Entra irregolarmente in Italia per raggiungere il marito: negato il permesso di soggiorno

Per i Giudici non può essere consentito sempre e comunque il ricongiungimento allo straniero coniugato e convivente con altro straniero.

Negato il ricongiungimento familiare per il cittadino straniero che è entrato irregolarmente in Italia per raggiungere il coniuge che, invece, è legittimamente presente sul territorio nazionale Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 2869/21 depositata il 5 febbraio . All’origine della vicenda c’è la richiesta di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare presentata da una donna , di origini albanesi , arrivata in Italia per raggiungere il marito , anch’egli albanese e legittimamente presente sul territorio nazionale. La domanda viene ritenuta meritevole di accoglimento in Tribunale. Di parere opposto, però, sono i Giudici d’Appello, i quali accolgono le osservazioni proposte dall’Avvocatura dello Stato nell’interesse del Ministero dell’Interno e negano il permesso di soggiorno alla donna. Decisiva la constatazione che la cittadina albanese, coniugata con altro cittadino albanese regolarmente soggiornante in Italia, all’epoca della presentazione dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, era irregolarmente presente sul territorio nazionale . Ciò significa, secondo il Ministero e secondo i Giudici, che ella non poteva esercitare il diritto alla coesione familiare , essendo entrata in Italia dalla Francia senza essere in possesso del visto d’ingresso o di un permesso di soggiorno francese . In aggiunta, poi, si è appurato che la donna era destinataria di un decreto di espulsione , con contestuale ordine di lasciare il territorio e che che l’autorità francese aveva respinto la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale da lei presentata. Per i Giudici di secondo grado è logico affermare che la presenza irregolare in Italia dello straniero a maggior ragione se destinatario di un provvedimento di espulsione è impeditiva della positiva conclusione del procedimento di ricongiungimento familiare . Respinto, di conseguenza, il ricorso presentato dalla donna avverso il provvedimento di diniego dell’Ufficio Immigrazione della Questura . Col ricorso in Cassazione il legale della cittadina albanese prova a mettere in discussione la decisione presa dai Giudici d’Appello. In quest’ottica egli pone in evidenza che la sua cliente aveva un appuntamento per ottenere il permesso di soggiorno in Francia e nel frattempo aveva avuto un figlio . Allo stesso tempo, il legale ritiene anche non costituzionale il non consentire il ricongiungimento con lo straniero regolarmente soggiornante in Italia. Dalla Cassazione ribattono ricordando che il diritto al mantenimento dell’unità della propria famiglia è, in via generale, riconosciuto soltanto ai cittadini stranieri regolarmente presenti nel territorio nazionale e in questa categoria non rientrano i soggetti colpiti da provvedimento di espulsione, in relazione ai quali l’esistenza di un nucleo familiare non è di per sé sufficiente a farne ritenere legittima la permanenza in Italia . Ciò rende priva di solidità la prospettazione difensiva, essendo basata sulla mera asserzione dell’esistenza di un appuntamento per l’ottenimento del permesso di soggiorno in Francia e dell’esistenza di un figlio minore . I magistrati spiegano che entrambi tali elementi sono privi di rilevanza il primo perché riferito a un semplice appuntamento e non all’effettivo rilascio di un permesso di soggiorno il secondo perché il permesso di soggiorno per motivi familiari può essere rilasciato al genitore straniero, anche naturale, a condizione che egli sia genitore di un minore italiano residente in Italia, circostanza non provata e neanche compiutamente prospettata in questo caso . E comunque va rilevato come l’avvenuta espulsione della donna da parte delle autorità italiane rimanga preclusiva , aggiungono dalla Cassazione. Per quanto concerne poi la legittimità della norma che non consente il ricongiungimento in ogni caso – quindi, nella prospettazione difensiva, anche da parte di un soggetto non regolarmente soggiornante sul territorio italiano e, anzi, destinatario di un provvedimento di espulsione – con lo straniero regolarmente soggiornante , i giudici respingono le considerazioni mosse dal legale della donna. Su questo fronte, difatti, va applicato il principio secondo cui il legislatore può legittimamente limitare il diritto al ricongiungimento, al fine di equamente bilanciare l’interesse dello straniero alla ricostituzione del nucleo familiare, con gli altri valori costituzionali sottesi alle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri . Ciò significa che se, invece, fosse consentito sempre e comunque il ricongiungimento allo straniero coniugato e convivente con altro straniero, si aggirerebbero per tal via le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri valori costituzionali considerati da tali norme , sanciscono i giudici della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 15 settembre 2020 – 5 febbraio 2021, n. 2869 Presidente San Giorgio – Relatore Andronio Fatti Di Causa 1. Con sentenza n. 168/2018 del 14 novembre 2018, la Corte d'appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano ha riformato l'ordinanza del Tribunale di Bolzano del 21 novembre 2017, con la quale era stato accolto il ricorso dell'interessata avverso il diniego del rilascio di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. L'ordinanza del Tribunale era stata impugnata dall'Avvocatura dello Stato, nell'interesse del Ministero dell'interno, per violazione dell'art. 30 del D.Lgs. n. 286 del 1998, nonché per vizi della motivazione. In particolare, l'amministrazione appellante aveva osservato che la richiedente, cittadina albanese, coniugata dal 26 novembre 2016 con altro cittadino albanese regolarmente soggiornante in Italia, all'epoca della presentazione dell'istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, era irregolarmente presente sul territorio nazionale, per cui non poteva esercitare il diritto alla coesione familiare la stessa aveva fatto ingresso nel territorio in violazione dell'art. 4 del richiamato decreto legislativo, essendo entrata dalla Francia senza essere in possesso del visto d'ingresso o di un permesso di soggiorno francese. A tale considerazione si aggiungeva - per l'appellante - il fatto che la richiedente era destinataria di un decreto di espulsione emesso dalla questura di Torino il 18 agosto 2016, con contestuale ordine di lasciare il territorio e, in sede di ricorso avverso tale provvedimento di espulsione, era emerso che l'autorità francese aveva respinto la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale presentata. Nell'accogliere la prospettazione di parte appellante, la Corte territoriale ha affermato che la presenza irregolare in Italia dello straniero a maggior ragione se destinatario di un provvedimento di espulsione è impeditiva della positiva conclusione del procedimento di ricongiungimento familiare e, in riforma dell'impugnato provvedimento del Tribunale, ha respinto il ricorso presentato dall'interessata avverso il provvedimento di diniego dell'ufficio immigrazione della Questura di Bolzano del 27 giugno 2017. 2. Avverso la sentenza l'interessata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo 1 la violazione dell'art. 30 del D.Lgs. n. 286 del 1998, nonché l'omessa motivazione in relazione alla circostanza che l'interessata aveva un appuntamento per ottenere il permesso di soggiorno in Francia e nel frattempo aveva avuto un figlio, sul rilievo che il giudice avrebbe dovuto valutare anche i fatti sopravvenuti 2 l'incostituzionalità dell'art. 30 richiamato, nella parte in cui non consente il ricongiungimento in ogni caso con lo straniero regolarmente soggiornante, per contrasto con gli artt. 3, 29, 30, 31 Cost. e con l'art. 8 Cedu 3 l'inesistenza del provvedimento di diniego, sul rilievo che la richiedente sarebbe stata convocata e, in quella sede, il documento comprovante l'avvenuta presentazione della domanda sarebbe stato ritirato, senza un diniego espresso. 3. Il difensore della ricorrente ha fatto pervenire, tramite posta elettronica certificata in data 14 settembre 2020 una prima comunicazione con la quale afferma che l'interessata si è trasferita all'estero e che ha perso ogni interesse per il ricorso una seconda comunicazione con la quale precisa di non volere rinunciare agli atti del giudizio, ma comunica la rinuncia al mandato, chiedendo la fissazione di un termine per l'eventuale nomina di nuovo difensore. 4. L'amministrazione intimata non si è costituita. Ragioni Della Decisione 1. Il ricorso è infondato. Preliminarmente deve rilevarsi come le comunicazioni fatte pervenire dal difensore non abbiano ad oggetto una rinuncia agli atti del giudizio, ma una semplice rinuncia al mandato, priva di effetto nel presente giudizio di cassazione, in cui il contraddittorio si è realizzato tramite lo scambio di atti scritti e la partecipazione personale dei difensori delle parti è esclusa art. 375, secondo comma, cod. proc. civ. . 1.1. Il primo motivo di doglianza è infondato. Deve premettersi che, come già evidenziato anche dalla Corte d'appello, ai sensi dell'art. 28, comma 1, del D.Lgs. n. 286 del 1998, il diritto al mantenimento dell'unità della propria famiglia è, in via generale, riconosciuto - alle condizioni sostanziali e nel rispetto delle regole procedurali previste nei successivi artt. 29 e 30 - soltanto ai cittadini stranieri regolarmente presenti nel territorio nazionale categoria nella quale non rientrano i soggetti colpiti da provvedimento di espulsione, in relazione ai quali l'esistenza di un nucleo familiare non è di per sé sufficiente a farne ritenere legittima la permanenza in Italia. La prospettazione di parte ricorrente non è in grado di contrastare tali conclusioni, perché si basa sulla mera asserzione dell'esistenza di un appuntamento per l'ottenimento del permesso di soggiorno in Francia e dell'esistenza di un figlio minore. Entrambi tali elementi sono privi di rilevanza il primo, perché riferito a un semplice appuntamento e non all'effettivo rilascio di un permesso di soggiorno il secondo perché, a norma dell'art 30 del D.Lgs. n. 286 del 1998, il permesso di soggiorno per motivi familiari può essere rilasciato al genitore straniero, anche naturale, a condizione che egli sia genitore di un minore italiano residente in Italia, circostanza non provata e neanche compiutamente prospettata nel caso di specie. E va in ogni caso rilevato come l'avvenuta espulsione da parte delle autorità italiane rimanga preclusiva, non essendo contestabile in questa sede. 1.2. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 del D.Lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non consente il ricongiungimento in ogni caso - quindi, nella prospettazione difensiva, anche da parte di un soggetto non regolarmente soggiornante sul territorio italiano e, anzi, destinatario di un provvedimento di espulsione - con lo straniero regolarmente soggiornante, è manifestamente infondata. È sufficiente qui richiamare l'ordinanza della Corte Costituzionale n. 232 del 2001, nella quale si afferma il principio generale - che si attaglia pienamente anche al caso di specie - secondo cui il legislatore può legittimamente limitare il diritto al ricongiungimento, al fine di equamente bilanciare l'interesse dello straniero alla ricostituzione del nucleo familiare, con gli altri valori costituzionali sottesi dalle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri. Se, invece, fosse consentito sempre e comunque il ricongiungimento allo straniero coniugato e convivente con altro straniero, si aggirerebbero per tal via le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri valori costituzionali considerati da tali norme. 1.3. Il terzo motivo di doglianza è inammissibile. La prospettazione difensiva secondo cui l'interessata sarebbe stata convocata e, in sede di convocazione, il documento comprovante l'avvenuta presentazione della domanda sarebbe stato reiterato, senza un diniego espresso, è stata proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione ed è, dunque, preclusa. Si tratta, in ogni caso, di una doglianza del tutto generica, alla quale non si allegano, né comunque si descrivono gli stessi in modo sufficientemente puntuale, gli atti amministrativi rilevanti. 2. Il ricorso deve esse, dunque, rigettato. Nulla è dovuto per le spese, non essendo costituita l'amministrazione resistente. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.