Sentenza notificata via PEC: improcedibile il ricorso privo della relazione di notificazione e dell’asseverazione

Il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di aver ricevuto la notificazione della sentenza impugnata a mezzo PEC, depositando, nei termini indicati dall’art. 369, comma 1, c.p.c., copia autentica della sentenza priva della relazione di notificazione ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente.

Così ha statuito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12231/21 depositata il 10 maggio. Alcuni assegnatari di unità abitative hanno impugnato la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Roma, notificata per via telematica. La Corte di Cassazione accoglie l’eccezione formulata dai controricorrenti, i quali avevano eccepito l’improcedibilità del ricorso per mancata produzione della copia autentica della sentenza con la relata di notificazione e la relativa asseverazione. Infatti, nel caso di specie era stata prodotta la copia autentica della sentenza impugnata ma non la copia con la relata di notificazione avvenuta mediante PEC e della cui estrazione dalla stessa avrebbe dovuto farsi asseverazione. La copia notificata non risultava nemmeno prodotta dalla controparte. La Suprema Corte ribadisce dunque il principio già affermato dalle Sezioni Unite n. 10648/17 secondo cui il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di aver ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, depositando, nei termini indicati dall’art. 369, comma 1 c.p.c., copia autentica della sentenza, priva però della relazione di notificazione ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente . Alla luce di tale principio la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 14 dicembre 2020 – 10 maggio 2021, n. 12231 Presidente Frasca – Relatore Fiecconi Rilevato che Ca.Ri. + altri, in epigrafe specificati, quali assegnatari di unità abitative facenti parte della Cooperativa a rl La Quinta Solidarietà 86 , con ricorso notificato il 3 dicembre 2018 ricorrono avverso la sentenza 4005/2018 della Corte d’appello di Roma emessa ex art. 281 sexies c.p.c., il 12/6/2018, notificata - per quanto si asserisce nel ricorso - il 4 ottobre 2018, con la quale è stata confermata la sentenza di rigetto dell’azione di responsabilità svolta nei confronti del notaio P.S. , con la partecipazione di Assicurazioni Generali e Lloyds of London quali assicuratori terzi chiamati in giudizio dal notaio, in relazione a una iscrizione ipotecaria dell’importo di Euro 1.000.000 del 1 aprile 2008 a favore della banca di Credito Cooperativo, che si sarebbe aggiunta a una precedente, non comunicata ai ricorrenti all’atto di sottoscrizione degli atti di assegnazione degli alloggi sottoscritti il 24 maggio 2010. Gli intimati hanno depositato separati controricorsi e sia gli Assicuratori dei Lloyd’s, sia il P. hanno pregiudizialmente eccepito la improcedibilità del ricorso per mancata produzione della copia autentica della sentenza con la relata di notificazione e la relativa asseverazione. Per quanto rileva in questa sede, la Corte d’appello di Roma, nel confermare la sentenza del Tribunale di Velletri impugnata, pronunciando ex art. 281 sexies c.p.c., ha ritenuto inammissibile l’appello sull’assunto che una delle due rationes decidendi, entrambe inerenti al rigetto della domanda di danni in quanto non provati, non fosse stata oggetto di specifica impugnazione. Il ricorso è stato trattato in sede di adunanza camerale fissata ex art. 380-bis.1 c.p.c Il notaio P.S. ha depositato memoria. considerato che Il Collegio rileva che è fondata l’eccezione di improcedibilità del ricorso formulata dai resistenti P. e Lloid’s nei loro controricorsi e ribadita anche nella memoria dal primo. Effettivamente è stata prodotta solo copia autentica della sentenza impugnata, ma, ancorché nel ricorso se ne sia dedotta la notificazione, non è stata prodotta la copia notificata con la relata di notificazione, che si dice avvenuta a mezzo PEC e della cui estrazione dalla stessa avrebbe dovuto farsi asseverazione. La copia notificata non risulta nemmeno prodotta dalla resistente Generali Italia. L’improcedibilità dev’essere affermata non tanto alla stregua dei principi enunciati da Cass., Sez. Un., n. 8312 del 2019 che suppongono il deposito della copia con la relata della PEC senza asseverazione , bensì alla stregua del principio di diritto che riprende quanto statuito da Cass., Sez. Un., n. 10648 del 2017, sebbene a proposito di notifica secondo le regole tradizionali , di cui a Cass. ord. n. 19695 del 2019, secondo cui Il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di avere ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, depositando, nei termini indicati dall’art. 369 c.p.c., comma 1, copia autentica della sentenza, priva però della relazione di notificazione ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente . Il Collegio rileva, altresì, che il ricorso non potrebbe essere procedibile nemmeno alla stregua della c.d. prova di resistenza indicata da Cass. n. 17066 del 2013 e successive conformi. Dev’essere, pertanto, dichiarata l’improcedibilità del ricorso. Comunque, se i motivi fossero stati esaminabili, se ne sarebbe dovuta rilevare l’inammissibilità, con conseguente inammissibilità del ricorso. Il primo motivo è inammissibile per due gradate ragioni. Se si ritenesse che la riproduzione del contenuto dell’atto di appello, che si fa alle pagg. 16-17 ultimi undici righe della prima e prima riga della seconda del ricorso è sufficiente per evidenziare che le due parti riprodotte erano state impugnate, allora il motivo avrebbe un carattere revocatorio, in quanto l’affermazione della sentenza in senso contrario si sarebbe concretata, attesa la mancanza di qualsiasi profilo argomentativo e valutativo, nella supposizione di un fatto - l’assenza di impugnazione - inesistente. Ed allora i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare la sentenza con la revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4. Se invece, considerando il modo in cui le indicate riproduzioni è avvenuto, si opinasse che esse non sono sufficienti ad evidenziare che effettivamente l’appello aveva attinto le due affermazioni della sentenza di primo grado ritenute non impugnate come si potrebbe sostenere per il fatto che l’esistenza dei puntini sospensivi prima della riproduzione e, dunque, la mancata evidenziazione del significato della riproduzione non consente di comprendere se esse erano attinte dall’impugnazione e ciò anche a prescindere da una specifica motivazione ed a maggior ragione se si considera che si omette pure di riprodurre la successiva attività argomentativa svolta nell’appello e si preferisce riportare quanto dedotto nella conclusionale, che non sarebbe rilevante allo scopo il motivo risulta inammissibile privo di specificità Cass. Sez. Un., n. 7074 del 2017, che ribadisce il consolidato principio di cui a Cass. n. 4741 del 2005 sulla necessaria specificità del motivo di ricorso per cassazione , in quanto la sua struttura - a causa delle rilevate carenze - imporrebbe alla Corte di ricercare nella lettura dell’atto di appello quello che consentirebbe, superando ciò che il motivo, per le due ragioni indicate, non dice, quanto, in ipotesi potrebbe giustificare la prospettazione del motivo. In ordine al secondo motivo si sarebbe dovuto rilevare che tutta l’esposizione è basata sulla riproduzione di un atto, cui ci si riferisce in questi termini cfr. pag. 2-3 sentenza doc. all. 1 fascicolo giudizio appello ebbene, non è dato comprendere nè di quale documento si tratti, dato l’equivoco e generico riferimento ad una sentenza, nè se e dove esso sarebbe stato prodotto e sarebbe esaminabile in questo giudizio di legittimità. Ne segue la palese violazione dell’art. 366 c.p., n. 6. Donde l’inammissibilità pure del secondo motivo. Le spese sono poste a favore di ciascuno dei controricorrenti e come di seguito liquidate. P.Q.M. La Corte, dichiara improcedibile il ricorso condanna i ricorrenti, in via tra loro solidale, alle spese di lite, liquidate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfetarie e oneri di legge in favore di P.S. e in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfetarie e oneri di legge, in favore degli assicuratori Generali s.p.a. e dei Lloyd’s. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.