Non si considera a rischio di fuga lo straniero che smarrisce il documento di identità presentandone regolare denuncia

Ai fini della nozione di soggetto a rischio di fuga e della conseguente applicazione della disciplina in materia di espulsione, la Corte di Cassazione afferma che la condizione di chi abbia fatto ingresso in Italia munito di documento di identità valido successivamente smarrito, presentando apposita denuncia dell’evento, non può essere paragonata a quella di chi sia entrato in territorio italiano senza alcun documento identificativo.

Così si esprime la Suprema Corte nell’ordinanza n. 25965/20, depositata il 16 novembre. L’attuale ricorrente, cittadino albanese, propone ricorso per cassazione contro l’ordinanza con cui il Giudice di Pace di Verona aveva rigettato il suo ricorso in opposizione al decreto di espulsione emesso dal Prefetto, convalidando lo stesso. Tra i motivi di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 13, comma 5 e 5.1 del T.U. Immigrazione, in quanto la questura non aveva dato informazioni adeguate circa la facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria. Egli, infatti, sosteneva di non rientrare nelle ipotesi previste dalla legge ai fini dell’ accompagnamento coattivo alla frontiera , poiché non si trovava in una situazione di pericolo di fuga in quanto privo di documenti, essendo entrato in Italia con un regolare passaporto, poi smarrito, e avendone regolarmente denunciato lo smarrimento. La Suprema Corte dichiara fondato il motivo di ricorso prospettato dal cittadino albanese, ribadendo che, in materia di modalità di attuazione del provvedimento di espulsione dello straniero, l’assenza di un passaporto o di altro documento valido ai fini dell’espatrio al quale non sia equiparabile un permesso di soggiorno privo di validità non dà luogo all’adozione di misure alternative al trattenimento dello stesso presso un centro di identificazione ed espulsione ovvero alla concessione di un termine per la partenza volontaria al posto dell’accompagnamento forzato alla frontiera. Ora, nel caso di specie si discute sul fatto che il ricorrente avesse smarrito il proprio documento di identificazione e, successivamente, aveva provveduto a produrre apposita denuncia , richiedendone il duplicato. Ciò deve indurre a presumere che egli fosse entrato in Italia in possesso di un documento di identità valido, escludendo, dunque, che egli si trovasse in una delle condizioni che escludono la concessione di un termine per la partenza volontaria. Per questo motivo, la Corte di Cassazione cassa la pronuncia impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia gli atti al Giudice competente, evidenziando che Non può essere aprioristicamente accomunata, all’interno della nozione di soggetto a rischio di fuga [], la condizione di chi sia entrato regolarmente in Italia munito di documento di identità valido e lo abbia successivamente smarrito adempiendo all’obbligo di denunciare lo smarrimento e sottoponendosi alle conseguenze, anche penali, per eventuali dichiarazioni mendaci e la situazione di chi sia entrato in Italia privo di alcun documento identificativo .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 23 luglio – 16 novembre 2020, n. 25965 Presidente Travaglino – Relatore Di Florio Fatti di causa e ragioni della decisione 1. M.S. , cittadino albanese, propone ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Interno, articolato in tre motivi, notificato il 21.10.2019, avverso l’ordinanza n. 350/2019 del Giudice di pace di Verona, depositata il 19.7.2019 con la quale il giudice di pace ha rigettato il suo ricorso in opposizione al decreto di espulsione emesso dal Prefetto, convalidando il decreto stesso. 2. Il provvedimento impugnato afferma che il ricorrente avesse dedotto, come motivo di opposizione, la nullità del decreto per omessa traduzione in madre lingua ovvero in una lingua veicolare ma che la conoscenza della lingua risultasse da alcune dichiarazioni precedenti del ricorrente, che nel foglio notizie aveva specificato di comprendere la lingua italiana e di voler ricevere le notificazioni degli atti in lingua italiana, e che aveva sottoscritto anche in precedenza atti di notevole importanza redatti in italiano. Affermava poi che non poteva essere concesso un termine per la partenza volontaria per la ricorrenza del pericolo di fuga, in quanto il ricorrente era privo di documento di identificazione che aveva regolarmente denunciato come smarrito . 3. Questa la vicenda personale del ricorrente cittadino albanese, entrava in Italia ancora minorenne, sottoscriveva un contratto di tirocinio a tempo determinato, gli veniva negato il rilascio del permesso di soggiorno per mancanza al momento della richiesta di un contratto di lavoro subordinato e di una dichiarazione di ospitalità nel Comune di residenza, quindi entrava a far parte di una cooperativa, gli veniva notificato il provvedimento di espulsione a seguito della archiviazione della richiesta di conversione del titolo di soggiorno, avverso la quale proponeva opposizione. 4. Il Ministero non ha svolto attività difensive in questa sede. 5. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 e delle norme correlate, nonché degli artt. 3 e 24 Cost Torna a sostenere che il provvedimento di espulsione del Prefetto, e poi il provvedimento del Questore contenente l’ordine di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni fossero nulli perché non redatti in lingua albanese, unica lingua a sua conoscenza, e neppure in una delle lingue veicolari, e deduce che anche l’ordinanza impugnata sarebbe nulla per non aver tenuto conto dei suoi rilievi in proposito. Ricorda in generale, richiamando anche precedenti di legittimità, la necessità di traduzione del provvedimento di espulsione nella lingua di provenienza o quanto meno in una lingua veicolare. Il motivo è infondato. Esso non si confronta efficacemente con la motivazione del provvedimento impugnato, laddove questo indica che era stato lo stesso ricorrente a dichiarare di conoscere bene la lingua italiana ed a scegliere la lingua italiana come lingua nella quale voleva gli fossero notificati gli atti. Il ricorso si limita ad affermare in proposito che il giudice di merito non ha provato la piena conoscenza da parte del sig. M. della lingua italiana . In tema di espulsione amministrativa dello straniero, grava sull’amministrazione, che ha notificato il provvedimento di espulsione, l’onere di provare l’eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue c.d. veicolari da parte del destinatario del provvedimento stesso, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l’atto in una di dette lingue. È invece compito del giudice di merito - non provare ma - accertare in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto, a tal fine valutando gli elementi probatori acquisiti al processo, tra i quali assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall’interessato nel c.d. foglio - notizie, nel quale egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale il provvedimento sia stato tradotto v. in proposito Cass. n. 11887 del 2018 . Nel caso in esame, peraltro, la decisione del giudice di merito si era fondata, oltre che sulla dichiarazione resa dallo stesso ricorrente, riportata nel foglio notizie, anche sulla sottoscrizione da parte di questi di alcuni importanti atti, precedenti alla vicenda che aveva portato alla espulsione, tutti redatti in italiano, nel corpo dei quali non era mai riportata alcuna dichiarazione del ricorrente di non comprendere la lingua. In base a tali circostanze il giudice di pace ha ritenuto assicurata la conoscenza della lingua in cui era redatto l’atto da parte del suo destinatario. Nè il ricorrente evoca il profilo di un possibile difetto di informazione ovvero la possibilità che sia stata sottoposto al ricorrente per la firma il foglio notizie senza richiamare su di esso la sua attenzione anche in relazione alla lingua di redazione dell’atto. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 5, e comma 5.1. del T.U. immigrazione così come modificato dalla L. n. 129 del 2011 e della direttiva 2008/115/CE, art. 7. Afferma che non è stato rispettato il disposto del comma 5.1. perché la questura non gli ha dato adeguata informazione della facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, con scheda informativa multilingue. Evidenzia che l’accompagnamento coattivo alla frontiera è un provvedimento residuale, e i suoi presupposti applicativi devono sussistere in concreto e non in astratto. Osserva che il suo caso non rientrava nelle ipotesi previste dalla legge non era legittimamente possibile ritenere che egli fosse in situazione di pericolo di fuga, in quanto privo di documenti, perché era entrato in Italia con regolare passaporto, lo aveva smarrito, aveva altrettanto regolarmente denunciato lo smarrimento e ne aveva chiesto il duplicato. Quindi aveva fatto quanto di sua competenza per poter essere regolarmente identificabile. Il motivo è fondato. La giurisprudenza di legittimità afferma che, in tema di modalità di attuazione del provvedimento di espulsione del cittadino straniero, la mancanza del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio, al quale non è equiparabile un permesso di soggiorno privo di validità, impedisce l’adozione delle misure alternative al trattenimento presso un centro d’identificazione ed espulsione nonché la concessione di un termine per la partenza volontaria in luogo dell’accompagnamento coattivo alla frontiera Cass. n. 28155 del 2017 . Nel caso deciso dalla sentenza richiamata, il Giudice di pace aveva accertato la mancanza del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio, che costituisce un prerequisito indispensabile per l’adozione delle invocate misure alternative al trattenimento di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis, che così dispone Nei casi in cui lo straniero è in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità . il questore, in luogo del trattenimento di cui al comma 1, può disporre una o più delle seguenti misure . . Cass. n. 20108 del 07-10-2016 . Ai fini della presente disposizione non può considerarsi documento equipollente il permesso di soggiorno, peraltro privo di validità. Tale requisito è altresì necessario, a monte, per la concessione di un termine per la partenza volontaria in luogo dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, giacché lo straniero può chiedere al prefetto, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria soltanto qualora non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera di cui al comma 4 art. 13, comma 5, cit. , ovvero qualora, tra l’altro, non sussista il rischio di fuga, che si configura anche in caso di mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità art. 13, comma 4 bis . La sentenza proseguiva dicendo che benché il ricorrente deduca p. 13 dell’atto di ricorso di essere in possesso di passaporto, tale circostanza è priva di qualsiasi riscontro, giacché nell’elenco dei documenti che egli dichiara di aver prodotto dinanzi al Giudice di pace pp. 4-3 dell’atto di ricorso manca il passaporto, e non viene nemmeno indicato se esso sia stato prodotto in questa sede. Il caso in esame contiene un elemento distintivo che induce ad adottare una diversa soluzione. Non è discusso che il ricorrente non fosse in possesso del proprio documento di identificazione, ma non lo era per averlo smarrito, ed aveva prodotto la denuncia di smarrimento se ne dà atto nel provvedimento impugnato . Deve quindi presumersi che egli fosse entrato in territorio italiano in possesso di un valido documento di identità, il che induce ad escludere che si trovasse in una delle condizioni che escludono la concessione di un termine per la partenza volontaria. Non può essere aprioristicamente accomunata, all’interno della nozione di soggetto a rischio di fuga escluso quindi dalla possibilità di allontanarsi volontariamente dal territorio italiano per far ritorno in patria, senza dover essere sottoposto all’accompagnamento coattivo alla frontiera , la condizione di chi sia entrato regolarmente in Italia munito di documento di identità valido e lo abbia successivamente smarrito adempiendo all’obbligo di denunciare lo smarrimento e sottoponendosi alle conseguenza, anche penali, per eventuali dichiarazioni mendaci e la situazione di chi sia entrato in Italia privo di alcun documento identificativo. Il primo motivo di ricorso va quindi rigettato, ma va accolto il secondo, con cassazione del provvedimento impugnato e rimessione degli atti al giudice di pace di Roma che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa e rinvia anche per le spese al Giudice di pace di Roma in persona di diverso giudicante.