Terapia d’urto, uomo con fertilità ridotta. Matrimonio annullabile se la donna ne è all’oscuro

Cure mediche necessarie, ma gli effetti riducono le possibilità di procreazione. ‘Blocco’ reversibile, ma il consenso prestato all’unione è comunque viziato.

Trattamento medico d’urto. Con effetti a lungo termine sulla capacità di procreare. Azoospermia, in gergo tecnico, però potenzialmente reversibile. Eppure, nonostante la reversibilità, il fatto di aver trascurato questo particolare alla propria compagna può legittimare – come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 386, prima sezione civile, depositata oggi – la richiesta della donna di nullità del matrimonio. A scoppio ritardato. Prima un ricovero ospedaliero e un trattamento assai impattante, poi, a distanza di un anno e mezzo, il matrimonio. Quel trattamento, però, ha, sull’uomo, potenziali effetti collaterali, ovvero compromissione della capacità di generare , comunque potenzialmente reversibile . Le difficoltà nell’avere figli – desiderio condiviso della coppia – porta, alla lunga, alla luce le ripercussioni potenziali delle cure mediche ricevute dall’uomo, ripercussioni sì potenziali ma, secondo la donna, comunque tenute debitamente nascoste. Azzerato. Per questo, la donna chiede di vedere dichiarata la nullità del matrimonio. A dare responso positivo è la Corte d’Appello, che, riformando la sentenza di primo grado, attesta il vizio del consenso della donna al momento del fatidico ‘sì’. Difatti, ad avviso dei giudici, l’uomo non confidò mai alla donna i potenziali riflessi sulla fertilità della cura farmacologica a cui era obbligato a sottoporsi. Ciò aveva comportato, sempre secondo i giudici, l’esistenza, nell’uomo, all’atto del matrimonio, di una anomalia tale da incidere significativamente sul regolare svolgimento della vita coniugale, atteso che la grave azoospermia, di cui egli soffriva, ne menomava la capacità di procreare, precludendo così, per un tempo da ritenersi comunque sufficiente a ledere l’aspettativa di maternità della donna una finalità del matrimonio da ritenersi essenziale per la coppia . E di questa anomalia , concludono i giudici, la donna non era consapevole al momento del matrimonio . Per questo, il matrimonio è nullo, secondo la pronuncia d’Appello, e l’uomo è anche condannato a indennizzare la ex compagna. Questione di conoscenza. È l’uomo, ovviamente, a contestare il provvedimento, presentando ricorso in Cassazione e rivendicando la propria buonafede, senza però ottenere risposta positiva. Nella ricostruzione dei fatti presentata, in sostanza, viene affermato che l’uomo ebbe consapevolezza del problema solo a un anno dalle nozze, quando fu eseguito l’esame del liquido seminale . E, allo stesso tempo, viene ricordato che gli effetti della terapia sono poi stati superati a quattro anni dal matrimonio e a due anni dalla interruzione della convivenza , come testimoniato anche dalle due bambine nate dall’unione con un’altra donna. E, infine, che il limite consentito per l’azione di annullamento, ovvero un anno di coabitazione dopo la scoperta dell’errore , è stato superato. Tuttavia, come detto, la tesi sostenuta dall’uomo non trova accoglimento. Per i giudici della Cassazione, difatti, l’analisi compiuta dai giudici dell’Appello, anche rispetto alla questione tempo quella relativa alla conoscenza del problema, da parte dell’uomo, e quella relativa all’azione di annullamento. Conseguenziale, quindi, è la decisione dei giudici di rigettare il ricorso, confermando nullità del matrimonio e indennizzo a favore della donna.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 ottobre 2011 – 13 gennaio 2012, numero 386 Presidente Luccioli – Relatore Scaldaferri Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata il 12 luglio 2006, la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del matrimonio concordatario contratto in Roma da R. P. e E. R. per vizio del consenso di quest'ultima, e condannato il P. al pagamento in favore della R., ai sensi dell'articolo 129 bis cod.civ., della somma di E 20.000.00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. La Corte territoriale ha premesso che dagli atti risulta pacificamente . a che il P. durante un ricovero ospedaliero negli ultimi mesi del 1994 per curare una grave affezione nefritica, aveva subito un trattamento con il farmaco Endoxar, tra i cui possibili effetti collaterali figura la azoospermia, con conseguente compromissione della capacità di generare b che tale evento si era di fatto verificato, avendo il consulente tecnico d'ufficio concluso che il predetto, al momento del matrimonio nel maggio 1996, era affetto da una grave e significativa riduzione della capacità fecondante, ancorché potenzialmente reversibile, come poi verificato dal c.t.u. a distanza di quattro anni circa dal matrimonio e di due anni circa dalla interruzione della convivenza e concretamente confermato dalla nascita di due bambine dall'unione instaurata con altra donna c che il P. non parlò alla R. dei rif1essi sulla fertilità che la cura farmacologica praticatagli poteva avere d che entrambi desideravano la nascita di figli. Alla luce di tali circostanze, la Corte ha ritenuto che non poteva dubitarsi della esistenza nel P., al momento del matrimonio, di una anomalia tale da incidere significativamente sul regolare svolgimento della vita coniugale, atteso che la grave azoospermia di cui egli soffriva ne menomava la capacità di procreare, precludendo così, per un tempo da ritenersi comunque sufficiente a ledere l’aspettativa di maternità della R., una finalità del matrimonio da ritenersi essenziale per la coppia. Anomalia della quale la R. non era consapevole al momento del matrimonio in ciò, e non nella malattia in sé, integrandosi l'ipotesi normativa prevista dall'articolo 122 comma 3 numero 1 cod.civ. e della quale invece il P., nonostante le sue affermazioni sull'avere appreso della stessa solo a seguito dell’esame del liquido seminale eseguito un anno dopo le nozze, risultava, sulla base delle risultanze complessive della prova testimoniate raccolta in appello, ben consapevole. 2. Avverso tale sentenza R.P. ha proposto ricorso a questa Corte basato su sette motivi, cui resiste E.R. con controricorso e memoria illustrativa. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 122 ultimo comma cod.civ., nonché vizio di motivazione in ordine alla circostanza, preclusiva dell'azione di annullamento, della coabitazione per un anno dopo la scoperta dell'errore. Nei due quesiti di diritto formulati a norma dell'articolo 366 bis c.p.c. applicabile nella specie trattandosi di impugnazione avverso provvedimento depositato nel luglio 2006 e quindi nel periodo di vigenza della norma , espone a che, a fronte della puntuale e tempestiva sua eccezione, era onere della controparte dar prova della interruzione della convivenza prima del termine annuale b che, in difetto di prova specifica, tale interruzione deve farsi coincidere con la data della intervenuta separazione tra i coniugi. 1.1 Deve preliminarmente rilevarsi come, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di cui all'articolo 360 c.1 numeri da l a4, deve concludersi. a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la ratio decidendi applicata da quel giudice, enunci la diversa ratio che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l'accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all'articolo 360 c.1 numero 5 c.p.c., l'illustrazione del motivo deve contenere cfr. ex multis Cass. S.U. numero 20603/2007 Sez. 3 numero 16002/2007 numero 8897/2008 un momento di sintesi -omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 1.2 Ciò posto, si osserva che l'illustrazione del primo motivo di ricorso non espone quesiti contenenti gli elementi sopra indicati. La Corte d'appello ha accertato che la interruzione della convivenza tra le parti è avvenuta prima del decorso del termine annuale di cui all’articolo 122 u.c. cod.civ. di tale ratio decidendi tuttavia i quesiti formulati dal ricorrente non tengono conto, limitandosi a far riférimento a principi diritto che non hanno incidenza diretta su quell'accertamento e non sono quindi idonei a smentirlo. 2. Anche il secondo, quarto e quinto motivo, con i quali si denunciano vizi di motivazione circa fatti controversi e decisivi, non possono trovare ingresso, stante il difetto assoluto di sintesi contenenti gli elementi sopra evidenziati. 3. Il terzo motivo, con il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 122 cod.civ. nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, si conclude con l'esposizione di quesiti di diritto se l'impotentia generandi possa costituire motivo di impugnazione del matrimonio ai sensi dell'articolo l22 c.c. e se l 'impotentia generandi reversibile e/o temporanea possa costituire motivo di impugnazione del matrimonio ai sensi dell'articolo 122 c.c. inidonei perché astratti. In essi manca infatti ogni indicazione della articolata ratio decidendi sottoposta a critica e degli elementi che la Corte di merito non avrebbe considerato, sui quali si dovrebbe basare il contrario giudizio. 4. Inidoneo perché del tutto generico si palesa anche il quesito di diritto relativo al settimo motivo violazione e falsa applicazione dell'articolo 92 c.p.c. e vizio di motivazione , con il quale ci si limita a chiedere se la compensazione delle spese di lite può essere disposta anche nei confronti della parte totalmente soccombente”. 5. Privo di fondamento è infine il sesto motivo, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., nonchè degli articoli 129 bis , 1223 e ss. e .2043 c ss. cod.civ., e vizio di motivazione, domandando cfr.quesito '' se la pronuncia di condanna al risarcimento del danno a fronte di una domanda diretta ad ottenere l'indennità prevista dall'articolo 129 bis c.c. costituisca mancata corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato ai sensi dell'articolo 112 c.p.c.''. Si tratta invero di mera questione terminologica atteso che, come lo stesso ricorrente evidenzia, al di là dell'uso improprio del termine risarcimento danni” la sentenza in esame non ha trattato il tema del danno, bensì per l'appunto stabilito i limiti in cui spetta alla odierna resistente il richiesto indennizzo di cui all’articolo 129 bis. Non sussiste dunque l’extrapetizione denunciata. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in € 3.000,00 per onorari e € 200,00 per esborsi, oltre le spese generali e gli accessori di legge.