Protezione internazionale umanitaria e valutazione dell’integrazione del richiedente

Nel vagliare il diritto alla protezione internazionale per ragioni umanitarie il giudice, nell’ambito dell’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente in caso di rimpatrio, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, deve anche tener conto del lavoro e delle attività formative e di istruzione svolte dall’interessato.

È il principio affermato dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 7396/21, depositata il 16 marzo, con cui ha accolto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il diniego della sua richiesta di protezione internazionale umanitaria . Il ricorrente aveva raccontato di essere sfuggito dal Mali perché accusato di stregoneria e cannibalismo ma la Commissione territoriale e la Corte d’Appello non aveva ritenuto attendibile la narrazione per l’assenza di una violenza diffusa e indiscriminata nel Paese d’origine. Secondo i Giudici di merito inoltre non vi era dimostrazione di un radicamento del richiedente in Italia, ritenendo che l’avere in essere un contratto di lavoro costituisca presupposto per la diversa fattispecie della richiesta di permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Il Collegio, dopo aver ripercorso il contesto normativo di riferimento, ha affermato il principio secondo cui nel vagliare il diritto alla protezione internazionale per ragioni umanitarie il giudice, allo scopo di far luogo all’ effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente, con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, deve anche tener conto del lavoro e delle attività formative e di istruzione svolte dall’interessato, non rilevando la circostanza che tali attività risultino favorite dall’art. 22 del d.lgs. n. 142/2015 o da altre norme nazionali, regionali o locali . Per questi motivi, la pronuncia impugnata viene annullata con rinvio alla Corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 1 dicembre 2020 – 16 marzo 2021, n. 7396 Presidente Manna – Relatore Grasso Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti - la Corte d’appello di Torino disattese l’impugnazione proposta da T.A. avverso la decisione di primo grado, che aveva rigettato l’opposizione contro il diniego della chiesta protezione internazionale della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale - il richiedente aveva narrato di essere fuggito dal perché accusato dallo zio paterno di essere stato causa d’un incidente occorso a suo cugino, di essere stregone e avere mangiato i suoi genitori e avere l’intenzione di mangiare anche il cugino - la Corte di Torino, negata attendibilità alla narrazione soggettiva e affermata, sulla base delle consultate COI, l’assenza di una situazione di violenza diffusa e indiscriminata nel Paese d’origine, nonostante la complessità delle dinamiche sociali in loco ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di due censure e che il Ministero dell’Interno è rimasto intimato. Ritenuto che con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b e c in combinazione con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la Corte d’appello era caduta in insanabile contraddizione per non avere disposto l’audizione del richiedente, nonostante essa fosse stata espressamente richiesta, giudicando, tuttavia, non attendibile la narrazione non aveva valutato la grave instabilità che regna in [], caratterizzata dalla violazione generalizzata dei principali diritti umani, di conseguenza la motivazione appariva erronea, carente e contraddittoria , in relazione alla giurisprudenza della Corte edu considerato che il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità per le ragioni di cui appresso a a voler prendere in esame tutto l’insieme censuratorio, nonostante l’impreciso richiamo normativo, quanto alla mancata audizione da parte del Tribunale, non rimediata dalla Corte d’appello, occorre osservare, come di recente precisato da questa Corte, che, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che a nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti b il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente c il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile Sez. 1, n. 21584, 7/10/2020, Rv. 658982 conf., ex multis, Cass. n. 22049/2020 b non avendo il ricorrente, neppure in questa sede chiarito quali circostanze specifiche avrebbe chiarito, ove fosse stato personalmente ascoltato, peraltro in relazione a un racconto, all’evidenza, del tutto fantasioso, il profilo di doglianza è inammissibile c del pari inammissibile appare la critica mossa alle conclusioni riguardante la situazione interna del Paese di provenienza, conclusioni che la Corte territoriale ha tratto dopo aver consultato le COI disponibili, e che il ricorrente avversa puramente e semplicemente, invocando una inammissibile valutazione di merito ritenuto che con il secondo motivo viene prospettata violazione e/o erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19 e art. 10 Cost., comma 3, in quanto la sentenza impugnata non aveva preso in esame l’integrazione sociale raggiunta dall’immigrato in Italia, che verrebbe radicalmente frustrata nel caso di rimpatrio considerato che la doglianza è fondata tenuto contro di quanto segue a la Corte di Torino ha negato in radice la compatibilità dell’invocato diritto alla protezione umanitaria a motivo della non credibilità della vicenda personale raccontata e per l’insussistenza dei presupposti per la protezione maggiore, evidenziando che gli sforzi che l’appellante avrebbe compiuto per inserirsi nel contesto sociale italiano avvalendosi di misure di protezione e salvaguardia previste dai protocolli internazionali a tutela del diritto dei richiedenti di godere di condizioni di vita dignitose durante il periodo che intercorre tra la data di presentazione della domanda di asilo e l’esito della stessa che non possono costituire autonomo titolo per il riconoscimento della protezione umanitaria nè valida prova del radicamento del richiedente nel tessuto economico italiano e che l’avere in essere un contratto di lavoro, costituisce infine presupposto della diversa e qui estranea fattispecie del permesso di soggiorno per motivi di lavoro b il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 prevede, nella sua formulazione originaria, il diritto alla protezione umanitaria nel caso in cui fossero d’ostacolo al rimpatrio la sussistenza di seri motivi di carattere umanitario c costituisce interpretazione consolidata e diritto vivente cfr., di recente, Cass. n. 22832/2020 che con la predetta locuzione il legislatore abbia dato vita a un istituto di protezione internazionale residuale e atipico, una sorta di catalogo aperto, al fine di assicurare che il rimpatrio, non precluso dalla sussistenza delle ipotesi tipiche di protezione maggiore diritto al rifugio e alla protezione sussidiaria , fosse, almeno temporaneamente, impedito per assicurare all’immigrato il rispetto della dignità della persona art. 2 Cost. d abrogata la disposizione ad opera del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, questa Corte ha chiarito, dopo qualche iniziale contrasto, che il testo originario continuava ad applicarsi agli immigrati che avessero presentato istanza di protezione prima dell’entrata in vigore del predetto decreto, il quale non poteva che valere per l’avvenire, non potendo incidere sui diritti già entrati nella sfera giuridica dell’interessato, stante che il provvedimento del giudice ha valore meramente ricognitivo di un tale diritto S.U. n. 2459/2019 e l’interpretazione offerta dalla Corte di Torino con la sentenza qui in esame contrasta con la ratio legis e con l’anzidetta atipicità dell’istituto, avendo aprioristicamente ricusato di apprezzare il grado d’integrazione dell’immigrato, dipendente dallo svolgimento di attività lavorative, formative, d’istruzione e culturali, nel giudizio di comparazione effettiva della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza cfr., ex multis, Cass. n. 4455/2018 f il D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 22 intitolato Lavoro e formazione professionale , dispone 1. Il permesso di soggiorno per richiesta asilo di cui all’art. 4 consente di svolgere attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda, se il procedimento di esame della domanda non è concluso ed il ritardo non può essere attribuito al richiedente. 2. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. 3. I richiedenti, che usufruiscono delle misure di accoglienza erogate ai sensi dell’art. 14, possono frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell’ente locale dedicato all’accoglienza del richiedente è evidente che trattasi di disposizione, ai fini che qui interessano, dalla valenza del tutto neutra, avendo lo scopo di favorire l’accoglienza del richiedente la protezione internazionale, nel caso in cui la procedura si protragga nel tempo, non per colpa dell’immigrato g non può, di conseguenza, predicarsi, come erroneamente fa la Corte di Torino, la non valutabilità per tabulas , in ordine al giudizio d’integrazione, del lavoro e delle attività formative e d’istruzione svolte dall’interessato approfittando di una tale possibilità, seppure, per contro, non può affermarsi, in senso contrario, che tali attività, sempre e comunque siano significative allo scopo in discorso h il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.1. introdotto dal D.L. n. 130 del 2020, art. 1 conferma la natura atipica dell’istituto, il che fa escludere la correttezza di un percorso ermeneutico che conduca a limitare, cioè a numerare, il novero delle circostanze dalle quali possa trarsi il giudizio di seria vulnerabilità infatti, la norma in discorso, piuttosto che reintrodurre tal quale la disposizione abrogata con il D.L. n. 113 del 2018, integrando il citato art. 19, prevede che Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché’ dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine considerato che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e che il Giudice, nel riesaminare il punto dovrà attenersi al seguente principio di diritto Nel vagliare il diritto alla protezione internazionale per ragioni umanitarie il giudice, allo scopo di far luogo all’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente, con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, deve anche tener conto del lavoro e delle attività formative e d’istruzione svolte dall’interessato, non rilevando la circostanza che tali attività risultino favorite dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 22 o da altre norme nazionali, regionali o locali il predetto Giudice regolerà anche il capo delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il primo cassa l’impugnata sentenza in relazione all’accolto motivo e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.