Apertura della cassetta di sicurezza e concorso nel reato: la parte deve fornire prova ad hoc

In tema di danno non patrimoniale, e quindi di responsabilità penale risarcibile in sede civile, va accolta la relativa richiesta avanzata in secondo grado se essa, sin dall’atto di citazione depositato in primo grado, è stata proposta in relazione a fatto costituente reato e per cui il danno, oggetto della medesima richiesta, possa ritenersi logicamente compreso.

La parte processuale richiedente è, comunque, tenuta a provare, anche in via presuntiva, il fatto/danno ed il giudice deve accertare la sussistenza del reato quest’ultimo, poi, non può ampliare l’oggetto del ricorso, esaminando profili improcedibili o non contenuti nelle richieste di parte processuale, aggiungendo un significato ulteriore alle domande e modificando così i fatti da valutare. E’, così, illegittima la sentenza nella parte in cui, in caso di apertura di una cassetta bancaria di sicurezza, venga riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale in mancanza di apposita richiesta e prova di parte, accertamento e valutazione del giudice. Il principio si argomenta dalla sentenza n. 17490, depositata il 12 ottobre 2012. Il caso. Si verte in tema di apertura della cassetta, successioni e coeredità, falso, truffa ed appropriazione indebita, danno patrimoniale e non patrimoniale, concorso nel reato, petitum ed improcedibilità, oneri processuali, obblighi giudiziali e presupposti di legittimità della sentenza. Nella fattispecie, bisogna stabilire, sotto il profilo sostanziale, se, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice debba effettuare ogni indagine relativa alla sofferenza patita da coloro che si reputino danneggiati dall’altrui condotta, se la dichiarazione effettuata alla banca integri un reato ad hoc , se sia ravvisabile il concorso di quest’ultima banca nel reato e, quindi, se si configuri, o meno, responsabilità penale, tenuto conto peraltro della modestia della somma quo-parte del residuo del conto corrente della defunta. Necessita, pertanto, focalizzare, anche in via comparativa, sul concetto di danno patrimoniale e di danno non patrimoniale e di responsabilità ed, in primis , accertare, sul piano formale, se la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, non formulata in primo grado, possa qualificarsi nuova in sede di appello e se, sotto il profilo sostanziale, si configuri violazione, illecito e nocumento e relative tipologie onde stabilire se trattasi di danno risarcibile. Segnatamente, va valutato se le parti, reciprocamente e nei riguardi del magistrato, abbiano ottemperato ai propri oneri ed obblighi processuali. Il danno non patrimoniale e l’accertamento giudiziale. E’ da premettere che per responsabilità può intendersi il divieto di fare o non fare qualcosa o la discrezionalità di fare o non fare qualcosa subendone le sanzioni di legge. In tema di danno non patrimoniale, ai fini del relativo risarcimento, il magistrato, in sede civile, quando non è vincolato dal giudicato penale di condanna, è obbligato ad accertare, incidenter tantum e trasversalmente, l’effettiva sussistenza del reato, in tutti i relativi elementi costitutivi, compreso l’elemento psicologico soggettivo ciò non è impedito dalla configurabilità penale del fatto e dall’indipendenza dei giudizi civile e penale in quanto il danno non patrimoniale è rubricato anche sotto il profilo civilistico. Quanto alla parte che si reputi danneggiata, va precisato che essa non può sic et simpliciter affermare il fatto e limitarsi alla mera allegazione di esso bensì deve fornirne la prova ad hoc e questa deve, appunto, essere valutata dal giudice civile. In altri termini, il magistrato non può limitarsi a rilevare l’illiceità della condotta bensì è tenuto a spiegare, anche quando gli ipotizzabili illeciti siano gravi, in quale modo i fatti ricostruiti possano essere sussunti nella fattispecie penale deve, cioè, specificare la consistenza e le componenti del nocumento. Il danno non patrimoniale, anche quando il relativo fatto illecito sia penalmente rilevante, non può, infatti, essere inteso come sussistente in re ipsa ma va sempre debitamente allegato e provato, anche mediante presunzioni semplici, da chi lo invoca. Allo stesso modo, non è invocabile il danno non patrimoniale da lesione di valori costituzionalmente garantiti se non è stato, dalla parte, oggetto di allegazione ovvero non è stato esaminato o applicato nella sentenza di merito impugnata . L’extrapetizione e l’improcedibilità. Il magistrato non può interferire nel potere dispositivo delle parti e pronunciare oltre i limiti del petitum e delle eccezioni dedotte dalle parti o su questioni non costituenti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio e, quindi, attribuire alle parti un bene non richiesto ovvero non compreso esplicitamente o implicitamente nella domanda proposta il giudice può, invece, attribuire una qualificazione diversa al fatto oggetto del processo. E’ da sottolineare, poi, che i doveri del magistrato non sono indipendenti da quelli, integrali e perfetti, delle parti, singolarmente. Così, un’omessa attività della parte istante impedisce l’esame dell’atto introduttivo del giudizio da parte del magistrato, sia in primo grado che nelle fasi di gravame. A differenza dell’istituto dell’inammissibilità, le cause di improcedibilità non sono riconducibili al contenuto dell’atto introduttivo del processo bensì attengono sempre ad un’attività estrinseca e successiva rispetto a tale atto la quale si configura, così, inutiliter data . All’uopo, è da precisare che la dichiarazione di improcedibilità dell’atto introduttivo del primo grado di giudizio non impedisce la riproposizione della domanda la chiusura del processo in rito non estingue, infatti, il diritto di azione. L’improcedibilità dell’atto di impugnazione, invece, consuma il relativo potere, anche se il termine non è ancora scaduto, con conseguente passaggio in giudicato formale della sentenza impugnata. Il danno morale va, specificamente, richiesto, provato e valutato. In caso di apertura della cassetta bancaria di sicurezza, ciascuna parte è tenuta a fornire la prova specifica dei fatti che afferma la sorella aveva l’obbligo di esibire la ricevuta delle spese funerarie ma non aveva alcun onere di provare, ulteriormente, di avere usato fondi personali e non può, invece, semplicemente allegare il fatto ciò al fine di consentire al giudice di valutare la configurabilità del fatto-reato. Quest’ultimo è tenuto a pronunciarsi in modo puntuale, dando conto del contenuto delle deposizioni acquisite, onde fare chiarezza su ciascun aspetto che possa generare una possibile confusione titolarità del conto corrente e del denaro utilizzato . Peraltro, il risarcimento del danno non patrimoniale è illegittimo se è ravvisabile extrapetizione, da parte del magistrato. E’, così, illegittima la condanna della banca al risarcimento del danno non patrimoniale se il giudice abbia esaminato profili non oggetto del ricorso ovvero se quel preciso illecito penale, posto dal magistrato a fondamento della condanna, non sia stato invocato nei riguardi di quel determinato soggetto la banca bensì soltanto l’illecito civile. Inoltre, il danno morale va risarcito da parte dell’ente esclusivamente se è stato compiuto, dall’agente dipendente , un reato soltanto in tal caso, cioè, le conseguenze civili ricadono sul datore banca . Sotto il profilo formale, la domanda non è, invece, nuova se, a partire dall’atto di citazione, la richiesta risarcitoria è stata proposta in relazione allo stesso fatto costituente reato e per cui i danni richiesti, in sede di impugnazione, non possano non comprendere anche il danno non patrimoniale. Infine, il controricorso contenente il ricorso incidentale delle due sorelle, notificato entro il termine di quaranta giorni dalla notificazione rispetto al ricorso principale ma depositato oltre il termine di venti giorni dalla notifica, è improcedibile e va rigettata ogni relativa istanza ivi contenuta.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 giugno - 12 ottobre 2012, n. 17490 Presidente Oddo – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 Nel omissis , mancava ai vivi F.R. in L. , intestataria di un conto corrente estinto dalla figlia M. all’insaputa dei coeredi. Nel 1996 la suddetta, odierna ricorrente, accedeva alla cassetta di sicurezza detenuta dalla de cuius presso un’agenzia della Banca di Roma. Nel 1996 le sorelle A. e L.A.M. agivano per accertare la consistenza ereditaria e per fa valere la responsabilità della sorella M. e della Banca di Roma in relazione all’apertura della cassetta di sicurezza, avvenuta attestando che la madre era ancora in vita. Il tribunale di Roma, in accoglimento della prima domanda, condannava la convenuta al pagamento a ciascuna delle attrici della quota parte della somma rimasta sul conto corrente, pari a circa 470 Euro. Rigettava l’altra domanda. 1.1 La Corte di appello di Roma con sentenza del 24 gennaio 2006, ritenuta l’illiceità dell’operato della convenuta, rigettava la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, non essendo stata provata la consistenza del contenuto della cassetta di sicurezza, cagionando alle attrici con la condotta, costituente reato, di appropriazione della somma portata dal conto corrente e di abusiva apertura della cassetta di sicurezza quantificava il risarcimento in ventimila Euro per ciascuna delle sorelle oltre interesse dalla domanda. Condannava inoltre la Banca, invano tempestivamente avvertita del decesso della de cuius a titolo di concorso negli illeciti penali commessi da L.M. , di risarcimento del danno morale, quantificato in 30.000 Euro per ciascuna delle attrici, oltre interessi. Questa sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione, notificato il 18 aprile 2006 da L.M. , mediante quattro censure. Banca di Roma ha svolto ricorso incidentale con tre motivi. Le parti attrici hanno resistito e hanno formulato un motivo di ricorso incidentale. Sono state depositate memorie. Motivi della decisione 2 Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cpc e vizi di motivazione. Sostiene che domanda di risarcimento dei danni morali accolta dalla Corte di appello era nuova, perché non era stata formulata in primo grado, avendo la citazione individuato l’illecito di controparte solo come violazione dell’art. 1840 c.c La Corte di appello avrebbe aggiunto un senso ulteriore alla domanda e avrebbe modificato i fatti da valutare. La censura è infondata. La Corte di appello ha disatteso argomentazioni, spiegando che sin dall’atto di citazione la richiesta risarcitoria era stata proposta in relazione a fatto costituente reato, quale l’appropriazione indebita, ditalché i danni richiesti non potevano non comprendere anche il danno non patrimoniale ipotizzabile ex art. 2039 c.c L’esame degli atti conferma le circostanze di fatto sopraesposte e rende incensurabile la valutazione in ordine alla interpretazione della domanda nei confronti della L. , che è coerente e logica. 3 Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 43 c.p., 185 c.p. e 2059 c.c., nonché vizi di motivazione. La censura si riferisce alla liquidazione del danno morale in favore delle attrici, compiuta in relazione alla asserita addebitabilità di reati appropriazione indebita e forse truffa alla L. , in assenza di indagine sugli elementi costituenti reato. La ricorrente deduce tra l’altro che sul conto corrente nella cassetta di sicurezza non vi erano beni materni, sicché non vi era stata appropriazione alcuna che l’elemento materiale e quello psicologico del reato avrebbero dovuto essere rigorosamente verificati che la stessa Corte di appello aveva contraddittoriamente ammesso la mancanza di prova dell’esistenza di contenuto prezioso nella cassetta al momento dell’apertura da parte della convenuta che nessun artificio o raggiro era stato commesso nei confronti della sorella, né tale poteva essere considerato l’aver taciuto con la banca. Il motivo involge poi la misura della liquidazione del danno, immotivatamente quantificata in ventimila Euro per ciascuna delle sorelle attrici, in assenza di ogni indagine sulla sofferenza” da esse patita e in relazione alla modesta somma riconosciuta – 470,13 Euro – a quale quota parte del residuo sul conto corrente. 3.1 Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 483, 640 e 646 c.p. – 185 c.p. e 2059 c.c viene qui meglio censurata la mancata verifica, in sentenza, degli elementi dei reati addebitati alla ricorrente viene sottolineato tra l’altro che il conto corrente era cointestato e che le somme appartenevano alla L. che le appellanti non avevano mai proposto querela per il reato di cui all’art. 646 c.p. che apoditticamente la sentenza aveva ipotizzato la configurabilità del reato di falso ideologico e di quello di truffa ai danni della banca o indirettamente ai danni delle sorelle così si esprime la sentenza . 3.2 Le doglianze sono fondate. La Corte d’appello ha errato nel non considerare i principi fondamentali che regolano la materia. Giova infatti ricordare che ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, il giudice civile, allorquando non sia vincolato dal giudicato penale di condanna ai sensi dell’art. 651 cod.proc.pen., è tenuto ad accertare incidenter tantum” l’effettiva sussistenza del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi, incluso l’elemento soggettivo ne consegue che non è sufficiente alla parte attrice, che si affermi danneggiata dall’altrui fatto illecito costituente rato, in mera allegazione del fatto, ma è necessario che la parte stessa ne fornisca la prova, che dovrà essere valutata dal giudice civile al fine dell’accertamento soltanto incidentale della sussistenza del reato in tutti i suoi elementi costitutivi Cass. 18972/05 . La sentenza impugnata non ha effettuato detto accertamento. Si è infatti limitata a rilevare che era illecito” il comportamento di L.M. , che aveva estinto il conto corrente cointestato con la madre e aperto la cassetta di sicurezza dichiarando il falso all’impiegato della Banca di Roma addetto al servizio. Ha affermato, senza dare alcuna spiegazione delle pur ardite tesi censurate nel terzo motivo, che erano stati commessi i reati sopraelencati, ma non ha spiegato in qual modo i fatti da essa ricostruiti potessero essere sussunti nelle fattispecie penali di appropriazione indebita, truffa e falso ideologico. La sentenza è quindi viziata da falsa applicazione di legge ed è venuta meno all’obbligo di congrua motivazione. 3.3 La Corte di appello ha inoltre apoditticamente affermato che spettava alle attrici il riconoscimento del danno morale in relazione all’appropriazione della somma portata dal conto corrente”, e in relazione all’abusiva apertura della cassetta di sicurezza in virtù degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p.”. In proposito mette conto Ndr testo originale non comprensibile che secondo la giurisprudenza di legittimità anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, la sussistenza del danno non patrimoniale può mai essere ritenuta in re ipsa”, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici” Cass. 8421/11 . Nulla di tutto ciò si ritiene nella motivazione della sentenza impugnata, che ha dato corso all’ingentissimo risarcimento senza specificare le componenti del danno, né, prima ancora, la sua consistenza. 4 Fondato è anche il quarto motivo del ricorso principale, che concerne i vizi di motivazione in cui è incorsa la sentenza impugnata nel respingere l’appello incidentale di L.M. . Ella aveva chiesto alle sorelle la loro quota per le spese funerarie”. Questo rimborso è stato negato sull’assunto che, al di là della ricevuta in atti”, vi erano risultanze testimoniali diverse e non vi era certezza che il denaro utilizzato provenisse da fondi personali della odierna ricorrente. La motivazione sommaria offerta dalla Corte di Appello è del tutto insufficiente. Già il tribunale aveva affermato che il danaro relativo alle spese funerarie era stato fornito dal fratello, ma, a fronte di specifico appello sul punto, incombeva sulla Corte il dovere di una puntuale risposta, dando conto del contenuto delle deposizioni acquisite, soprattutto in relazione alla possibile confusione, cui si riferisce il ricorso, tra somme versate per restaurare la tomba di famiglia e somme usate per i funerali. La chiarezza e precisione sul punto si imponeva proprio in considerazione della circostanza, manifestamente trascurata, che il possesso della ricevuta di pagamento da parte della odierna ricorrente fondava una forte presunzione di essere stata soltanto lei il soggetto che aveva fatto fronte alla spesa. La ricorrente non aveva alcun onere di provare, ulteriormente, di aver usato fondi personali tanto meno lo aveva in relazione alle richieste di rimborso relative alla cassetta di sicurezza i descritti comportamenti” cui allude la sentenza impugnata . Infatti non essendo stata raggiunta la prova di indebite appropriazioni di beni esistenti nella cassetta - come afferma la stessa sentenza -, non si può fondare su un fatto ignoto una presunzione contraria e prevalente rispetto a quella, corretta, che era stata fatta valere da chi aveva pagato il prestatore dei servizi funerari. Né ovviamente rileva l’appropriazione delle somme presenti sul conto corrente, posto che l’ordine di restituzione pro quota impartito alla L. ricostituiva in capo a ciascuna sorella il possesso dei propri beni, escludendo che dette somme, ormai da restituire, fossero servite per quel pagamento, rimasto, al termine della vicenda, in capo a chi le aveva eseguite. La manifesta illogicità dell’argomentare della sentenza su questo profilo controverso impone una completa rivisitazione della materia da parte del giudice di rinvio. 5 Non è necessario il rinvio degli atti al primo giudice quanto alla posizione della Banca di Roma spa, che coglie nel segno con entrambi i motivi il terzo è proposto in via subordinata del ricorso incidentale. Il primo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c La Banca fondatamente rileva - extrapetizione in cui sono incorsi i giudici di appello, disponendone la condanna al risarcimento dei danni morali in relazione a fattispecie di reato, sebbene a fosse stato ribadito in atto di appello che la Banca era estranea alla pretesa relativa alla appropriazione indebita di danaro tratto dal conto corrente b fosse stato esposto, sempre in atto di appello, soltanto un Ndr testo originale non comprensibile illecito civile dell’istituto ex art. 1840 c.c L’esame dell’atto di appello, che nel motivo secondo specificamente distingueva le posizioni di L.M. e della Banca, sorregge questa tesi e rende illegittima la condanna dell’istituto bancario al risarcimento del danno morale quale conseguenza di reato, posto che tale presupposto non era stato fatto valere nei confronti di Banca di Roma spa. Mette conto aggiungere che è fondato anche il secondo motivo, che evidenzia la contraddittorietà insanabile tra l’aver escluso penultima pagina della sentenza, prime due righe , che vi fosse stato comportamento fraudolento dei dipendenti della banca, ai quali è stata rimproverata una condotta colposa”, segnata da estrema superficialità e approssimazione” e l’addebito di un risarcimento per danni morali che possono conseguire solo dal compimento di un reato rimproverabile all’agente, con le conseguenze civili a carico del datore di lavoro ex art. 2049 c.c È appena il caso poi di aggiungere che non v’è luogo per invocare, come fa il controricorso, il danno da lesione di valori costituzionalmente garantiti, che non è stato oggetto né di allegazione, tanto meno nei confronti della banca, né di esame o applicazione in sentenza. 6 Quanto al ricorso incidentale delle sorelle L. , relativo al danno patrimoniale, se ne deve rilevare l’improcedibilità. Il ricorso principale venne infatti notificato il 18 aprile 2006. Il controricorso contenente il ricorso incidentale è stato notificato il 26 maggio 2006, cioè entro il termine dei quaranta giorni di cui all’art. 370 c.p.c., ma è stato depositato oltre il limite dei venti giorni dalla notifica di cui all’art. 369 c.p.c., espressamente richiamato dall’art. 371. Il deposito è infatti avvenuto l’11 luglio 2006. Discende da quanto esposto a il rigetto del primo motivo del ricorso principale e l’accoglimento di secondo, terzo e quarto motivo. b L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso incidentale della Banca di Roma. c l’improcedibilità del ricorso incidentale di L.A. e A.M. . La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, anche per le spese di questo giudizio, con riferimento ai motivi del ricorso principale che sono stati accolti. Il giudice di rinvio si atterrà ai principi di cui alle massime delle sentenza riportate in motivazione. Va invece cassata senza rinvio in relazione all’accoglimento del ricorso incidentale della Banca di Roma infatti la decisione implica che l’appello delle L. nei confronti dell’istituto, il quale verteva solo sui profili civilistici di responsabilità, disattesi dalla stessa corte territoriale, e non poteva fondatamente esaminare altri profili di sanno morale, deve essere respinto con decisione di diritto ex art. 384 c.p.c Le spese del giudizio di appello nei confronti della Banca di Roma, vanno liquidate in favore di quest’ultima, capovolgendo la statuizione della sentenza impugnata, in complessivi Euro 4.900,00, di cui 1.900,00 per diritti, oltre Iva e accessori. Le spese di questo giudizio in favore della Banca si liquidano in 2.500 per onorari e 200 per borsuali. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e accoglie il secondo, terzo e quarto motivo. Accoglie i primi motivi del ricorso incidentale della Banca di Roma. Dichiara l’improcedibilità del ricorso incidentale di A. e A.M L. . Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi del ricorso principale qui accolti e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Cassa la sentenza impugnata, senza rinvio, in relazione all’accoglimento del ricorso incidentale della Banca di Roma e, decidendo ne merito, rigetta l’appello proposto nei suoi confronti. Condanna A. e A.M L. al pagamento delle spese di appello in favore della Banca di Roma, liquidate in complessivi Euro 4.900,00, di cui 1.900 per diritti, oltre Iva e accessori. La condanna inoltre alla refusione alla Banca di Roma delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 2.500 per onorari e 200 per borsuali.