Contratto di lavoro e relazione stabile: elementi non sufficienti per rimanere in Italia

Respinta definitivamente la richiesta di protezione presentata da un cittadino originario della Guinea. Fondamentale, innanzitutto, la mancanza di credibilità nel suo racconto. Allo stesso tempo, i Giudici ritengono non sufficiente il richiamo da lui fatto a un contratto di lavoro e a una relazione stabile per consentirne la presenza in Italia.

Il riferimento a un contratto di lavoro e a una relazione sentimentale non è sufficiente per consentire al cittadino straniero di rimanere in Italia Corte di Cassazione, sez. II Civile ordinanza n. 4648/21, depositata il 22 febbraio . A essere presa in esame è la storia narrata da un uomo, originario della Guinea, approdato in Italia chiedendo protezione e parlando di possibili persecuzioni in caso di ritorno in patria. Il suo racconto è però ritenuto non credibile. Così, prima i membri della Commissione territoriale, poi i Giudici del Tribunale, infine i Giudici della Corte d’appello negano allo straniero ogni possibile protezione. Col ricorso in Cassazione il legale del cittadino della Guinea prova a porre in evidenza le vicissitudini sopportate dal suo cliente. In particolare, l’avvocato spiega che lo straniero ha riferito di essere di orientamento omosessuale , di aver perso i genitori nel corso di un’epidemia di Ebola e, infine, di essere fuggito dal proprio Paese per timore che, in ragione della sua inclinazione sessuale, gli venisse attribuita la responsabilità dell’epidemia . In sostanza, secondo il legale, i Giudici di merito non hanno tenuto conto della grave condizione di privazione delle libertà fondamentali e del trattamento discriminatorio riservato agli omosessuali in Guinea . In aggiunta, poi, il legale pone anche in evidenza l’inserimento socio-lavorativo in Italia del suo cliente, che vanta un contratto di lavoro e sta portando avanti una stabile relazione affettiva . In primissima battuta dalla Cassazione mostrano di condividere in toto le perplessità dei Giudici d’Appello sulla credibilità dello straniero. Quest’ultimo ha prima riferito solo di aver perso i familiari nel corso dell’epidemia. Poi, in sede di audizione, ha detto di essere fuggito perché perseguitato da uno zio che rivendicava la proprietà di una casa. Infine, ha introdotto la questione dell’omosessualità soltanto nel ricorso presentato in Tribunale viste le diverse e contraddittorie versioni fornite, lo straniero non è stato ritenuto credibile , osservano i Giudici della Cassazione. Per quanto concerne l’ipotesi della protezione umanitaria , il cittadino della Guinea ha posto in evidenza, come detto, il suo inserimento socio-lavorativo in Italia , richiamando un contratto di lavoro a tempo indeterminato ed una stabile relazione affettiva in corso . Su questo fronte i Giudici del ‘Palazzaccio’ ribattono osservando che lo straniero ha documentato soltanto attività lavorative e di volontariato , senza fornire ulteriori dettagli , e, allo stesso modo, ha riferito di una stabile relazione affettiva, prossima a sfociare in una convivenza senza però fornire alcun ulteriore dettaglio . Evidente, quindi, la fragilità degli elementi posti sul tavolo dall’uomo. Ciò che conta, però, chiosano dalla Cassazione, è che in ogni caso, la protezione umanitaria non può essere riconosciuta esclusivamente in forza di una attività lavorativa o di una relazione affettiva in corso in Italia, in quanto alla prova del radicamento deve comunque aggiungersi la dimostrazione che il rimpatrio esporrebbe lo straniero al rischio di una effettiva compromissione del nucleo inalienabile dei diritti umani fondamentali .

Corte di Cassazione, sez. II Civile ordinanza 14 ottobre 2020 – 22 febbraio 2021, n. 4648 Presidente Di Virgilio – Relatore Oliva Fatti di causa Con ordinanza del 4.4.2018 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da Ca. Ib. avverso il provvedimento del 22.2.2017, notificatogli il 22.3.2017, con cui la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano aveva respinto la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Interponeva appello il Ca. e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n. 2844/2019, respingeva il gravame. Propone ricorso per la cassazione di tale decisione Ca. Ib. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell'Interno. Ragioni della decisione Con il primo motivo e secondo motivo il ricorrente lamenta, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 Cost. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. primo motivo e dell'art. 14 del D.Lgs. n. 251 del 2007 e dell'art. 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. secondo motivo perché la Corte di Appello sarebbe venuta meno all'obbligo di cooperazione istruttoria, non tenendo conto della grave condizione di privazione delle libertà fondamentali e del trattamento discriminatorio riservato agli omosessuali in Guinea, Paese di origine del richiedente. Quest'ultimo infatti sostiene di aver riferito di essere di orientamento omosessuale, di aver perso i genitori nel corso di una epidemia di Ebola e di esser fuggito dal proprio Paese per timore che gli venisse attribuita, in ragione della sua inclinazione sessuale, la responsabilità dell'epidemia predetta. I due motivi, che per la loro connessione meritano una trattazione congiunta, sono inammissibili. La Corte di Appello indica in modo preciso i motivi per cui, confermando il giudizio già espresso dal Tribunale, ha ritenuto non credibile il racconto del Ca. cfr. pag.5 della sentenza impugnata . Costui, infatti, aveva prima riferito solo di aver perso i familiari nel corso dell'epidemia, poi, in sede di audizione, aveva detto di essere fuggito perché perseguitato da uno zio che rivendicava la proprietà di una casa, ed infine aveva introdotto la questione dell'omosessualità soltanto nel ricorso presentato al Tribunale. In ragione delle diverse e contraddittorie versioni fornite, il Ca. non è stato ritenuto credibile, e la relativa valutazione non viene in alcun modo attinta dai motivi di censura in esame, che in sostanza si risolvono in una mera istanza di riesame del merito. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 del D.Lgs. n. 25 del 2008 e 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, nonché l'omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. perché il giudice di merito avrebbe erroneamente denegato anche la tutela umanitaria senza considerare la sua condizione di vulnerabilità e il suo inserimento socio-lavorativo in Italia. In particolare, il Ca. deduce di avere un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso la LIDL ed una stabile relazione affettiva in corso, e si duole della mancata valutazione di tali elementi di fatto, assumendone la rilevanza ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. La censura è inammissibile. La sentenza impugnata dà atto che il ricorrente aveva documentato soltanto attività lavorative e di volontariato, senza fornire ulteriori dettagli al riguardo. Il ricorrente, nel dolersi della mancata considerazione, da parte del giudice di merito, del suo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non indica né quando esso si sarebbe costituito, né quando la relativa circostanza sarebbe stata dedotta nel corso del giudizio di merito. Stesso dicasi in relazione alla stabile relazione affettiva, che il Ca. assume, nel motivo in esame, essere prossima a sfociare in una convivenza, ma in relazione alla quale non fornisce alcun ulteriore dettaglio, né ha cura di precisare in quale fase del giudizio di merito la circostanza sarebbe stata allegata e dedotta. Ne consegue l'inammissibilità della censura, in parte perché nuova, ed in parte per carenza della necessaria specificità. A ciò si aggiunga che, in ogni caso, la protezione umanitaria non può essere riconosciuta esclusivamente in forza di una attività lavorativa o di una relazione affettiva in corso in Italia, in quanto alla prova del radicamento deve comunque aggiungersi la dimostrazione che il rimpatrio esporrebbe il richiedente al rischio di effettiva compromissione del nucleo inalienabile dei diritti umani fondamentali Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 . In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. PQM la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in data 14 ottobre 2020.