Grava sull’agente immobiliare l’onere di provare la diligenza professionale

La Corte di Cassazione è tornata a ribadire i profili di responsabilità che gravano sull’agente immobiliare, chiarendo che la norma di cui all’art. 1759 c.c. può trovare applicazione anche in relazione alle condizioni personali e patrimoniali del promissario venditore.

Così con sentenza n. 20512/20, depositata il 29 settembre. La vicenda fattuale riguardava un contratto preliminare di vendita di un appartamento di Roma, mediato da una società immobiliare, a fronte del quale era stata versata una caparra di euro 70.000,00. Il venditore si era successivamente reso inadempiente ed aveva venduto a terzi lo stesso immobile mentre la promissaria acquirente aveva tentato, invano, di recuperare le somme anticipate poiché il promittente era risultato fallito ben due anni prima e più volte protestato. Poiché gli agenti immobiliari non avevano mai notiziato l’acquirente dell’incapienza patrimoniale del venditore ed, anzi, garantito la convenienza dell’affare, l’attrice chiedeva loro di essere ristorata per i danni patiti, pari alla caparra versata ed al costo della mediazione. Sia il Tribunale romano che la Corte d’Appello respingevano le richieste, rilevando che le eventuali ingannevoli indicazioni circa la non solvibilità del promissario venditore, non si configuravano quale causa efficiente circa la conclusione del contratto preliminare, anche alla luce del fatto che l’appellante non aveva dimostrato che, una volta saputo della circostanza avversa, non avrebbe concluso il preliminare, ovvero, l’avrebbe concluso con modalità diverse. Avverso la sentenza resa in appello è stato interposto ricorso in Cassazione affidato a sei motivi il primo ed il secondo, aventi ad oggetto l’omesso esame di fatti di causa, sono stati ritenuti inammissibili, in quanto formulati in maniera errata. Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, invece, sono stati esaminati congiuntamente, poichè tutti incentrati su due questioni fondamentali la violazione della norma ex art. 1759 c.c. e della disciplina afferente l’ onere probatorio . In tema, la Corte ha osservato che la promissaria acquirente aveva lamentato un pregiudizio sofferto in diretta dipendenza dell’inadempimento posto in essere dal venditore, il quale ebbe a cedere ad altri il bene a lei promesso con il contratto concluso con il concorso dell’opera professionale del mediatore. È principio noto che concorre l’onere di diligenza in capo al mediatore di informare le parti di tutte le questioni a lui note, influenti sulla sicurezza dell’affare. La capacità patrimoniale delle parti è, sicuramente, un elemento di rilievo per la sicurezza e risulta erroneo ritenere che la norma ex art. 1759 c.c. non possa trovare applicazione alle condizioni personali e patrimoniali relative alle parti. Una volta che l’attrice ha dedotto di aver subito pregiudizio a causa dell’attività professionale svolta dal mediatore, per il mancato rispetto di un suo specifico onere di diligenza professionale, spetta, dunque, a quest’ultimo fornire la prova liberatoria. Per tali ragioni, la pronuncia è stata cassata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 febbraio – 29 settembre 2020, n. 20512 Presidente D’Ascola – Relatore Gorjan Fatti di causa D.J. evocò in giudizio, avanti il Tribunale di Roma, la srl Gruppo Sarandrea e personalmente il suo legale rappresentante D.L.P. chiedendo il ristoro del danno patito - mancata restituzione della caparra e costo mediazione - a seguito dell’inadempimento del promissario venditore in relazione a contratto preliminare di vendita di bene immobile mediato dalla società convenuta. Costituendosi in giudizio, unitamente al D.L. , la società convenuta resistette alla pretesa avversaria ed ebbe a chiamare in manleva la spa Vittoria Ass.ni, quale assicuratore per i danni prodotti nell’esercizio dell’attività d’impresa. Costituitasi, la società assicuratrice rilevava l’inoperatività della polizza nel caso di specie e, comunque, instava per il rigetto della pretesa attorea. All’esito della trattazione di prime cure, il Tribunale capitolino rigettò la pretesa risarcitoria della D. . Questa propose gravame avanti la Corte d’Appello di Roma,che resistendo tutte le altre parti, ebbe a respingere l’impugnazione, osservando come le eventuali ingannevoli indicazioni circa la non solvibilità del promissario venditore non si configuravano quale causa efficiente circa la conclusione del contratto preliminare e come l’appellante non aveva dimostrato che, una volta saputo dell’incapienza patrimoniale del venditore, non avrebbe concluso il preliminare ovvero l’avrebbe concluso con modalità diverse. Avverso detta sentenza la D. ha proposto ricorso per cassazione articolato su sei motivi di doglianza. Sia la spa Vittoria Ass.ni che i consorti D.L. - srl Gruppo Sarandrea si sono costituiti a resistere con controricorso. All’odierna udienza pubblica, sentite le conclusioni del P.G. - accoglimento del ricorso - e dei difensori delle parti, questo Collegio adottava soluzione siccome illustrato nella presente sentenza. Ragioni della decisione Il ricorso proposto da D.J. appare fondato nei limiti di motivazione. Con il primo motivo di doglianza la ricorrente denunzia omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio in quanto la Corte capitolina non ebbe a considerare i fatti da lei esposti nei suoi scritti difensivi rilevanti al fine della decisione. La cesura s’appalesa siccome inammissibile posto che l’attuale formulazione della norma ex art. 360 c.p.c., comma 1, non contempla come vizio denunziabile in sede di legittimità la omessa motivazione su fatti rilevanti bensì l’omesso esame di fatto rilevante. Nella specie, a tenor dell’argomento critico svolto in motivo di ricorso, la Corte capitolina ha esaminato il fatto rilevante afferente la responsabilità del mediatore in relazione al pregiudizio subito, dedotto in causa dalla D. , sicché la mancata valorizzazione, ai fini della statuizione, delle difese da questa esposte non rileva. Con la seconda ragione di doglianza la ricorrente lamenta erronea, insufficiente ovvero contraddittoria motivazione con riferimento alla norma ex art. 360 c.p.c., n. 5, poiché la Corte capitolina non ha colto che la sua domanda verso il mediatore era fondata non tanto sul rifiuto alla conclusione del contratto, se conosciuta l’incapacità patrimoniale del venditore, bensì sull’adozione di accorgimenti a sua garanzia nel concludere il preliminare in presenza del suo versamento di Euro 70.000 allo stesso a titolo di caparra. La questione posta, benché di rilievo effettivo nella presente lite come infra illustrato, per come veicolata nel motivo in esame appare censura inammissibile posto che, come dianzi ricordato, la nuova formulazione della art. 360 c.p.c., comma 1, non contempla più il vizio di motivazione se non nella figura - nella specie non richiamata - dell’omessa od apparente motivazione. Con la terza doglianza la D. rileva violazione della disposizione ex art. 167 c.p.c., in quanto la Corte capitolina ha, da un lato ritenuta non contestata la sua affermazione che il mediatore le dette rassicurazioni circa la serietà e solvibilità del venditore promittente, dall’altro nel corpo della medesima proposizione indica tale circostanza siccome non accertata. Con il quarto mezzo d’impugnazione la D. deduce violazione delle norme ex artt. 1759, 1175 e 1176 c.c. e L. n. 39 del 1989, poiché il Collegio romano non ha rilevato che il mediatore, fornendo notizie non veritiere su una delle parti interessate all’affare non ha osservato il suo obbligo professionale di diligenza, posto che le condizioni soggettive rilevanti, riguardanti le parti del rapporto contrattuale da concludere, rientrano tra le notizie che il mediatore deve fornire alla parte interessata. Con la quinta doglianza la D. rileva violazione della norma ex art. 1759 c.c., in quanto la Corte territoriale ha affermato che la capacità patrimoniale del venditore era elemento non rilevante ai fini della diligenza del mediatore che, invece, ha l’obbligo d’interessarsi e della libertà del bene da pesi ed oneri e della solvibilità del solo soggetto promissario acquirente. Con il sesto ed ultimo motivo d’impugnazione la ricorrente rileva violazione delle norme in tema di onere probatorio ex artt. 1759 e 2695 c.c. - rectius art. 2697 c.c., posto che la Corte capitolina non ha rilevato che, nel rapporto mediatorio, era suo onere dimostrare il pregiudizio subito mentre era onere probatorio del mediatore provare d’aver agito secondo la diligenza imposta dalla legge a detta figura professionale. Le censure sopra citate sono fondate in relazione alle due questioni fondamentali poste, ossia la violazione della norma ex art. 1759 c.c. e della disciplina afferente l’onere probatorio, con conseguente assorbimento della questione concernente l’accertamento probatorio circa le rassicurazioni fornite alla promissaria acquirente. Il Collegio romano ha rigettato il gravame mosso dalla D. rilevando come le informazioni fornite dal mediatore, circa la serietà e solvibilità del promissario venditore, non ebbero efficacia causale con relazione alla conclusione dell’affare, poiché l’acquirente - nel suo interrogatorio - ha ammesso che si determinò alla stipula del preliminare solo dopo che il notaio di sua fiducia confermò la libertà del bene immobile da pesi ed oneri. Quindi, la Corte capitolina ha puntualizzato come la D. non aveva data la prova, non solo, che se avesse saputo che il venditore era stato dichiarato fallito e che il suo nome figurava sul bollettino dei protesti non avrebbe concluso l’affare ma nemmeno che lo avrebbe concluso con condizioni diverse e di maggior garanzia della sua posizione. Infine il Collegio romano ha affermato che il mediatore è tenuto, secondo diligenza professionale ex art. 1759 c.c., a fornire solamente le informazioni afferenti la libertà del bene e la solvibilità del solo acquirente e non anche del soggetto venditore. Dette affermazioni non possono esser condivise poiché, in effetti, non sorrette dalle norme evocate a loro conforto dai Giudici romani. Va,anzitutto,rilevato in fatto come la D. lamenta un pregiudizio sofferto in diretta dipendenza dell’inadempimento posto in esser dal promissario venditore, il quale ebbe a cedere ad altri il bene immobile a lei promesso con il contratto preliminare concluso con il concorso dell’opera professionale del mediatore. A seguito dell’inadempimento è sorto in capo al venditore quanto meno l’obbligo di restituire alla D. la somma di Euro 70,000,00 versata a titolo di caparra all’atto della stipula del preliminare, obbligo che non può essere soddisfatto nemmeno mediante azione esecutiva per l’assoluta incapienza patrimoniale del venditore, titolare di unico bene immobile - quello oggetto di compromesso -, poiché dichiarato fallito pochi anni prima del fatto di causa e più volte protestato. Già detta ricostruzione in fatto lumeggia chiaramente l’errore commesso dalla Corte territoriale nel ritenere non applicabile alla specie la norma ex art. 1759 c.c., in quanto - Cass. sez. 3 n. 6389/01, Cass. sez. 3 n. 5107/99, Cass. 1974/1951 - è consolidato insegnamento di questa Suprema Corte che concorre onere di diligenza in capo al mediatore di informare le parti di tutte le questioni, a lui note, influenti sulla sicurezza dell’affare. E di certo la capacità patrimoniale delle parti, specie in presenza della dazione di somma a titolo di anticipo di pagamento o caparra - come avvenuto nella specie -, appare inconfutabilmente un elemento di rilievo per la sicurezza dell’affare, nel senso che parte promissaria acquirente deve poter confidare nel recupero della somma anticipata in caso di inadempienza della controparte agli obblighi assunti con il contratto preliminare. Come insegnano gli arresti di legittimità dianzi evocati, è compito del Giudice apprezzare, nella specificità del caso, il ricorrere degli elementi fattuali indicanti l’applicabilità della norma evocata, sicché risulta erroneo affermare, come fa la Corte capitolina, che la norma ex art. 1759 c.c., in assoluto non può trovar applicazione in relazione alle condizioni personali e patrimoniali relative al soggetto promissario venditore. Anche con relazione all’onere probatorio la Corte romana ha erroneamente applicato la relativa regola di diritto, in quanto una volta che l’attrice ha dedotto d’aver conseguito pregiudizio in dipendenza dell’attività professionale svolta dal mediatore per il mancato rispetto di suo specifico onere di diligenza professionale, spetta a questo fornire la prova liberatoria. In tale prospettiva non assume dirimente rilievo l’osservazione della Corte territoriale che la D. non ha fornito la prova che, conosciuta l’insolvenza del venditore, o non avrebbe contrattato con lui ovvero a condizioni diverse - redazione del preliminare a mezzo del suo notaio di fiducia per poterlo trascrivere - che maggiormente garantissero la sua posizione contrattuale anche in caso di inadempienza della controparte,una volta rilevato l’errore relativo all’atteggiarsi dell’onere della prova siccome sopra precisato. Nemmeno assume rilievo dirimente la dichiarazione, enfatizzata dalla Corte capitolina, della D. d’essersi determinata al contratto in dipendenza della accertata libertà del bene immobile promesso, posto che detta determinazione risulta correlata alle informazioni ricevute dal mediatore, sicché non rileva in relazione alle informazioni invece non fornite benché conosciute dal professionista. Infine anche l’osservazione svolta dall’Assicuratore resistente, circa la mancata richiesta della D. al mediatore di assumere specifiche informazioni circa la situazione del bene oggetto di contratto - delegate invece a notaio di sua fiducia -, non assume rilievo. Difatti oggetto del contendere risulta essere la conoscenza da parte del mediatore della precaria situazione patrimoniale soggettiva del venditore non palesata al compratore, anzi - in tesi e contrariamente a quanto conosciuto - raffigurata siccome rassicurante e non già l’esistenza o non di pesi trascritti sull’immobile oggetto di contratto. La questione, posta con la censura correlata alla violazione dell’art. 167 c.p.c., in tema di fatto da ritenersi provato per non contestazione,rimane assorbita nella necessaria nuova rivalutazione del merito della questione secondo le regole di diritto dianzi esposte. All’accoglimento, nei limiti precisati in motivazione, delle ragioni di ricorso proposte dalla D. consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della questione alla Corte d’Appello di Roma altra sezione per il nuovo giudizio e la regolazione anche delle spese di questo procedimento di legittimità. P.Q.M. Accoglie nei sensi di motivazione il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Roma altra sezione, che anche provvederà a disciplinare le spese di questo giudizio di legittimità.