La violenza indiscriminata come condizione per il riconoscimento della protezione sussidiaria dello straniero

La condizione indefettibile per il riconoscimento della protezione sussidiaria, accordata anche ai soggetti che non beneficino dello status di rifugiato, è la sussistenza, nel suo Paese o regione d’origine, di una situazione di conflitto armato interno o internazionale, che abbia raggiunto un livello talmente elevato di violenza indiscriminata, da far ritenere che il richiedente, se rinviato in tale Paese, per il solo fatto di esservi fisicamente presente, finirebbe per essere effettivamente esposto ad una minaccia grave e individuale alla sua vita o alla sua persona sentenze n. 18306/2019 e 22637/2020 .

Il riconoscimento della protezione umanitaria, tuttavia, presuppone la valutazione comparativa simultanea della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente, sia con riferimento al contesto di generale compromissione dei diritti umani esistente nel suo Paese di provenienza, che alla situazione d’integrazione che lo stesso ha raggiunto nel Paese d’accoglienza, senza poter ritenere prevalenti, ai fini della decisione, l’uno o l’altro aspetto. Con la sentenza n. 2446/21, depositata il 3 febbraio, la Corte Suprema di Cassazione, si è trovata ad intervenire sulla controversa e drammatica materia della protezione internazionale ed umanitaria. Il fatto. L’intervento della Suprema Corte è reso necessario a seguito della proposizione, da parte di un cittadino nigeriano, di un ricorso avverso il decreto tribunalizio, che aveva confermato il rigetto della sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria, precedentemente espresso dalla competente Commissione territoriale. Sosteneva il ricorrente di esser stato costretto a fuggire dal suo Paese di origine, ove aveva colposamente provocato l’incendio della sua abitazione, nel quale era perito uno dei suoi figli, a causa della particolare situazione esistente nella sua regione geografica di provenienza, ove egli temeva di non poter trovare effettiva tutela e protezione, sia sul piano giuridico, per ciò che attiene l’accusa di omicidio colposo a suo carico, che su quello personale, con riferimento ad eventuali ritorsioni, da parte del proprietario dell’immobile danneggiato, non essendo egli in grado di risarcire i danni. In nessuno dei precedenti gradi di giudizio, tuttavia, le sue ragioni avevano trovato accoglimento, per cui egli si era risolto a ricorrere innanzi alla Corte di Cassazione. Le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria. La Suprema Corte, nell’esaminare la delicata questione posta dal ricorrente, ha voluto chiarire che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, accordata anche ai soggetti che non beneficino dello status di rifugiato, l’art. 14 lett. C del d.lgs. n. 251/2007, pone come condizione indefettibile la sussistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Ciò significa, secondo quanto evidenziato dalla Corte, che un conflitto armato interno ad un Paese assume rilievo solo se sia possibile ritenere che gli scontri fra le forze governative ed uno o più gruppi armati irregolari oppure direttamente fra tali gruppi armati, possano costituire una grave minaccia individuale alla vita del soggetto richiedente. Il grado di violenza esistente in un dato Paese o in una data area geografica deve cioè aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che il richiedente, se rinviato nel suo paese o regione d’origine, per il solo fatto di esservi fisicamente presente, finirebbe per essere effettivamente esposto a tale minaccia sentenze n. 18306/2019 e 22637/2020 . La valutazione comparativa. La Suprema Corte ha inoltre anche chiarito che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è necessario operare una valutazione comparativa simultanea della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente, sia con riferimento al contesto di generale compromissione dei diritti umani esistente nel suo Paese di provenienza, che alla situazione d’integrazione che lo stesso ha raggiunto nel Paese d’accoglienza, senza poter ritenere prevalenti, ai fini della decisione, l’uno o l’altro aspetto. La minor criticità come motivo di rigetto. La Suprema Corte, invece, con riguardo all’effettiva e concreta situazione della regione di provenienza del richiedente, ha evidenziato come, secondo la ricostruzione dettagliata effettuata dal Tribunale, nel precedente grado di giudizio, sulla scorta di fonti informative accreditate e debitamente indicate nel corpo della motivazione del provvedimento impugnato, le maggiori criticità, valutabili ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, potevano essere individuate in zone geografiche differenti, rispetto a quella di provenienza del ricorrente, motivo per cui, non sussistendo alcuno dei requisiti indefettibili per procedere al riconoscimento la protezione sussidiaria, ben aveva fatto il tribunale a rigettare la sua domanda.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 dicembre 2020 – 3 febbraio 2021, n. 2446 Presidente Scotti – Relatore Ariolli Fatti di causa 1. O.B. , cittadino della , ricorre per cassazione avverso il Decreto n. 2407 del 2018, del Tribunale di Catanzaro con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui la commissione territoriale di Crotone aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria. 2. Svolgendo cinque motivi chiede l’annullamento del decreto impugnato. 2.1. Con il primo lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2. Premesso che era scappato dalla Nigeria, dove aveva provocato un incendio colposo nella sua abitazione che aveva cagionato la morte di uno dei suoi figli, e che non era in grado di risarcire il danno al padrone di casa le cui reazioni temeva, lamenta in particolare che il Tribunale non aveva indagato le questioni della regione di provenienza, l’effettiva possibilità di essere tutelato nel suo Paese, la disponibilità di mezzi economici e l’eventuale possibilità di difendersi, oltre al rischio della violenza e delle minacce dei privati per il preteso risarcimento dei danni. Sotto questo profilo, segnala che la protezione sussidiaria non richiedeva che il rischio di danno grave fosse dipeso da ragioni di tipo particolare. 2.2. Con il secondo motivo eccepisce la mancata audizione nonostante l’assenza della videoregistrazione. 2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9, per non aver citato le informazioni della Commissione asilo sulla Nigeria. 2.4. Con il quarto motivo allega la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a , b e c e ricostruisce la situazione geopolitica della Nigeria. 2.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 2 Cost., artt. 3 e 8 CEDU. Insiste sulla vulnerabilità e ricorda che il riferimento alla dignità personale ed alle esigenze di vita privata era importante perché sanciva l’indipendenza dell’istituto della protezione umanitaria rispetto ad un’indagine collegata alla violazione di diritti alla vita ed all’incolumità personale, rilevanti ai fini del riconoscimento dell’asilo o della protezione sussidiaria. 2.6. Presenta una memoria pervenuta a mezzo posta il 26 settembre 2019. 3. Non si è costituito il Ministero dell’Interno. 4. Con ordinanza interlocutoria n. 4112 adottata da questa Sezione all’udienza camerale del 4/10/2019, il ricorso veniva rimesso all’odierna pubblica udienza per la decisione della questione di diritto circa la necessità o meno che il giudice disponga l’audizione del richiedente che ne faccia espressa richiesta e non solo che provveda a fissare l’udienza di comparizione , in caso di assenza di videoregistrazione del colloquio davanti la Commissione territoriale. Ragioni della decisione 1. Prima di esaminare i motivi di ricorso, vanno affrontate preliminarmente due questioni a la prima, di carattere pregiudiziale, riguarda la validità dell’attestazione di conformità apposta dal legale del merito sulla copia digitale del provvedimento impugnato dopo che il ricorrente aveva rilasciato mandato e procura speciale per il giudizio di cassazione ad altro difensore. Si tratta, infatti, di una questione che assume particolare rilievo in quanto attiene ad uno dei requisiti di procedibilità dell’impugnazione - il cui vizio è rilevabile ex officio - e che ha formato oggetto delle ordinanze interlocutorie n. 7680/2020 e n. 8809/2020 rese nell’ambito di differenti procedimenti rispettivamente Rg. n. 35920/2018 e Rg. n. 2885/2019 che sono stati rimessi per la decisione all’odierna udienza pubblica b la seconda, invece, oggetto di ordinanza interlocutoria emessa nel presente giudizio, attiene alla necessità per il tribunale di provvedere alla rinnovazione dell’audizione dello straniero laddove manchi o non sia disponibile la videoregistrazione svoltasi nella fase amministrativa. 1.1. Quanto alla prima questione, ritiene il Collegio che, ai fini della presentazione del ricorso per cassazione, sia validamente attestata - peraltro in assenza di contestazione alcuna - anche dal difensore del ricorrente nella fase di merito la conformità della copia analogica del decreto impugnato redatto in forma digitale, nonostante sia stato già nominato altro legale per il procedimento davanti la Corte di cassazione. Invero, il conferimento della successiva nomina non determina una consequenziale perdita del potere certificativo in capo al precedente difensore, trattandosi dell’autentica di un provvedimento emesso all’esito della fase del giudizio di merito nel corso del quale il legale ha esercitato il munus difensivo e in forza del quale ha ricevuto - quale destinatario – formale comunicazione dell’atto da parte della cancelleria. Sarebbe, infatti, irragionevole che tale soggetto sia, per un verso, abilitato a ricevere la comunicazione telematica della copia digitale del provvedimento conclusivo di tale fase processuale, restandone depositario in quanto pertinente al fascicolo informatico del giudizio di merito e, per altro, privarlo del potere di attestarne la conformità rispetto ad un atto originale che è entrato in suo legittimo possesso, al quale ha potuto accedere in forza della persistenza di valide credenziali e destinato ad essere prodotto nell’ambito di una fase che ne costituisce un fisiologico epilogo. Ciò non toglie, però, che tale potere di autentica possa essere alternativamente esercitato anche dal difensore nominato per il giudizio di cassazione laddove, successivamente al deposito in cancelleria della procura, abbia avanzato un’istanza di visibilità del fascicolo di merito al quale sia stato autorizzato ad accedere. Una soluzione volta a riconoscere la coesistenza del potere in capo ai difensori rispettivamente nominati per il giudizio di merito e per quello di cassazione, assicura maggiore celerità negli adempimenti difensivi volti all’iscrizione del ricorso in cassazione, nell’ambito di un procedimento, quale quello in materia di immigrazione, caratterizzato da evidenti peculiarità. Va, pertanto, affermato sul punto il seguente principio di diritto in tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’osservanza di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale e notificata tramite PEC, l’attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la Corte di cassazione può essere effettuata, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, anche dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono anche quando il cliente ha conferito il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore. 1.2. Con riguardo, invece, alla seconda questione, il motivo presenta profili di inammissibilità e profili di infondatezza. Partendo da quest’ultimi per voler seguire l’ordine espositivo delle doglianze prospettate dal ricorrente, giova in primo luogo ricordare che è stato recentemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte il principio, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che a nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti b il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente c il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile cfr. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982 in termini Sez. 1, sentenze n. 27274 e n. 27275 del 13/10/2020 n. 25312 del 14/10/2020 conforme Sez. 1, n. 22049 del 13/10/2020, Rv. 659115 . Ne consegue, pertanto, che nessun automatismo è dunque predicabile tra la mancanza di videoregistrazione e la necessaria audizione del richiedente. A ciò va aggiunto che il ricorrente formula una censura che difetta della necessaria precisione, in quanto dapprima evidenzia come all’indisponibilità della videoregistrazione debba seguire per dettato normativo la fissazione da parte del giudice dell’udienza di comparizione e, poi, invece, senza specificare se l’udienza sia stata o meno fissata che dalla lettura del provvedimento impugnato appare essersi tenuta , lamenta la mancata audizione del ricorrente. Inoltre, non ha neppure indicato le specifiche circostanze fattuali su cui avrebbe dovuto essere sentito e rendere eventuali chiarimenti, limitandosi a dedurre che il Tribunale avrebbe dovuto procedere ad ascoltarlo nuovamente in quanto il verbale della CT era scarno e poco esaustivo vedi pag. 7 del ricorso , di talché la censura si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile vedi sul punto anche Cass. n. 8931/2020 . Al riguardo, questa Corte ha affermato che nel solco di quanto affermato dalla recente sentenza n. 21584-20 il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza Sez. 1, n. 25312 dell’11/11/2020 . 2. Venendo agli altri motivi di ricorso, il terzo è manifestamente infondato e generico. Il giudice del merito risulta avere citato fonti di particolare attendibilità sulla situazione esistente in Nigeria, con particolare riguardo alla zona di provenienza del ricorrente Edo State , facendone espressa menzione vengono citate diverse fonti, tra cui EASO . A fronte di tali report, il ricorrente si è limitato a lamentare la mancata indicazione delle informazioni sul Paese di origine della Commissione nazionale per il diritto di asilo, senza specificare la decisività di tale report ai fini dell’accoglimento della domanda ed omettendo di confrontarsi con la rilevanza delle altre fonti informative puntualmente evocate nel provvedimento impugnato. 3. Il primo ed il quarto motivo di ricorso, in tema di protezione sussidiaria, sono inammissibili. Con riguardo al rischio di subire un danno grave in caso di rientro nel Paese di origine per come definito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, la censura muove da un presupposto di fatto - che il ricorrente possa temere di essere arrestato e sanzionato con pene sproporzionate per l’omicidio colposo del figlio cagionato a causa di incendio accidentale della loro abitazione ovvero sottoposto a ritorsioni dal proprietario dell’abitazione andata distrutta e dagli abitanti del villaggio che risulta essere stato smentito dal provvedimento impugnato con motivazione congrua e scevra da vizi logici, essendosi al riguardo evidenziato come l’assenza circostanziale dell’episodio - la cui gravità ed eccezionalità avrebbe dovuto restare ben impressa nella memoria del ricorrente - ne asseveri, al contrario, l’inesistenza fattuale. Il motivo finisce, dunque, per sostanziarsi in un’alternativa di merito non consentita in questa sede. Peraltro, quanto alla situazione del Paese di origine, aspetto di rilievo quanto alla denunciata violazione del art. 14, lett. c del suddetto D.Lgs., il Tribunale, dopo aver operato una ricostruzione dettagliata della situazione socio-politica della Nigeria, sulla base di fonti informative accreditare e debitamente specificate nel corpo della motivazione della sentenza impugnata, ha evidenziato che le maggiori criticità si possono registrare solo in alcuni zone tra le quali non figura quella di provenienza del ricorrente Edo State . Pertanto, sulla base di tale ricostruzione, ha escluso la sussistenza, in caso di rimpatrio, di un grave danno derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Ciò in armonia con il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c , la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12 , deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia Cass. n. 18306/2019, Cass., 22637/2020 con specifico riferimento all’Edo State - Nigeria . In contrasto con la valutazione espressa dal giudice di merito, che non si è sottratto all’accertamento officioso della situazione del Paese di origine, il ricorrente contrappone una diversa valutazione, sollecitando questa Corte ad un inammissibile apprezzamento di merito, per giunta sulla base di alternative fonti di prova, anch’esse descriventi la situazione di sicurezza in Nigeria, che compendia senza neppur indicare di come e quando sarebbero stati sottoposte al contraddittorio nel giudizio. 4. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile poiché del tutto generico. Non sono, infatti, stati allegati nel corso del giudizio di merito, nè dedotti con il presente motivo di ricorso per cassazione, profili di vulnerabilità soggettiva del ricorrente, essendosi il ricorrente limitato a fare riferimento ad una generica compromissione della zona di provenienza, peraltro motivatamente esclusa dal provvedimento impugnato. Nè si è allegato alcunché in ordine allo stato di integrazione raggiunto in Italia pur richiamando gli orientamenti di questa Corte che a tale elemento valutativo fanno espresso riferimento . Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è necessario, infatti, operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato S.U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 . 5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. 6. Nulla aggiunge la memoria presentata dal ricorrente, in quanto reiterativa dei motivi e delle conclusioni spiegate con il ricorso principale. 7. Nulla per le spese non avendo l’Amministrazione intimata svolto attività difensiva. 8. Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660/2019. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.