Il creditore può chiedere la revoca della locazione qualora questa pregiudichi le proprie ragioni di credito

L’azione revocatoria può essere esperita contro qualunque atto di disposizione del patrimonio del debitore che rechi pregiudizio alle ragioni creditorie ipotesi che può ben ricorrere anche nel caso di atti come la locazione di durata ultranovennale che, pur non essendo traslativi del bene, ne limitino, anche indirettamente, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, pregiudicando le ragioni del creditore.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 25854/20 depositata il 16 novembre. Un Istituto bancario agiva nei confronti di madre e figlio deducendo di essere divenuta creditrice della prima in forza di cessione in blocco” di crediti da parte di una Banca Popolare e chiedendo che venisse dichiarata ex art. 2901 c.c. – l’inefficacia nei propri confronti della locazione ultranovennale stipulata dalla debitrice con il figlio ed avente ad oggetto un immobile, poiché la stessa era stata stipulata con il preciso intento di ostacolare il legittimo soddisfacimento delle proprie ragioni di credito. La debitrice resisteva alla domanda mentre il figlio restava contumace. Il Tribunale adito pronunciava ordinanza ex art. 702- ter c.p.c. dichiarando l’inefficacia del contratto di locazione nei confronti della Banca e condannando, in via solidale, madre e figlio, al pagamento delle spese di lite. Successivamente, pronunciando sul gravame della debitrice, la Corte di Appello adita, dichiarava la contumacia del figlio e, confermando la sentenza di primo grado, condannava l’appellante al pagamento delle spese processuali. La debitrice proponeva pertanto, ricorso per cassazione avverso la decisione resa della Corte di appello. Nella specie, gli Ermellini hanno ritenuto in parte inammissibile e in parte infondato, tra gli altri, il terzo dei motivi proposti dalla ricorrente per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113,115,116 c.p.c., nonché dell’art. 2901 c.c., in relazione alla valutazione delle risultanze processuali poste alla base della pronuncia di merito. In particolare, la ricorrente, lamentava la mancata ammissione della CTU e delle prove per testi da essa richieste e contestava la stessa possibilità di revocare un contratto di locazione non costituente atto traslativo” , tanto più che lo stesso non aveva comportato la diminuzione del valore del bene censurava, altresì, l’utilizzo delle presunzioni semplici al fine dell’accertamento della sussistenza dei requisiti dell’azione revocatoria contestando le considerazioni svolte dalla Corte di merito adita. Secondo il Collegio di legittimità, invece, contrariamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non era affatto censurabile la scelta operata in continuità con quella del Tribunale dal Collegio distrettuale di non accogliere le istanze istruttorie della debitrice poiché ritenute del tutto ininfluenti a fronte della ritenuta decisività degli elementi presuntivi desumibili dagli atti del giudizio, trattandosi di valutazione rimessa all’apprezzamento del giudice di merito. Né era, altresì, parimenti sindacabile, in sede di legittimità, la valutazione dei suddetti elementi presuntivi laddove – come nel caso di specie – secondo i Giudici di legittimità, era sorretta da motivazione esente da vizi ancora rilevanti ai sensi del novellato testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c I Giudici concludono, pertanto, affermando che l’assunto di parte ricorrente della presunta non revocabilità ex art. 2901 c.c. di un contratto di locazione si palesa del tutto infondato laddove nella specie, il Collegio distrettuale ha ritenuto - con apprezzamento incensurabile – che alla costituzione del vincolo ultranovennale fosse conseguita l’ infruttuosità dell’azione esecutiva intrapresa dall’Istituto bancario creditore, vale a dire l’impossibilità di fatto di procedere alla vendita del bene.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 11 settembre – 16 novembre 2020, n. 25854 Presidente e Relatore Sestini Rilevato che la Deutsche Bank AG, tramite la propria mandataria Unicredit Credit Management Bank, agì nei confronti di S.L. e del figlio M.L. deducendo di essere divenuta creditrice della S. in forza di cessione in blocco di crediti da parte della Banca Popolare di Ancona alla quale erano stati ceduti, sempre in blocco , dalla Cassa di Risparmio di Fano e chiedendo che venisse dichiarata ex art. 2901 c.comma - l’inefficacia nei propri confronti della locazione ultranovennale stipulata dalla predetta S. col figlio L. , avente ad oggetto un immobile sito in , assumendo che la stessa era stata conclusa con l’intento di ostacolare il legittimo soddisfacimento delle ragioni di credito facenti capo all’istituto bancario la S. resistette alla domanda, mentre il M. rimase contumace. Il Tribunale di Pesaro pronunciò ordinanza ex art. 702 ter c.p.comma con cui dichiarò l’inefficacia del contratto di locazione nei confronti della banca e condannò, in via solidale, la S. e il M. al pagamento delle spese di lite pronunciando sul gravame della S. , la Corte di Appello di Ancona, dichiarata la contumacia del M. , ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato l’appellante al pagamento delle spese processuali propone ricorso per cassazione S.L. , affidandosi a tre motivi resiste, con controricorso, la Banca IFIS s.p.a., divenuta cessionaria pro soluto, ex art. 58 TUB, delle posizioni creditorie della Deutsche Bank AG. Considerato che il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 350 c.p.c., comma 2, artt. 132, 171 e 291 c.p.c. rilevato che il M. non si era costituito nel giudizio di primo grado, la ricorrente deduce di avere censurato la pronuncia del Tribunale perché non aveva rilevato la contumacia e, anzi, aveva erroneamente accomunato la S. al M. nella qualità di resistenti difesi dal medesimo procuratore, disponendo anche la condanna solidale di entrambi i convenuti al pagamento delle spese di lite tanto premesso, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che, stante la regolare notifica del ricorso introduttivo nei confronti del M. , nessuna violazione del principio del contraddittorio era stata commessa dal giudice di prime cure , dovendosi considerare l’erronea indicazione della posizione delle parti come un mero errore materiale non inficiante l’idoneità della sentenza a raggiungere il proprio scopo censura, altresì, l’affermazione della Corte di merito secondo cui la condanna solidale del contumace alle spese di lite era giustificata, in base al principio di causalità, dall’avere egli dato causa al processo assume, infine, che il giudice di appello avrebbe dovuto verificare che la notificazione dell’atto di appello fosse eseguita presso il procuratore della parte erroneamente dichiarata costituita , anziché personalmente alla parte stessa, dovendosi reputare, viceversa, tale notifica inesistente il motivo è inammissibile e, comunque, infondato inammissibile per difetto di interesse giacché non è dato cogliere nè la S. l’ha esplicitato quale concreto interesse abbia la ricorrente a far valere l’erroneità della mancata dichiarazione di contumacia del M. in primo grado e - per quanto parrebbe evincersi dalla illustrazione del motivo - l’erroneità della dichiarazione di contumacia nel giudizio di appello, come pure a dolersi della condanna solidale alle spese posta a carico del predetto convenuto dal primo giudice trattasi, infatti, di questioni attinenti ad una diversa parte processuale rispetto alle quali la S. non ha dedotto se ed in qual termini la decisione della Corte abbia pregiudicato la sua posizione, in modo tale da comportare un proprio diretto interesse a svolgere le censure comunque infondato, giacché, una volta accertata la regolare notificazione al M. del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la Corte ha correttamente escluso che vi fosse stata violazione del principio del contraddittorio, considerando mero errore materiale l’indicazione della costituzione del M. a mezzo dello stesso difensore della S. ulteriormente infondato, in relazione alla correttezza della dichiarazione di contumacia nel giudizio di appello, poiché la notifica dell’impugnazione alla parte – effettivamente - contumace in primo grado non poteva che essere effettuata alla stessa personalmente col secondo motivo che deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 81, 100, 112, 115, 116 c.p.comma e art. 2697 c.comma in relazione all’eccepito difetto di interesse e legittimazione ad agire dei Deutsche Bank AG , la ricorrente premette che Corte di Appello ha omesso di pronunciarsi sugli specifici profili in relazione ai quali era stata impugnata la pronuncia di primo grado in punto di prova della legittimazione ad agire sostanziale della Deutsche Bank e censura la sentenza impugnata per avere ritenuto legittime sia la cessione operata dalla C. in favore della Banca Popolare di Ancona che la cessione effettuata da quest’ultima nei confronti della Deutsche Bank assume che la Corte di Appello non avrebbe potuto svolgere le medesime considerazioni in ordine a due cessioni che si erano perfezionate, in realtà, in maniera assolutamente differente , rilevando come la seconda cessione non potesse ritenersi conforme al disposto dell’art. 58 T.U.B. per via dell’indeterminatezza dell’avviso di avvenuta cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, mancante dell’essenziale requisito dell’individuabilità dei crediti ceduti precisa che, con il medesimo avviso, erano stati pubblicati ben tre contratti di cessione in blocco, tutti descritti in modo generico ed alcuno riportante il benché minimo riferimento alla signora S. o quanto meno ai crediti asseritamente vantati nei confronti della stessa il motivo è - sotto ogni profilo - inammissibile, in quanto la violazione dell’art. 112 c.p.comma è stata dedotta in difetto di autosufficienza, senza trascrivere in misura adeguata il contenuto dell’atto di appello, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare la dedotta omissione di pronuncia tanto più a fronte di una motivazione che affronta in modo ampio la questione della cessione dei crediti le deduzioni in punto di inidoneità della seconda cessione in blocco sono state svolte senza ottemperare alla prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, dato che non risulta in alcun modo trascritto il contenuto dell’ avviso che sarebbe mancante del requisito dell’individuabilità dei crediti ceduti, nè risulta indicata adeguatamente col mero richiamo al docomma 1 di controparte la sede di reperimento dello stesso il terzo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 113, 115, 116 c.p.comma e dell’art. 2901 c.c., in relazione alla valutazione delle risultanze processuali poste a base della pronuncia di merito la ricorrente si duole della mancata ammissione della c.t.u. e delle prove per testi da essa richieste e contesta la stessa possibilità di revocare un contratto di locazione non costituente atto traslativo , tanto più che lo stesso non aveva comportato la diminuzione del valore del bene censura, infine, l’utilizzo delle presunzioni semplici al fine dell’accertamento della sussistenza dei requisiti dell’azione revocatoria e contesta la concludenza delle considerazioni svolte dalla Corte il motivo è, in parte, inammissibile e, per il resto, infondato, in quanto non è censurabile la scelta della Corte in continuità con quella del Tribunale di non accogliere le istanze istruttorie della S. , considerate ininfluenti a fronte della ritenuta decisività degli elementi presuntivi desumibili dagli atti del giudizio, trattandosi di valutazione rimessa all’apprezzamento del giudice di merito nè è sindacabile, in sede di legittimità, la valutazione dei suddetti elementi presuntivi laddove - come nel caso di specie - sia sorretta da motivazione esente da vizi ancora rilevanti ai sensi del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’assunto della non revocabilità - ex art. 2901 c.comma - di un contratto di locazione è infondato, giacché l’azione revocatoria può essere esperita contro qualunque atto di disposizione del patrimonio del debitore che rechi pregiudizio alle ragioni del creditore ipotesi che può ben ricorrere anche nel caso di atti come la locazione di durata ultranovennale di cui si tratta che, pur non essendo traslativi del bene, ne limitino, anche indirettamente, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, pregiudicando le ragioni del creditore nella specie, la Corte ha ritenuto - con apprezzamento incensurabile - che alla costituzione del vincolo ultranovennale sia conseguita l’infruttuosità dell’azione esecutiva intrapresa dalla creditrice, vale a dire l’impossibilità di fatto di procedere alla vendita del bene pignorato il ricorso va, in conclusione, rigettato, con condanna della S. al pagamento delle spese di lite in favor della controricorrente sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.