Decade dalla carica l’amministratore che non paga quanto dovuto all’ente di appartenenza con cui è solidalmente responsabile

In materia di incompatibilità delle cariche elettive che preesistenti o sopravvenute alla elezione, importano la relativa decadenza, rientra nell’ipotesi di cui all’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL – relativa a colui che, avendo un debito liquido ed esigibile nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza sia stato infruttuosamente messo in mora – quella dell’Amministratore locale che, condannato in solido con l’Ente di appartenenza in sede penale quale responsabile civile verso terzi danneggiati ad una provvisionale esecutiva, non provveda al relativo pagamento che gli è intimato all’esito di un successivo giudizio civile introdotto per il recupero pro quota, ed in via di regresso dall’Amministrazione di quanto integralmente corrisposto al terzo.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 28329/20, depositata l’11 dicembre. Il Sindaco di un Comune italiano ricorreva dinnanzi al Tribunale territorialmente competente al fine di ottenere l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale con la quale era stato dichiarato decaduto dalla carica di consigliere dell’Ente di appartenenza ex art. 63, comma 1, n. 6 TUEL, nonchè l’accertamento del diritto a conservare detta carica ed esserne reintegrato, nella insussistenza della condizione di incompatibilità prevista dall’art 63 cit. Il Tribunale adito, tuttavia, respingeva il ricorso sul presupposto della legittimità dell’impugnata delibera e nell’apprezzata riconducibilità della fattispecie ascritta al ricorrente all’ipotesi di cui all’art 63, comma 1, n. 6 TUEL, con conseguente liquidità ed esigibilità del credito che, rimasto non onerato, aveva determinato l’adozione della decadenza. In particolare, l’Amministrazione comunale aveva costituito in mora il ricorrente a cui richiedeva il pagamento delle somme per cui era stata pronunciata condanna in regresso dal tribunale civile e, nel mancato adempimento, giusta delibera consigliare, avviava la procedura per la dichiarazione di decadenza del ricorrente. Con la successiva delibera impugnata, in esito ad accertamento della causa di incompatibilità prevista dall’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL, il Comune, come già detto, aveva dichiarato la decadenza dell’Amministratore alla carica di Consigliere comunale. La Corte di Appello - adita dal ricorrente - respingeva il gravame proposto confermando l’ordinanza di primo grado in punto di insussistenza dei denunciati vizi procedurali e di sostanza della delibera consiliare. L’Amministratore locale proponeva ricorso per la cassazione della sentenza pronunciata in sede di appello affidandolo a quattro motivi. L’ art. 63, comma 1, n. 6 TUEL dispone che 1. Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale 6 colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendenti è stato legalmente messo in mora ovvero, avendo un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei riguardi di detti enti, abbia ricevuto invano notificazione dell'avviso di cui all'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 . Gli Ermellini, hanno ritenuto inammissibili ed infondati sotto molteplici profili, tutti i motivi di ricorso proposti dal ricorrente con i quali quest’ultimo denunciava illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione di diverse norme di legge. Secondo la Corte di legittimità la sentenza esecutiva – resa dal Tribunale di primo grado adito con azione di regresso ex art. 1299 c.c. dall’Ente pubblico quale responsabile civile –dell’importo della provvisionale adottata con sentenza di condanna nel distinto giudizio di accertamento della responsabilità penale in capo al Sindaco, era stata integralmente eseguita da parte dell’Ente territoriale. Essa, pertanto, rilevava quale mero titolo destinato a connotare, ai sensi dell’art. 63, comma 2, n. 6 TUEL, come liquido ed esigibile” il debito poi intimato all’Amministratore nel procedimento definito dall’adozione della delibera di decadenza. Pertanto, conclude il Collegio di legittimità, la Corte distrettuale adita, nel condurre la fattispecie in esame all’ipotesi di incompatibilità/decadenza di cui all’art. 63, comma 1, n. 6, TUEL, ha sicuramente fatto corretta e piena applicazione dei principi espressi da detto articolo di legge. Nella correttezza dell’operata qualificazione, proseguono i Giudici, si palesano infondati tutti i motivi di ricorso proposti nel giudizio in oggetto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 27 ottobre – 11 dicembre 2020, n. 28329 Presidente Genovese – Relatore Scalia Fatti di causa 1. F.M. ha ricorso davanti al Tribunale di Torre Annunziata, D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 22, per ottenere l’annullamento della Delib. Consiglio Comunale n. 1 del 2019, con la quale egli era stato dichiarato decaduto dalla carica di consigliere del Comune di Sorrento ex art. 63, comma 1, n. 6 TUEL, e l’accertamento del diritto a conservare detta carica e ad esserne reintegrato, nella insussistenza della condizione di incompatibilità prevista dall’art. 63 cit Il Tribunale di Torre Annunziata ha respinto il ricorso, nella ritenuta comunicazione all’Amministratore comunale di copia della Delib. Consiliare n. 116 del 2018, contenente la contestazione ex art. 63 TUEL e nell’apprezzata riconducibilità della fattispecie al primo ascritta all’ipotesi di cui all’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL con conseguente liquidità ed esigibilità del credito che, rimasto non onorato, aveva determinato l’adozione della decadenza. 2. Nell’ante fatto di lite, ricostruibile agli atti, la decadenza risultava essere stata disposta dall’Amministrazione di appartenenza per l’intervenuta condanna del ricorrente, nella qualità di Sindaco del Comune di Sorrento, per omicidio colposo, in concorso con il Responsabile civile ed il Ministero dell’Interno, in una fattispecie in cui l’esito esiziale era stato determinato dalla caduta rovinosa su due passanti - che transitavano in area lasciata aperta, senza nessuna restrizione, al traffico pedonale e veicolare - di sagome destinate all’illuminazione delle facciate della basilica del Comune e dell’adiacente palazzo municipale, nel corso dei lavori di installazione curati da ditta incaricata dal Rettore della chiesa. 3. Nel corso del processo penale interveniva condanna al pagamento di una provvisionale ed il Comune di Sorrento, dopo averla integralmente soddisfatta, agiva in regresso nei confronti degli obbligati solidali, F.M. ed il Ministero dell’Interno, innanzi al Tribunale di Napoli che, in accoglimento della domanda del Comune, condannava l’ex Sindaco a pagare, ex art. 1299 c.c., pro quota, la somma di Euro 108.000,00. La sentenza penale veniva appellata da F.M. . 4. Con atto prot. n. 35406 del 2018, l’Amministrazione comunale costituiva in mora il condannato a cui richiedeva il pagamento delle somme per cui era stata pronunciata condanna in regresso dal Tribunale civile e, nel mancato adempimento, giusta Delib. Consigliare 20 novembre 2018, n. 116, avviava la procedura per la dichiarazione di decadenza del F. . 5. Con successiva Delib. 29 gennaio 2019, n. 1, in esito ad accertamento della causa di incompatibilità prevista dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 63, comma 1, n. 6, il Comune di Sorrento dichiarava la decadenza del primo dalla carica di consigliere comunale. 6. La Corte di appello di Napoli con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto l’impugnazione proposta da F.M. confermando l’ordinanza di primo grado in punto di insussistenza dei denunciati vizi procedurali e di sostanza della Delibera consiliare. 7. F.M. ricorre per la cassazione della sentenza di appello con quattro motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso la Città di Sorrento. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 63, comma 1, n. 6, in relazione all’art. 63, comma 1, n. 5 D.Lgs. cit. - violazione art. 115 c.p.c., comma 2 e art. 116 c.p.c., comma 1 violazione artt. 2049 e 2055 c.c. vizio di motivazione . La circostanza che il Comune, dichiarato debitore in solido con il suo amministratore verso i terzi danneggiati nella sentenza penale passata in giudicato, giusta la provvisionale in quella sede riconosciuta in favore delle costituite parti civili, avesse agito in via di regresso per il recupero delle somme e per l’accertamento del grado di responsabilità o di gravità della colpa del corresponsabile non avrebbe sottratto, di contro a quanto erroneamente ritenuto dalla Corte di appello, la fattispecie alla disciplina di cui all’art. 63, comma 1, n. 5 TUEL e quindi alla necessità che la sentenza pronunciata sul regresso, che per prima aveva accertato la responsabilità del ricorrente verso l’ente, passasse in cosa giudicata. L’importo azionato in regresso non era pertanto nè certo nè esigibile e non poteva neppure ritenersi sussistente la incompatibilità contestata all’Amministratore locale. 2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 63, comma 1, n. 6. Violazione artt. 113 e 115 c.p.c Difetto di motivazione . La Corte di appello aveva ritenuto che nella vicenda in esame il ricorrente ed il Comune di Sorrento risultassero ai fini civilistici coobbligati solidali verso i terzi e non in conflitto tra loro - con conseguente esclusione quanto alla fattispecie in esame dell’applicabilità dell’art. 63, comma 1, n. 5 TUEL ed il suo erroneo inquadramento nell’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL - là dove invece tale conflitto avrebbe dovuto rinvenirsi nell’avere il Comune pagato, per intero, il debito solidale non estinto dal ricorrente per la quota liquidata a suo carico dal giudice in via di regresso. Deduca il ricorrente che alla sentenza del giudice penale che aveva statuito sulla responsabilità del F. verso l’ente di appartenenza non poteva riconoscersi efficacia di giudicato rispetto al debito in regresso accertato nel distinto giudizio civile. La sentenza penale non era passata in giudicato, trovandosi il relativo accertamento ancora sub iudice perché appellato, dovendo esso stabilire, in via definitiva, se le somme ivi previste in via di provvisionale erano dovute ed il quale misura. 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 15-bis. Difetto di motivazione. Violazione di legge . La Corte di appello aveva errato là dove aveva escluso che l’art. 69 TUEL preveda che la contestazione della causa di incompatibilità debba essere portata a conoscenza del destinatario mediante comunicazione o notificazione dell’atto che la contenga. Una contestazione destinata ad instaurare il contraddittorio in vista di una successiva pronuncia di decadenza capace di incidere sul diritto di elettorato passivo non poteva che essere oggetto di comunicazione individuale non potendo ritenersi sufficiente la sua pubblicazione all’Albo Pretorio. La Corte di appello non aveva esaminato il relativo motivo e non aveva pronunciato sullo stesso. La circostanza, ritenuta nell’impugnata sentenza, che F.M. era stato presente sulla discussione che aveva preceduto l’adozione della Delibera e nel corso della quale egli aveva illustrato le ragioni per le quali la Delibera stessa non poteva essere adottata, in detto contesto egli esercitando il diritto di difesa presentando controdeduzioni, non avrebbe potuto supplire alla piena conoscenza della Delibera di addebito. Tanto sarebbe valso ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21-bis, nel testo introdotto dalla L. n. 15 del 2005, art. 15, per il quale qualsiasi provvedimento destinato a produrre effetti svantaggiosi nella sfera giuridica del destinatario acquista efficacia dopo a comunicazione. 4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. e l’erronea applicazione della regola della soccombenza nella fondatezza delle articolate censure. 5. I motivi si prestano, tutti, ad una valutazione di infondatezza nei termini che, partitamente, vengono di seguito indicati 6. Può darsi congiunta trattazione al primo ed al secondo motivo di ricorso perché, connessi, entrambi pongono all’esame di questo Collegio la questione della individuazione delle cause di decadenza in cui incorra l’Amministratore locale per le ipotesi descritte dall’art. 63, comma 1, nn. 5 e 6 TUEL. 7. Per una migliore comprensione del tema di decisione è necessario muovere dai contenuti della norma in applicazione. Il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 63, contenente il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali , inserito nel capo e relativo alla incandidabilità, ineleggibilità, incompatibilità degli organi istituzionali degli enti locali, stabilisce al comma 1, per quanto viene in rilievo nella fattispecie in esame, che Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale omissis 5 colui che, per fatti compiuti allorché era amministratore o impiegato, rispettivamente, del comune o della provincia ovvero di Istituto o azienda da esso dipendente o vigilato, è stato, con sentenza passata in giudicato, dichiarato responsabile verso l’ente, istituto ad azienda e non ha ancora estinto il debito 6 colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendenti è stato legalmente messo in mora omissis . A premessa di ogni altra valutazione, va rimarcato che le cause d’incompatibilità disciplinate dall’art. 63 TUEL, di stretta interpretazione per l’incidenza avuta sul diritto costituzionalmente tutelato di elettorato passivo ex art. 51 Cost., comma 1 Cass. 26/02/1988 n. 2046 , sono dirette ad impedire che l’eletto possa trovarsi in posizione di conflitto con l’ente di appartenenza, in quanto portatore di interessi propri o di congiunti che siano in contrasto con quelli della pubblica Amministrazione presso cui egli svolge il mandato, attraverso l’individuazione di posizioni o di situazioni che tipicamente possono dare luogo a tale conseguenza. L’incompatibilità che si verifica in seguito all’elezione determina l’impossibilità giuridica di conservare l’ufficio o la carica ai quali si è stati validamente eletti, legittimando altresì l’Amministrazione all’adozione del provvedimento di decadenza e nel contempo l’interesse dell’eletto alla rimozione della prima e della decadenza in suo danno pronunciata. La ratio che presiede alle previsioni delle incompatibilità, che si risolvono in altrettante cause di decadenza, è quella di garantire il regolare esercizio delle pubbliche funzioni, l’imparzialità e buon andamento della pubblica Amministrazione art. 97 Cost. così da evitare per le descritte fattispecie di legge lo svolgimento di cariche pubbliche da parte di chi sia portatore di un interesse in contrasto con quello dell’ente di appartenenza, evidenza che non permetterebbe l’esercizio del mandato con la doverosa serenità e imparzialità richieste. 8. Ad integrazione della ipotesi di incompatibilità disciplinata dall’art. 63, comma 1, n. 5 TUEL e della correlata causa di decadenza dalla carica elettiva, rileva l’esistenza tra l’ex amministratore locale e l’ente di appartenenza di una situazione di conflitto di interessi compendiata dalle ragioni di accertamento irrevocabile della responsabilità del primo per condotte di danno poste in essere in costanza di mandato nei confronti nell’Amministrazione. Sino al pagamento del debito risarcitorio viene in evidenza, nella contrapposizione degli interessi del singolo amministratore, o dipendente, rispetto a quelli dell’ente di appartenenza, l’impossibilità del primo di adempiere al mandato con imparzialità e lesione degli interessi del secondo. Tanto si realizza, ad esempio, in caso di condanna di un amministratore locale in esito all’accertata sua responsabilità amministrativa per sentenza adottata dalla Corte dei Conti che sia passata in giudicato o ancora al risarcimento dei danni per condotta delittuosa dal primo posta in essere contro la pubblica Amministrazione di appartenenza per titoli di reato propri Delitti contro la pubblica amministrazione” art. 314 e ss., Titolo II, Libro II del codice penale o comunque qualificati dall’esercizio della funzione. 9. Nella fattispecie disciplinata dall’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL viene invece in considerazione la differente ipotesi relativa all’esistenza di un debito liquido ed esigibile dell’Amministratore, o dipendente, in favore dell’ente di appartenenza nell’intervenuta adozione da parte di quest’ultimo di un atto di messa in mora del primo. Sfugge a siffatta previsione la necessità che del debito dell’Amministrazione o dipendente pubblico si dia una solidità da giudicato” non derivando esso all’accertamento di ragioni di responsabilità del primo verso l’Amministrazione di appartenenza per un’attività che, sua propria, egli abbia nel progresso svolta. Quanto rileva è, piuttosto, la mera esistenza di un debito liquido ed esigibile e condotta di inadempimento dell’Amministratore o dipendente, intimato. 10. Come rimarcano i giudici di appello, del ricorrente, già Sindaco del Comune di Sorrento, non è mai stata accertata la responsabilità nei confronti dell’ente, descrivendo, piuttosto, la vicenda penale di cui il primo è stato protagonista, quale concorrente nel delitto di omicidio colposo, altresì una responsabilità da illecito civile – condivisa in solido, ex art. 2055 c.c., con altri funzionari dell’ente locale e per distinte competenze e condotte, con altra Amministrazione, il Ministero dell’Interno - verso terzi ovverosia gli aventi causa delle vittime del reato, decedute per la mancata adozione di misure dirette a prevenire l’evento esiziale. In tale contesto la sentenza esecutiva del Tribunale di Napoli adito con azione di regresso ex art. 1299 c.c., dal Comune di Sorrento che, tenuto al pagamento in solido, ai sensi dell’art. 2055 c.c., quale responsabile civile, dell’importo della provvisionale adottata con sentenza di condanna nel distinto giudizio di accertamento della penale responsabilità del Sindaco F.M. , vi aveva integralmente provveduto - rileva, pertanto, quale mero titolo destinato a connotare, ai sensi dell’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL, come liquido” ed esigibile il debito poi intimato dall’Amministrazione nel procedimento definito dall’adozione della Delibera di decadenza. 11. Possono pertanto affermarsi, a governo della scrutinata a fattispecie, i seguenti principi di diritto In materia di incompatibilità dalle cariche elettive che, preesistenti o sopravvenute alla elezione, importano la relativa decadenza, rientra nella ipotesi di cui all’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - relativa a colui che, avendo un debito liquido ed esigibile verso l’Amministrazione di appartenenza sia stato infruttuosamente messo in mora - quella dell’Amministratore locale che, condannato in solido con l’ente di appartenenza in sede penale quale responsabile civile verso terzi danneggiati ad una provvisionale esecutiva, non provveda al relativo pagamento che gli è intimato all’esito di un successivo giudizio civile introdotto per il recupero pro-quota, ed in via regresso, dall’Amministrazione di quanto integralmente corrisposto al terzo resta invece esclusa, per la descritta fattispecie, che sul debito risarcitorio debba vedere un accertamento passato in cosa giudicata, necessità destinata a valere nella distinta ipotesi di cui all’art. 63, comma 1, n. 5 TUEL, di cui al D.Lgs. n. 267 cit., in cui l’Amministratore-dipendente venga dichiarato responsabile direttamente nei confronti dell’ente di appartenenza per condotte tenute del passato, nell’indicata qualità”. La Corte partenopea nel ricondurre la fattispecie in esame all’ipotesi di incompatibilità/decadenza di cui all’art. 63, comma 1, n. 6 TUEL ha fatto piena applicazione degli indicati principi e nella correttezza dell’operata qualificazione sono infondati i motivi di ricorso che della prima denunciano l’erroneità. 12. È infondato anche il terzo motivo sulla violazione dell’art. 69 TUEL per mancata comunicazione dall’Amministrazione di appartenenza al ricorrente della contestazione della causa di incompatibilità. L’art. 69 cit., al comma 1 stabilisce che Quando successivamente alla elezione si verifichi qualcuna delle condizioni previste dal presente capo come causa di ineleggibilità ovvero esista al momento della elezione o si verifichi successivamente qualcuna delle condizioni di incompatibilità previste dal presente capo il consiglio di cui l’interessato fa parte gliela contesta , prevedendo poi la norma che l’Amministratore ha dieci giorni di tempo per formulare osservazioni o eliminare le cause di ineleggibilità o di incompatibilità sopravvenuta e che ove tanto non faccia l’Amministrazione, nell’infruttuoso decorso del termine di dieci giorni per la rimozione di dette cause, adotta il provvedimento di decadenza di cui deve dare comunicazione al destinatario. La contestazione della condotta o situazione personale di ineleggibilità o incompatibilità alla carica elettiva attiene ad un momento del procedimento amministrativo finalizzato, ancora, alla instaurazione del contraddittorio e quindi, nella conoscenza dell’addebito, al pieno dispiegamento da parte del destinatario delle proprie difese. Correttamente, pertanto, la Corte napoletana valorizza la partecipazione ai lavori del Consiglio comunale in cui si discusse dell’argomento come diretta ed evidenziare dell’Amministratore la consapevole ed informata partecipazione al procedimento, al cui pieno dispiegamento verrà adottato il provvedimento di decadenza. La contestazione della condotta di decadenza, per finalità assolte e struttura avuta, non integra il provvedimento amministrativo che, nella fattispecie di cui all’art. 69 cit., è la Delibera di decadenza rispetto alla quale soltanto si pone la distinta questione della intervenuta sua conoscenza da parte del destinatario perché questi possa poi assumere, nelle competenti sedi, le iniziative di impugnazione e per la quale la norma espressamente contempla la comunicazione all’interessato. I principi pienamente osservati nell’impugnata sentenza sottraggono questa al sindacato di legittimità ed esprimono del motivo la sua chiara infondatezza. 13. Il quarto motivo sulle spese è poi inammissibile trattandosi di critica assolutamente generica e sostanzialmente rivolta a contestare, nel merito, gli esiti della lite. 14. Il ricorso, conclusivamente, infondato va pertanto rigettato e le spese liquidare secondo soccombenza come in dispositivo indicato. Si dà atto che si tratta di procedimento esente dal contributo unificato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente F.M. a rifondere alla Città di Sorrento le spese di lite che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge. Dà atto che non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.