Impossibile tenere segreta per anni una relazione omosessuale in un piccolo villaggio: niente protezione per lo straniero

Respinta la richiesta avanzata da un cittadino pakistano, che ha raccontato di avere abbandonato la propria patria per il timore di persecuzioni connesse al suo orientamento sessuale. I dettagli del suo racconto non convincono però i giudici impensabile, difatti, tenere nascosta per anni una relazione vietata’. E illogico che l’uomo non fornisca dati e notizie sul suo presunto partner.

Dichiararsi gay non è sufficiente per ottenere protezione in Italia, nonostante la provenienza da un Paese islamico – il Pakistan – dove gli omosessuali sono oggetto di persecuzioni . A tradire lo straniero è un racconto rivelatosi poco credibile poiché centrato su una relazione ‘vietata’ e tenuta nascosta per ben undici anni in un piccolissimo villaggio – con appena un migliaio di abitanti –, da un lato, e caratterizzato dalla mancata indicazione del nome del partner, dall’altro Cassazione, ordinanza n. 15320/20, sez. II Civile, depositata oggi . Protagonista della vicenda è un uomo, originario del Pakistan. Una volta approdato in Italia, egli chiede protezione, spiegando di di essere fuggito dal proprio Paese per il timore di persecuzioni a causa del proprio orientamento sessuale , e perché, a seguito di una relazione omosessuale con il figlio dell’Imam, dopo l’uccisione del suo compagno era sfuggito per due volte all’aggressione dei suoi familiari . Dalla Commissione territoriale arriva una risposta negativa. Identica posizione assumono poi i giudici di merito, negando allo straniero la protezione internazionale nella forma dello status di rifugiato, e, in subordine, la protezione sussidiaria e il permesso di soggiorno per motivi umanitari . In appello vengono valutate come intrinsecamente inattendibili le dichiarazioni fornite dall’uomo , e, in particolare, viene ritenuta inverosimile la circostanza che fosse stata tenuta segreta una relazione omosessuale durata undici anni . A lasciare perplessi i giudici, infine, anche il fatto che lo straniero ha mostrato di non conoscere l’identità del compagno e non ha fornito di lui ulteriori notizie . Peraltro, viene anche rilevato che nel corso dell’audizione lo straniero non aveva esternato alcuna forma di problematicità nell’avere intrattenuto una relazione omosessuale in un contesto caratterizzato da grave ostilità . Inutile si rivela il ricorso proposto in Cassazione dal cittadino pakistano. L’uomo contesta la valutazione compiuta in appello sulla credibilità del suo racconto con particolare riferimento alla sua condizione di omosessualità , e aggiunge che in Pakistan l’omosessualità costituisce reato ed è contraria ai principi della religione islamica e per questo motivo ha dimostrato difficoltà nel raccontare il proprio vissuto . Inoltre, egli pone in evidenza il rischio di subire persecuzioni e maltrattamenti per il proprio orientamento sessuale ed il concreto pericolo di subire un procedimento penale e la detenzione carceraria in caso di ritorno in patria. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’ però sono condivisibili le osservazioni effettuate in secondo grado sulla credibilità dello straniero. In premessa viene ricordato che è sempre necessario tener conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave . In questo caso specifico, alla luce del lamentato timore di subire persecuzioni in ragione del proprio orientamento sessuale , sono emersi, secondo i giudici, elementi sufficienti per ritenere non attendibile la versione fornita dallo straniero. In particolare, era inverosimile che fosse stata tenuta segreta una relazione durata undici anni in un villaggio di un migliaio di abitanti, e che lo straniero non conoscesse l’identità del compagno e non fornisse di lui ulteriori informazioni , e che, infine, egli non avesse esternato alcuna forma di problematicità nella relazione nonostante la grave ostilità nei confronti degli omosessuali in Pakistan . Una volta accertata l’assenza di credibilità delle dichiarazioni rese dallo straniero , allora è logico escludere, concludono dalla Cassazione, l’ipotetica esistenza di un danno grave ai fini del riconoscimento della protezione in Italia.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 6 febbraio – 17 luglio 2020, numero 15320 Presidente Manna – Relatore Giannaccari Fatti di causa Na. Ha. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro, che ha confermato la sentenza del medesimo Tribunale di rigetto dell'opposizione avverso il diniego, da parte della Commissione Territoriale di Crotone della protezione internazionale nella forma dello status di rifugiato, e, in subordine della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il ricorrente, cittadino pakistano proveniente dalla regione del Punjab, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese per il timore di persecuzioni a causa del proprio orientamento sessuale e perché, a seguito di una relazione omosessuale con il figlio dell'Imam, dopo l'uccisione del suo compagno, era sfuggito per due volte all'aggressione dei suoi familiari. La Corte d'appello ha ritenuto intrinsecamente inattendibili le dichiarazioni fornite dal ricorrente, di cui era stato disposto l'ascolto in Tribunale, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui alla lettera a e b dell'articolo 14 D.Lgs. 251/2007 in particolare ha ritenuto inverosimile la circostanza che fosse stata tenuta segreta una relazione omosessuale durata undici anni, che il ricorrente non conoscesse l'identità del compagno e non fornisse di lui ulteriori notizie. Ha rilevato che, nel corso dell'audizione, il ricorrente non aveva esternato alcuna forma di problematicità nell'avere intrattenuto una relazione omosessuale in un contesto caratterizzato da grave ostilità e che non vi fossero riscontri in ordine ai gravi fatti accaduti. La corte di merito ha rigettato anche la richiesta di protezione umanitaria in relazione alla natura transitoria delle patologie attestate dalla documentazione medica prodotta. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Na. Ha. sulla base di quattro motivi. Il Ministero dell'Interno ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 del D.Lgs. 251/07 e degli articolo 8, 10 e 27 del D.Lgs. 25/2008, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. con riferimento alla violazione dei criteri previsti per la valutazione della credibilità, con particolare riferimento alla condizione di omosessualità. A tal fine, viene richiamata la sentenza della Corte di Giustizia del 2.12.2014 numero 2406, n relazione all'esame del richiedente asilo omosessuale, che non deve essere condotto secondo nozioni stereotipate. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 6, 7 e 8 del D.Lgs. 251/07, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. in quanto la corte di merito non avrebbe considerato, ai fini del rigetto del riconoscimento dello status di rifugiato, che in Pakistan l'omosessualità costituisce reato ed è contraria ai principi della religione islamica, motivo per il quale il richiedente asilo avrebbe dimostrato difficoltà nel raccontare il proprio vissuto. Con il terzo motivo di ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione degli articolo 2, 3 e 14 del D.Lgs. 251/07, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. perché la corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto insussistente i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nonostante il rischio di subire persecuzioni e maltrattamenti per il proprio orientamento sessuale ed il concreto pericolo di subire un procedimento penale e la detenzione carceraria. I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati La valutazione della credibilità del richiedente asilo, per ragioni legate all'omosessualità, deve avvenire secondo i criteri previsti dall'articolo 3 del D.Lgs. 251/2007. La norma, testualmente riproduttiva della corrispondente disposizione contenuta nell'articolo 4 della Direttiva 2004/83/CE, costituisce, unitamente all'articolo 8 del D.Lgs. numero 25 del 2008, relativo al dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice in ordine all'accertamento delle condizioni aggiornate del paese d'origine del richiedente asilo, il cardine del sistema di attenuazione dell'onere della prova, posto a base dell'esame e dell'accertamento giudiziale delle domande di protezione internazionale. Né la direttiva qualifiche né la direttiva procedure contengono specifiche disposizioni relative alla modalità con cui vengono raccolte le dichiarazioni del richiedente asilo per ragioni legate al proprio orientamento sessuale, né in ordine alla valutazione della sua credibilità è previsto soltanto che esse siano raccolte in modo da rispettare i diritti fondamentali dei richiedenti asilo e non vengano utilizzati metodi degradanti o non conformi alla dignità umana, come analisi pseudo-mediche o valutazioni compiute tramite il riferimento a stereotipi. La Corte di Giustizia, con la sentenza del 2 dicembre 2014 numero 2406 ha individuato i limiti per la raccolta e la valutazione delle dichiarazioni, ai fini della compatibilità con il diritto dell'Unione. Nella sentenza citata, la Corte di Lussemburgo ha escluso detta compatibilità, laddove si abbia riguardo, quanto alla raccolta della prova ad interrogatori dettagliati relativi alle pratiche sessuali del richiedente incompatibili con il rispetto della vita privata e familiare o a test idonei a dimostrare l'omosessualità o registrazioni video di atti intimi. Infine, la Corte di Giustizia ha affermato che l'articolo 4, paragrafo 3 della direttiva 2004/83 nonché l'articolo 13, paragrafo 3, lettera a , della direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel senso che l'assenza di credibilità non può essere desunta dalla circostanza che l'orientamento sessuale non sia stato fatto valere dal richiedente alla prima occasione concessagli per esporre i motivi di persecuzione, proprio in ragione della difficoltà di condividere con soggetti estranei particolari relativi alla sfera intima della persona. Occorre rilevare a tal riguardo che, conformemente all'articolo 4, paragrafo 3, lettera c , della direttiva 2004/83, tale valutazione deve tener conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l'estrazione, il sesso e l'età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave. Nel caso di specie, il giudice di merito si è uniformato ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale in materia di valutazione della credibilità del richiedente asilo, con particolare riferimento alla situazione di chi dichiari di essere fuggito da proprio Paese per il timore di subire persecuzioni in ragione del proprio orientamento sessuale. La Corte di merito ha valutato complessivamente le dichiarazioni del ricorrente sulla base dei criteri previsti 3 del D.Lgs. 251/2007 ed ha ritenuto inattendibile la sua narrazione con riferimento ad elementi essenziali che connotano il vissuto di un individuo, senza però fare ricorso a valutazioni stereotipate in ordine all'orientamento sessuale. Sulla base dell'esame unitario delle dichiarazioni del ricorrente, ha rilevato significativi elementi di inattendibilità in particolare, era inverosimile che fosse stata tenuta segreta una relazione durata undici anni in un villaggio di un migliaio di abitanti, che non conoscesse l'identità del compagno e non fornisse di lui ulteriori informazioni, che non avesse esternato alcuna forma di problematicità nella relazione nonostante la grave ostilità nei confronti degli omosessuali in Pachistan, risultante dalle fonti qualificate. La valutazione della credibilità è avvenuta, quindi, alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 3, comma 5, secondo le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia le dichiarazioni rese dal ricorrente sono coerenti con un esame rispettoso dei diritti dell'individuo e della sua sfera privata, senza il ricorso a metodi invasivi o a domande basate su stereotipi. Quanto, poi, alla censura concernente l'inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria di cui si sarebbe reso responsabile l'organo di merito, in violazione del disposto di cui all'articolo 8, comma 3, D.Lgs. 25/2008, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca e attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale non rende operante l'attivazione del dovere di cooperazione istruttoria facente capo all'organo giudicante Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, numero 21889 Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, numero 5354 All'assenza di credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale consegue l'insussistenza di un danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria nelle ipotesi previste dall'articolo 14 lettera a e b del D.Lgs. 251/07. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione degli articolo 5 del D.Lgs. 286/98, dell'articolo 32 del D.Lgs. 25/2008, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. in quanto la corte di merito non avrebbe ravvisato la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie nonostante i problemi di salute attestati dalle certificazioni mediche in atti, da cui risultava la diagnosi di febbre resistente a terapia, mucosi pruriginosa, frattura al dito, otite ed ipoacusia. Tali patologie sarebbero ostative all'espulsione nel paese di provenienza, dove non avrebbe la possibilità di accedere ad adeguate cure con compromissione dei diritti fondamentali. Infine, il ricorrente si duole dell'omessa considerazione del percorso di integrazione sociale, attestato dalle certificazioni relative allo svolgimento di attività lavorativa come bracciante agricolo. Il motivo non è fondato. Il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui all'articolo 5, comma 6, D.Lgs numero 286/1998 - applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Unumero 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell'entrata in vigore del D.L. numero 113/2018 - rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale. L'accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 numero 13088 Cass. civ., sez. I, numero 4455 23/02/2018, Rv. 647298 - 01 , alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d'origine del richiedente e, dall'altro, del percorso di integrazione sociale da quest'ultimo intrapreso nel Paese di destinazione. Le Sezioni Unite hanno consolidato l'indirizzo espresso dalle sezioni semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato Cassazione civile sez. unumero , 13/11/2019, numero 29459 . La corte distrettuale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non ha ravvisato la sussistenza, nel paese d'origine di una situazione di emergenza sanitaria, ambientale o alimentare, né una grave violazione dei diritti umani fondamentali. Con accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ha accertato che la documentazione medica era risalente al 2014 e che le patologie riscontrate avevano natura transitoria, salvo l'ipoacusia, che, per la sua natura, non mette in pericolo i diritti fondamentali della persona. Ne consegue che, in assenza di particolari situazioni di vulnerabilità, non assume rilevanza il percorso di integrazione, ove isolatamente considerato. Il ricorso va pertanto rigettato. 6.2. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un'amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, numero 22014 Cass. Civ., numero 5859 del 2002 . 6.3. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma I-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma I-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.