, Diritto Civile , in Enc. giur. , XXVIII, 1992, 1 ss. e in una prospettiva di diritto comparato Velliscig, L’istituto della simulazione e il DCFR, in AA.VV., Il DCFR lessici, concetti e categorie nella prospettiva del giurista italiano , 2012, 107 ss. . La legittimazione ad agire spetta alle parti e ai terzi interessati, cioè ai terzi attualmente o potenzialmente pregiudicati dalla situazione apparente. Legittimati passivi sono i partecipi dell’accordo simulatorio M. Bianca, Diritto civile , vol. 3, Il Contratto , 1998, 670 . La prova in generale . La materia della prova è regolata diversamente secondo che siano i terzi a far valere la simulazione ovvero le parti. I terzi, pregiudicati dalla simulazione, possono dare prova di essa con qualsiasi mezzo, anche per testimoni e mediante presunzioni. Le parti, per contro, incontrano i limiti posti dalla disciplina comune delle prove vedi Bianca, op. cit ., 671 . Esse hanno quindi l’onere di provare la simulazione mediante la sottoscrittura, essendo loro preclusa di regola la prova per testi e per presunzioni in quanto si tratta di provare un fatto contestuale o anteriore l’accordo simulatorio contrario al contenuto del documento dal quale risulta il contratto simulato art. 2722 c.c. . Valgono comunque le eccezioni previste per il divieto della prova testimoniale art. 2724 c.c. . La simulazione può essere liberamente provata dalle parti quando l’azione è diretta ad accertare la illiceità del contratto dissimulato vedi M. Bianca, op. cit ., 671 . Eredi e prova della simulazione. E’ giurisprudenza costante della Suprema Corte che la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo, succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l'immobile tra i beni facenti parte dell'asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge articolo 1417 c.c. per la prova della simulazione tra le parti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del de cuius , non possono legittimamente dirsi terzi rispetto al negozio deve pertanto escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte cfr., ex multis , Cass. 6632 del 24 marzo 2006 Cass. n. 9956 del 26 aprile 2007 Cass. n. 7048 del 14 marzo 2008 . Il regime di prova, testé indicato cioè, prova per testi e presunzioni , invece, è consentito agli eredi, in quanto agiscano per la tutela della quota di riserva cioè, per un diritto proprio in tal caso, la prova della simulazione degli atti in discorso può infatti essere fornita anche con testi e presunzioni o a mezzo di confessioni cfr., ex multis , Cass. n. 6031 del 29 maggio 1995 . Tuttavia per poter usufruire di detto regime probatorio occorre che l'erede proponga contestualmente domanda di integrazione della quota di riserva Cass. n. 8942 del 29 ottobre 1994 Cass. n. 5519 del 5 giugno 1998 . Il regime probatorio dell’art. 1417 c.c La giurisprudenza ritiene che dalla natura di norma regolante il regime probatorio, propria dell'art. 1417 c.c., deriva che i soggetti che possono fruire delle agevolazioni probatorie da essa previste la prova della simulazione è ammissibile senza limiti se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l'illiceità del negozio dissimulato, anche se è proposta dalle parti debbono essere identificati non solo in relazione alla posizione assunta rispetto al contratto asserito simulato, ma anche, e soprattutto, all'azione in concreto esercitata che nelle nozioni di parti vanno compresi, com'è pacifico, gli eredi, i quali, in forza del meccanismo giuridico della successione, subentrano nel patrimonio del de cuius universum jus , e quindi anche nelle azioni che questi era legittimato ad esperire, ed incontrano quindi, ove intendano, esercitare talune di queste azioni, le stesse limitazioni probatorie del de cuius che il criterio decisivo per l'attribuzione della qualità di terzo si ricava invece, dall'ultimo comma dell'art. 1415 c.c. collegato logicamente con l’art. 1417 c.c. , il quale dispone che i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti , espressione quest'ultima che va interpretata come diritti propri dei terzi , nel senso che non derivano dal contratto asserito simulato, ma sono pregiudicati dall'assetto d'interessi apparentemente regolato che la qualifica di terzo, ai fini dell'applicabilità dell'art. 1417 c.c., spetta perciò a colui che esercita un'azione concretamente e direttamente volta ad eliminare il pregiudizio derivato ad un diritto proprio dal contratto asserito simulato. Alla luce di quando detto, è agevole ritenere che il legittimario possa essere considerato terzo non per l'estraneità all'atto, posizione comune anche agli eredi non legittimati, ma solo quando, contestualmente all'azione di dichiarazione della simulazione, proponga - sulla premessa che l'uscita apparente del bene del patrimonio del de cuius ha comportato una diminuzione della quota di detto patrimonio riservatagli dalla legge - una domanda diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell'asse ereditario o che la quota di sua spettanza va calcolata tenendosi conto del bene stesso, con eventuale riduzione della donazione dissimulata. Per converso, non può ritenersi sufficiente, al fine dell'applicabilità delle agevolazioni probatorie, la mera deduzione della lesione della quota di riserva e/o la dichiarazione che l'azione di simulazione è preordinata a proporre la domanda di riduzione in un futuro giudizio. Né varrebbe in contrario sostenere che dalle limitazioni probatorie di cui all'art. 1417 c.c. gli eredi avrebbero comunque dovuto ritenersi esonerati a norma dell'ultimo capoverso di detto articolo, per essere l'azione volta a dimostrare l'illiceità delle dissimulate donazioni, poste in essere con l'intento di frodare o eludere le disposizioni di legge che riservano ai legittimari una quota del patrimonio creditorio. Ed invero è principio fermo nella giurisprudenza tra le altre, Cass. 3166 del 9 novembre 1971 e Cass. n. 861 del 28 marzo 1973 , sotteso anche alle decisioni in tema di limiti probatori all'accertamento della simulazione nel caso in cui la relativa azione sia promossa dal legittimario, che le norme relative all'intangibilità della legittima non rientrano tra le norme imperative inderogabili la contrarietà alle quali rende illecito il contratto, sicché nessun problema di illiceità o meno può essere configurato in ordine ad un'attività negoziale preordinata allo scopo di ledere le future ragioni del legittimario. Altri e specifici rimedi azione di riduzione appresta l'ordinamento a tutela delle ragioni dei legittimari lesi dagli atti di disposizione posti in essere del de cuius . Simulazione relativa nella compravendita di immobili. Si aggiunga infine che, in ogni caso, la Suprema Corte in questa sentenza ribadisce che, nell’ipotesi di simulazione di contratto di compravendita di immobili, che esigono la forma scritta ab substantiam , la prova della simulazione mediante interrogatorio formale, diretto a provocare la confessione del soggetto cui è deferito, è ammissibile tra le parti solo se sia rivolta a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, perché in tal caso oggetto del mezzo di prova è l’inesistenza della compravendita immobiliare. Questa però non è l’ipotesi in esame, visto che si tratta di una simulazione relativa, per cui le dichiarazioni confessorie della sorella non potevano essere in alcun modo utilizzate per dimostrare l’asserita simulazione. Nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam , la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all'ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto degli artt. 1414, comma 2, e 2725 c.c., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l'esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l'intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente, con salvezza della prova testimoniale nella sola ipotesi, prevista dall'art. 2724, n. 3, c.c., di perdita incolpevole del documento Cass. n. 4339 del 24 giugno 1983 .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 settembre - 5 novembre 2012, n. 18902 Presidente Oddo – Relatore Bursese Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 6 e 7 settembre 1984 B.G. evocava in giudizio avanti al Tribunale di Avezzano, i germani D. e A.P. per sentir dichiarare aperta la successione del loro comune genitore B.S. con conseguente attribuzione delle singole quote previa divisione dell'asse ereditario, comprendente un fabbricato nel comune di , dei terreni nel comune di ed inoltre un trattore con rimorchio per la metà. Si costituiva B.D. il quale chiedeva che la divisione venisse estesa anche ai beni appartenuti alla loro madre deceduta M.A. e che nell'asse ereditario venissero compresi la casa di abitazione dell'attore sita in omissis , intestata ai fratelli G. e A.P. , ma in realtà acquistata in vita dai genitori con i loro danari, nonché la somma di L. 2.800.000 dai medesimi versata al fratello G. quale liquidazione anticipata delle sue spettanze ereditarie sui terreni del . Nel corso dell'istruttoria si procedeva all'interrogatorio formale di B.G. e D.P. , alla prova per testi ed a CTU quindi il Tribunale pronunciava una prima sentenza non definitiva in data 1.6.94 dichiarando che l'asse ereditario oggetto di divisione era composto solo dai beni indicati nell'atto di citazione, ritenendo abbandonata la domanda avanzata dal convenuto circa la divisione dell'asse ereditario materno e rigettando in quanto non provata la domanda diretta a ricomprendere nell'asse ereditario l'immobile abitazione paterna sito in , alla via omissis intestata ai germani G. e A.P. . Lo stesso tribunale quindi, espletata la successiva istruttoria, decideva in via definitiva la causa con la sentenza n. 469 del 23 aprile - 17 maggio 2001, disponendo precedersi alla divisione in tre quote uguali, ed all'assegnazione delle stesse mediante estrazione a sorte e determinando i dovuti conguagli. Avverso le predette sentenze proponeva appello B.D. l'adita Corte d'Appello dell'Aquila con la sentenza n. 40/06 depos. in data 24.1.2006 respingeva il gravame avverso la sentenza non definitiva e lo accoglieva in parte con riferimento alla decisione definitiva relativamente alla determinazione dei conguagli, da corrispondere da B.D. , in favore di B.G. , che riduceva alla somma di L. 62.121.000. Secondo la Corte distrettuale, in modo particolare, non era provato che l'acquisto della alla casa paterna di via omissis fosse avvenuto con denaro dei genitori le dichiarazioni rese su tale specifica circostanza da B.A.P. in sede d'interrogatorio formale - secondo cui tale cespite venne acquistato effettivamente con danaro dei genitori ed intestato ai germani - non avrebbero potuto avere valore contessono a suo carico, - non essendo stata la domanda formulata nei suoi confronti ed erano altresì prive di valenza probatoria nei riguardi del fratello G. , che invece aveva negata la stessa circostanza in sede di interrogatorio formale, mentre non costituiva prova la condanna del padre in sede penale per la soprelevazione abusiva dell'immobile. Quanto alla somma di L. 2.800.000 che sarebbe stata versata da B.S. al figlio G. , la predetta circostanza non poteva ritenersi provata con la sola dichiarazione testimoniale di V.T. era emerso poi che il trattore e relativo rimorchio era stato acquistato dai genitori con il ricavato dei contributi agricoli versati, mentre infine la domanda di divisione di Domenico del patrimonio ereditario materno era stata abbandonata nel corso del giudizio di 1 grado, non essendo stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. Per la cassazione della sentenza ricorre B.D. sulla base di n. 4 mezzi resiste con controricorso B.G. non ha svolto difese B.M.P. . Motivi delle decisione 1 - Con il primo motivo, il ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione dell'art. 2730 e 2733 c.c. art. 360 n. 3 cpc . Deduce che con la confessione resa dalla sola sorella Antonia in sede d'interrogatorio formale circa la fittizia intestazione dell'immobile ai germani G. e A.P. , almeno 1/2 dell'immobile pari alla quota di sua spettanza doveva rientrare nell'asse ereditario peraltro le dichiarazioni della donna avevano trovato riscontro anche nella sentenza di condanna penale per illecito edilizio del loro padre, per avere abusivamente sopraelevato il vecchio fabbricato, dimostrando in tal modo di esserne il proprietario effettivo. La doglianza non è fondata. Giova invero precisare che, nella fattispecie, l'attore non aveva proposto una domanda di riduzione e neppure di collazione, ma una domanda di accertamento di una simulazione relativa costituita dalla falsa intestazione dell'immobile per cui tale azione soggiaceva alle precise limitazioni previste dall’art. 1417 c.c. non potendo l'attore ritenersi quale terzo rispetto al negozio. A questo riguardo ha precisato questa S.C. che la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l'immobile tra i beni facenti parte dell'asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge articolo 1417 cod. civ. per la prova della simulazione tra le parti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del de cuius , non possono legittimamente dirsi terzi rispetto al negozio deve pertanto escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte Cass. n. 6632 del 24/03/2006 . Va altresì rilevato che nell'ipotesi di simulazione di contratto di compravendita di immobili, che esigono la forma scritta ad substantiam , la prova della simulazione mediante interrogatorio formale, diretto a provocare la confessione del soggetto cui è deferito, è ammissibile tra le parti solo se sia rivolta a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, perché in tal caso oggetto del mezzo di prova è l'inesistenza della compravendita immobiliare questa però non è l'ipotesi in esame, per cui le dichiarazioni confessorie di B.A.P. non potevano essere in alcun modo utilizzate per dimostrare l'asserita simulazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente. 2 - Con il secondo motivo, B.D. eccepisce la violazione o falsa applicazione dell'art. 116 c.c. art. 360 n. 3 cpc . Con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali rese da V.T. , sull'asserita dazione della somma di lire 2.880.00 da parte del de cuius S B. al figlio G. sostiene l'esponente che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito tale testimonianza, doveva ritenersi pienamente esaustiva ed attendibile. Anche tale motivo è privo di pregio. La sentenza ha affermato invero che la deposizione della V. era stata disattesa dal tribunale con argomenti assolutamente convincenti, che neppure sono stati contestati con l'atto di gravame rilievo quest'ultimo che non è stato oggetto di specifica censura. In tal senso dunque non ne è stata colta la ratio decidendi , senza contare poi che la censura si risolverebbe comunque nella proposizione di una questione di fatto quale la giudiziale valutazione di un mezzo istruttorio, non censurabile in questa sede di legittimità, attesa la corretta motivazione della sentenza. 3 - Con il terzo motivo, il ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., e 115 c.p.c. art. 360 n. 3 cpc , con riferimento all'inclusione nell'asse ereditario del trattore e rimorchio. Deduce il ricorrente che si trattava di mezzi a lui intestati del cui patrimonio esclusivo facevano parte mentre era irrilevante che tali mezzi fossero stati in precedenza intestati al de cuius ed alla di lui moglie, che li avevano acquistati con contributi agricoli ad essi erogati, atteso che la circostanza era priva di qualsivoglia riscontro ed era irrilevante l'intestazione precedente il trasferimento a B.D Il motivo è infondato. Il ricorrente si limita a dolersi che il giudice distrettuale abbia fatto ricorso a presunzioni semplici e contrappone all'affermazione della sentenza secondo cui dagli atti emergeva l'acquisto della macchina da parte dei genitori con il ricavato di contributi agricoli, l'affermazione che di tale circostanza non vi era prova nel processo, nonché l'affermazione nuova che in precedenza il trattore era stato intestato ai genitori. In definitiva la censura si traduce in una critica alla valutazione di prove, inammissibile in questa sede di legittimità. 4 - Con il quarto motivo, il ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione dell'art. 189 e 112 c.p.c. art. 360 n. 3 cpc , nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in ordine all'affermazione che la domanda di divisione di B.D. del patrimonio ereditario materno era stata abbandonata nel corso del giudizio di 1 grado, non essendo stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. La censura non ha fondamento. Secondo questa S.C. l'omessa riproposizione, all'udienza di precisazione delle conclusioni, di alcune delle domande formulate nel corso del giudizio, o il semplice richiamo alle conclusioni originariamente proposte con l'atto di citazione introduttivo del giudizio, sono circostanze sufficienti a far presumere l'abbandono delle domande non riproposte, se dalla complessiva condotta della parte non si evidenzia in modo inequivoco l'intento di mantenere ferme tutte le domande, nonostante la materiale omissione di alcune di esse Cass. n. 14783 del 02/08/2004 Cass. n. 10569 del 03/06/2004 . Questa Corte ha altresì ribadito che la omessa riproduzione nelle conclusioni definitive di cui all'art. 189 c.p.c., di una delle domande proposte con l'atto di citazione implica soltanto una mera presunzione di abbandono della stessa, sicché il giudice del merito, al quale spetta il compito di interpretare la volontà della parte, è tenuto ad accertare se, malgrado la materiale omissione, sussistano elementi sufficienti - ricavabili dalla complessiva condotta processuale o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate - per ritenere che la parte abbia inteso insistere nella domanda pretermessa in dette conclusioni. Tale presunzione deve ritenersi peraltro inoperante se, su invito del giudice, le parti abbiano precisato le conclusioni in ordine ad una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito Cass. n. 14964 del 28/06/2006 . Ciò posto, nella fattispecie il ricorrente non ha indicato invero alcun elemento concreto o specifica circostanza da cui potesse emergenze in modo inequivoco, la sua volontà contraria all'abbandono della domanda in questione egli si è limitato in sostanza a richiamate la concorrente domanda della sorella A.P. . Va inoltre ricordato al riguardo, che la domanda di divisione di un diverso asse ereditario quale quello materno, non era in alcun modo connessa con quella della richiesta divisione originaria, che era limitata al patrimonio paterno. Conclusivamente il ricorso dev'essere rigettato. Per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico del ricorrente. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in solido delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori come per legge.