Come individuare il mezzo di impugnazione?

Con sentenza n. 29336/20, la Cassazione ha affermato che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione giuridica del rapporto controverso operata dal giudice, a prescindere dalla sua esattezza .

Il Tribunale di Milano condannava l’Editore, nonché il titolare e responsabile del trattamento dei dati, al risarcimento dei danni nei confronti degli attori, per lesione del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali , nonché per la lesione del diritto all’immagine , a seguito della pubblicazione sul settimanale di sette fotografie, a corredo di un articolo, ritraenti i due personaggi pubblici. Rimasti soccombenti anche in appello, la società e il responsabile del trattamento dei dati hanno proposto ricorso per cassazione lamentando il fatto che il Tribunale ha esaminato due domande, qualificandole come relative, l’una, alla violazione del codice della privacy e, l’altra, a ulteriori illeciti civili, e che, rilevando di non poter mutare il rito individuato nell’ordinanza di rimessione, ha affermato che il rito non avrebbe potuto incidere sui diversi mezzi di impugnazione previsti per le cause connesse. A fronte di tale decisione, lamentano i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe poi erroneamente ritenuto che il mezzo di impugnazione esperibile fosse determinato dal rito, ovvero dal nomen iuris del provvedimento, quando invece questa doveva esser retta dalla qualificazione della domanda. Nell’esaminare il ricorso, la Corte di Cassazione lo ha ritenuto infondato in quanto l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione giuridica del rapporto controverso operata dal giudice, a prescindere dalla sua esattezza . Occorre, secondo la Corte, fare applicazione del c.d. principio di apparenza , secondo cui l’identificazione del mezzo di impugnazione richiede di operare a tutela dell’affidamento della parte con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse secondo il rito in concreto adottato . Nella fattispecie , dalla sentenza d’appello si evince che il Tribunale aveva deciso sul presupposto che il rapporto processuale dovesse essere qualificato come afferente all’illecito trattamenti dei dati personali, tanto da aver esplicitamente affermato di giudicare il tutto unitariamente a norma dell’art. 4 d.lgs. n. 150/2011 .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 11 novembre – 22 dicembre 2020, n. 29336 Presidente Genovese – Relatore Terrusi Rilevato che il tribunale di Milano, con sentenza depositata il 6-5-2015, accertava l’illiceità della pubblicazione avvenuta il omissis , sul n. X del settimanale , di sette fotografie ritraenti Sa.Mi. e la moglie P.S. a corredo di un articolo, presentato in prima pagina, dal titolo omissis . Il riposo del guerriero condannava di conseguenza i convenuti Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. e S.A. , nella rispettiva qualità di titolare e responsabile del trattamento, al risarcimento dei danni quantificati nella somma di giustizia per la lesione del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, nonché per la lesione del diritto all’immagine i soccombenti impugnavano la sentenza dinanzi alla corte d’appello di Milano, a misura dei capi e delle statuizioni relative al presunto illecito civile ordinario per danno all’immagine, cumulato a quello relativo al trattamento dei dati personali la corte d’appello, con sentenza resa a verbale del 13-4-2016, ha dichiarato inammissibile il gravame poiché il primo giudice - che era stato investito della controversia dopo che il tribunale di Roma, con ordinanza D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 4 aveva dichiarato la propria incompetenza e disposto che la causa fosse riassunta nelle forme di cui all’art. 10 vale a dire col rito del lavoro - aveva manifestato semplicemente il dubbio che il cumulo di domande consentisse di far luogo al criterio della prevalenza del rito speciale, ma non aveva sollevato alcun conflitto, e aveva, invece, deciso la causa proprio a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 cosicché il rito applicato era stato infine quello speciale, non contemplante l’appello contro la sentenza di merito Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. e S.A. hanno proposto ricorso per cassazione deducendo un solo motivo gli intimati si sono costituiti resistendo le parti hanno depositato memorie. Considerato che con l’unico motivo i ricorrenti censurano la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101, 112, 113, 323, 339, 341 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 e del D.Lgs. n. 156 del 2003, art. 152 cd. codice privacy , artt. 24 e 11 Cost. sostengono che il tribunale abbia esaminato due domande, qualificandole come relative, l’una, alla violazione del codice della privacy e, l’altra, a ulteriori illeciti civili, e che, rilevando di non poter mutare il rito individuato nell’ordinanza di rimessione, abbia anche affermato che il rito non avrebbe potuto incidere sui diversi mezzi di impugnazione previsti per le cause connesse a fronte di tanto, lamentano che la corte d’appello abbia erroneamente ritenuto, invece, che il mezzo di impugnazione esperibile fosse determinato giustappunto dal rito, ovvero dal nomen iuris del provvedimento, quando invece l’impugnazione doveva esser retta dalla qualificazione della domanda il ricorso è infondato l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione giuridica del rapporto controverso operata dal giudice, a prescindere dalla sua esattezza v. Cass. n. 2948-15, Cass. n. 21520-15 tanto costituisce applicazione del cd. principio di apparenza cfr. Cass. n. 20811-10 , secondo il quale l’identificazione del mezzo di impugnazione richiede di operare a tutela dell’affidamento della parte con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse secondo il rito in concreto adottato nella concreta fattispecie si comprende dalla sentenza d’appello che il tribunale aveva deciso sul presupposto che il rapporto processuale dovesse essere qualificato come afferente all’illecito trattamento dei dati personali, tanto da aver esplicitamente affermato di giudicare il tutto unitariamente a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4 ciò consente di condividere la declaratoria di inammissibilità dell’appello l’assunto dei ricorrenti è nel senso che la fattispecie imponesse l’esperibilità di distinti mezzi di impugnazione in relazione all’avvenuto esame di diverse domande soggette a diverso regime ma è assertivo sostenere che le domande fossero caratterizzate da distinte causae petendi, in quanto la diversificata modalità di tutela giurisdizionale è in generale da escludere ove le domande siano proposte nel contesto di una situazione illecita postulata in modo unitario l’impugnata sentenza - anche sul piano qualificatorio - ha alluso al fatto che i danni risarcibili erano stati prospettati come conseguenza dell’illecita diffusione dei dati acquisiti e ciò vuol dire che, secondo il giudice del merito, la causa petendi era infine unica e relativa alla violazione del codice della privacy, finanche come specificazione della responsabilità aquiliana le spese processuali seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in 4.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge. Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.