Le organizzazioni di volontariato e le Onlus scontano il pagamento del contributo unificato

Le organizzazioni di volontariato e le Onlus non sono esenti dal pagamento del contributo unificato, ai sensi dell’art. 10 T.U. n. 115 del 2002, non essendo ammessa una interpretazione in via estensiva o analogica delle norme come gli artt. 8, comma, 1, legge n. 266 del 1991, 27bis dell’Allegato B del D.P.R. n. 642 del 1972 e lo stesso art. 10 citato che prevedono agevolazioni o esenzioni tributarie, le quali sono soggette al criterio di stretta interpretazione.

Lo hanno affermato le Sezioni Unite con la sentenza n. 10013/21, depositata il 15 aprile. Il caso. Il Codacons, con ricorso notificato al Ministero della Giustizia e al TAR Lazio, impugnava una intimazione di pagamento del contributo unificato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma. Il contributo unificato si riferiva ad un ricorso promosso dal Codacons nel 2011 innanzi al TAR Lazione avente ad oggetto l’impugnazione di un non meglio precisato concorso bandito dal Ministero della Giustizia. La CTP di Roma rigettava il ricorso ma la Commissione Tributaria Regionale accoglieva la doglianza del Codacons che riteneva non dovuto il c.u. per gli atti di iniziativa giudiziaria come l’iscrizione a ruolo compiuti dalle associazioni di volontariato, senza scopo di lucro , in quanto connessi e strumentali alla realizzazione dei fini statutari di rilevanza sociale. Il Ministero della Giustizia ed il TAR Lazio proposero ricorso per cassazione. La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha sottoposto alle Sezioni Unite la questione, di massima importanza, se le associazioni di volontariato e le Onlus siano tenute al pagamento del contributo unificato per le attività giurisdizionali connesse alla loro attività istituzionale. La normativa coinvolta. Rileva l’art. 10 del T.U. n. 115/2002 il quale prevede due tipologie di esenzione dall’obbligo di pagamento del contributo unificato a una di carattere generale mediante rinvio , riferita ai processi già esenti, secondo previsione legislativa, dall’imposta di bollo, da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura b altre di carattere speciale , riferite a specifici procedimenti. Ai fini dell’applicazione dell’imposta di bollo, l’art. 27bis dell’Allegato B d.P.R. n. 642/1972 prevede l’esenzione dall’imposta di bollo per gli Atti, documenti, istanze, contratti, nonché copie anche se dichiarate conformi, estratti certificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale ONLUS nonché dalle federazioni sportive, dagli enti di promozione sportiva e dalle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fine di lucro riconosciuti dal CONI”. La decisione delle Sezioni Unite. Le Sezioni Unite, dopo ambia disamina della posizione dell’ordinanza interlocutoria e delle conclusioni del Procuratore Generale, confermano l’orientamento della Giurisprudenza secondo il quale l’art. 10 del T.U. n. 115/2002 introduce un regime di esenzione di natura oggettiva, applicabile solo in presenza di processi” esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra tipologia di spesa oltre che dei casi di esonero tassativamente previsti e per cui l’art. 27- bis dell’allegato B del D.P.R. n. 642 del 1972 laddove esonera gli atti” delle Onlus dal pagamento dell’imposta di bollo, si riferisce unicamente agli atti amministrativi, senza ricomprendere anche gli atti giudiziari e ciò in quanto gli atti giudiziari esenti dall’imposta di bollo sono espressamente previsti nell’art. 12 dell’allegato B . Tale orientamento, si precisa, si muove nel quadro di una interpretazione rispettosa del canone dell’art. 12 delle preleggi e del contenuto letterale delle disposizioni in tema di agevolazioni tributarie, restandone conseguentemente esclusa l’ammissibilità di una interpretazione in via analogica o estensiva.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 febbraio – 15 aprile 2021, n. 10013 Presidente Di Iasi – Relatore Lamorgese Fatti di causa Il ricorrente, A.S., è cittadino nigeriano dell'Edo State. Racconta di essere fuggito dal suo Paese a seguito di una vicenda che lo ha visto, suo malgrado e senza sua colpa, coinvolto egli gestiva un bar nella sua città, frequentato da malavitosi, due dei quali, un giorno, sono morti a seguito di una lite tra loro. I familiari delle vittime hanno sospettato di lui e lo hanno accusato della morte dei parenti, minacciandolo di morte inutile è parso il tentativo di ottenere protezione dalle forze dell'ordine, cosi che non è rimasto al ricorrente che fuggire, attraverso la Libia. La Commissione territoriale ha negato la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria e umanitaria. Il Tribunale ha confermato questa decisione. A. ricorre con quattro motivi. V'è tardiva costituzione del Ministero dell'Interno, senza controricorso. Ragioni della decisione 1. - La ratio della decisione impugnata. Il Tribunale ritiene inverosimile il racconto del ricorrente, soprattutto quanto alla insussistenza delle ragioni per le quali avrebbe dovuto essere accusato dell'omicidio solo perchè proprietario del bar. Ad ogni modo, i giudici di merito valutano comunque l'esistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria, in relazione al clima di scontri e di conflitto generalizzato nell'Edo State, negandone la sussistenza, ed escludendo dunque rischi in caso di rimpatrio. Allo stesso modo, essi negano diritto alla protezione umanitaria, non solo per le già dette condizioni socio politiche della regione di provenienza, ma anche per la indimostrata integrazione del ricorrente in Italia. Queste rationes sono contestate dal ricorrente con quattro motivi, tutti relativi alla protezione sussidiaria ed a quella umanitaria. 2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 9, 10, 11 e 13. Ritiene nulla sentenza perchè, pur in assenza della videoregistrazione dell'audizione davanti alla commissione territoriale, e pur avendo egli richiesto di essere nuovamente sentito, il Tribunale ha solo fissato l'udienza di comparizione, ritenendo superflua l'audizione e valutando solo i documenti in atti. Secondo il ricorrente la corte di merito avrebbe dovuto procedere invece ad audizione, e se lo avesse fatto, avrebbe valutato come verosimile il racconto fornito. Il motivo è infondato. Infatti, è giurisprudenza di questa corte che nel giudizio d'impugnazione, innanzi all'autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all'obbligo del giudice di fissare l'udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all'audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l'audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l'audizione dello straniero Cass. 5973/ 2019 Cass. 2817/ 2019 . 3. - Con il secondo motivo si lamenta omesso esame di documenti rilevanti, e dunque violazione innanzitutto dell'art. 116 c.p.c. e poi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3. Il ricorrente adduce di avere depositato una decisione dell'Alta Corte dell'Edo State, oltre a documentazione medica, non presa in alcuna considerazione da parte dei giudici di merito. Il motivo è però inammissibile. Infatti, non è detto a cosa quella documentazione afferisca, ossia perchè dovrebbe essere ritenuta rilevante, quanto alla decisione dell'Alta Corte cosa miri a dimostrare, e, quanto alla documentazione medica, se effettivamente ed in che modo indichi una patologia o uno stato di salute rilevante per concedere la protezione richiesta. 4. - Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Ritiene che la corte ha erroneamente valutato l'inverosimiglianza del suo racconto, sia per quanto attiene alla credibilità estrinseca che per quella intrinseca, cosi violando i criteri che il citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, prevede per la valutazione della credibilità del richiedente. Il motivo è inammissibile e comunque infondato. E' inammissibile poichè il giudizio di credibilità è un giudizio di fatto, non censurabile in Cassazione, se non per difetto di motivazione Cass. 3340/ 2019 . E' altresì inammissibile poichè il giudizio di inverosimiglianza non ha impedito comunque alla corte di merito di valutare i presupposti per la protezione richiesta, cosi che se anche fosse errato quel giudizio, l'errore non inficerebbe la conclusione assunta. E' infondato nella parte in cui invece denuncia violazione dei criteri di valutazione della credibilità, in quanto è regola che in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull' id quod plerumque accidit , non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a , della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza Cass. 20580/2019 . Con la conseguenza che il giudizio di credibilità rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, salva adeguata motivazione. 5. - Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 9007, art. 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19. Il ricorrente ritiene che la corte non ha adeguatamente valutato ai fini della protezione umanitaria la situazione dell'Edo State, nè ha collaborato aiutando il ricorrente a fornire tutte le informazioni possibili ed utili al suo caso. Il motivo è infondato. Quanto alla valutazione della situazione della regione di provenienza non basta limitarsi a contraddire l'accertamento del giudice di merito, in quanto, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l'effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria Cass. 26328/2019 . Inoltre, il ricorrente non allega alcunchè a dimostrazione di un qualche livello di integrazione raggiunto nel in Italia che possa fungere da elemento di valutazione per il caso di rimpatrio. Il ricorso va pertanto rigettato. P.Q.M. La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.