Contestazione del progetto di distribuzione delle somme ricavate dalla procedura esecutiva e strumenti di impugnazione

In virtù dell’art. 512 c.p.c., le controversie distributive devono essere introdotte e trattate nelle forme di cui all’art. 617 c.p.c. a prescindere dalla circostanza che la causa petendi sia costituita dalla denuncia di vizi formali del titolo esecutivo di uno dei creditori partecipanti alla distribuzione, ovvero da qualsiasi altra questione - anche relativa ai rapporti sostanziali - che possa dedursi in tale sede .

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19122/20, depositata il 15 settembre. Una banca proponeva opposizione avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva disatteso la contestazione del progetto di distribuzione delle somme ricavate da una procedura esecutiva immobiliare. Il Tribunale rigettava l’opposizione e la Corte d’Appello successivamente adita dichiarava inammissibile il gravame, ritendendo che la pronuncia di prime cure potesse essere impugnata solo con ricorso straordinario per cassazione. La questione è dunque giunta all’attenzione della Suprema Corte. L’art. 512 c.p.c. prevede che l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione dispone sulle controversie sorte in sede di distribuzione può essere impugnata nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c., a prescindere dalle ragioni della controversia. Il Collegio afferma dunque il principio secondo cui ai sensi dell’ art. 512 c.p.c. , tutte le controversie distributive vanno introdotte e trattate nelle forme di cui all’art. 617 c.p.c. , a prescindere dalla circostanza che la causa petendi sia costituita dalla denuncia di vizi formali del titolo esecutivo di uno dei creditori partecipanti alla distribuzione, ovvero da qualsiasi altra questione - anche relativa ai rapporti. sostanziali - che possa dedursi in tale sede. Pertanto, il giudizio introdotto ex art. 51 c.p.c. con l’impugnazione del provvedimento del G.E. è destinato a concludersi in ogni caso con sentenza non appellabile . Precisa infine la pronuncia in commento che laddove sia il debitore esecutato a muovere contestazioni circa il diritto dei creditori a partecipare alla distribuzione del ricavato. In tal caso, configurandosi un’opposizione all’esecuzione, la contestazione deve essere introdotta ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 16 luglio – 15 settembre 2020, n. 19122 Presidente De Stefano – Relatore D’Arrigo Ritenuto che La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha proposto opposizione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Latina che disattendeva la contestazione fatta dall’istituto di credito al progetto di distribuzione delle somme ricavate da una procedura esecutiva immobiliare progetto nel quale veniva attribuita alla Pirelli & amp C. Reali Estate Credit Servicing s.p.a. cui oggi è subentrata la Sagrantino Italy s.r.l., presente in giudizio tramite la mandataria FBS s.p.a., sostituitasi alla precedente mandataria Prelios Credit Servicing s.p.a. la somma di Euro 93.183,82. In particolare, l’opponente deduceva motivi attinenti alla validità e alla titolarità dei crediti azionati. Il Tribunale di Latina ha rigettato l’opposizione e la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha appellato la decisione. La Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile il gravame, ritenendo che la sentenza del Tribunale potesse essere impugnata solamente con ricorso straordinario per cassazione. Tale decisione è stata fatta oggetto, da parte della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., di ricorso per cassazione basato su un unico motivo. La Sagrantino Italy s.r.l. ha resistito con controricorso. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive. Considerato che Con l’unico motivo di ricorso, la Banca deduce - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 - la violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, art. 618 c.p.c., u.c., nonché l’omesso esame nel merito dell’oggetto della discussione tra le parti e l’insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione del provvedimento impugnato. Nella sostanza, la ricorrente sostiene che il Tribunale di Latina avrebbe espressamente escluso che l’opposizione proposta dalla Banca fosse concernente la regolarità formale del titolo esecutivo del creditore concorrente nella distribuzione delle somme ricavate dall’espropriazione forzata. Dal che dovrebbe derivare che tale sentenza dovesse essere impugnata col mezzo processuale dell’appello, piuttosto che del ricorso straordinario per cassazione. In altri termini, la Banca ricorrente sostiene che lo strumento di impugnazione della sentenza pronunciata su una controversia distributiva dipenderebbe dalla natura delle contestazioni mosse dall’opponente. La censura, anzitutto, deve essere riqualificata come formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dal momento che con la stessa si deducono unicamente violazione di regole processuali che avrebbero determinato la nullità del procedimento o della sentenza impugnata. In particolare, sono palesemente inammissibili le censure di difetto di motivazione, dal momento che tale vizio non è più previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, e quelle formulate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché l’omesso esame nel merito dei motivi di appello, per essere stato dichiarato inammissibile il gravame, non integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo previsto dalla nuova formulazione dell’articolo in esame. Venendo, dunque, all’esame delle censure che superano il vaglio di ammissibilità, delle stesse si deve rilevare la manifesta infondatezza. Infatti, l’art. 512 c.p.c. dispone che l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione provvede sulle controversie sorte in sede di distribuzione è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c. Tale rinvio, che dunque prescinde dalle ragioni della controversia e delimita la propria fattispecie applicativa solo in base alla natura della stessa controversie in sede di distribuzione , implica l’applicazione anche dell’art. 618 c.p.c., comma 2,, a mente del quale le sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 617 c.p.c., comma 2, non sono impugnabili. Per le stesse, pertanto, residua solo lo strumento del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7. Va dunque affermato il seguente principio di diritto Ai sensi dell’art. 512 c.p.c., tutte le controversie distributive vanno introdotte e trattate nelle forme di cui all’art. 617 c.p.c., a prescindere dalla circostanza che la causa petendi sia costituita dalla denuncia di vizi formali del titolo esecutivo di uno dei creditori partecipanti alla distribuzione, ovvero da qualsiasi altra questione - anche relativa ai rapporti. sostanziali - che possa dedursi in tale sede. Pertanto, il giudizio introdotto ex art. 51 c.p.c. con l’impugnazione del provvedimento del ge è destinato a concludersi in ogni caso con sentenza non appellabile . Caso diverso sarebbe se a muovere contestazioni circa il diritto di uno o più dei creditori a partecipare alla distribuzione del ricavato dell’esecuzione forzata fosse, invece, il debitore esecutato. Difatti, una tale contestazione integra gli estremi dell’opposizione all’esecuzione e deve essere quindi introdotta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, e trattata con il relativo rito. In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., nella misura indicata nel dispositivo. Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, a carico della parte impugnante e soccombente, di un ulteriore importo pari al contributo unificato già dovuto per l’impugnazione proposta. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.