Revoca del mandato: se il difensore non viene sostituito continua a rispondere delle sorti del processo

Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name Tabella normale mso-tstyle-rowband-size 0 mso-tstyle-colband-size 0 mso-style-noshow yes mso-style-priority 99 mso-style-parent mso-padding-alt 0cm 5.4pt 0cm 5.4pt mso-para-margin 0cm mso-para-margin-bottom .0001pt text-align justify mso-pagination widow-orphan font-size 10.5pt mso-bidi-font-size 11.0pt font-family Verdana ,sans-serif mso-fareast-language EN-US } La rimessione in termini per causa non imputabile ex artt. 184-bis e 153 c.p.c. postula un fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà e si ponga in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza, sicchè essa non è invocabile quando la difesa della parte che abbia revocato il mandato al proprio difensore è assicurata da quello stesso difensore, fintanto che la parte stessa non provvederà a sostituirlo e ciò in ossequio alla previsione di cui all’articolo 85 c.p.c. il quale risponde all’esigenza fondamentale del processo di impedire che questo abbia ad arrestarsi per effetto della revoca o rinuncia.

Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name Tabella normale mso-tstyle-rowband-size 0 mso-tstyle-colband-size 0 mso-style-noshow yes mso-style-priority 99 mso-style-parent mso-padding-alt 0cm 5.4pt 0cm 5.4pt mso-para-margin 0cm mso-para-margin-bottom .0001pt text-align justify mso-pagination widow-orphan font-size 10.5pt mso-bidi-font-size 11.0pt font-family Verdana ,sans-serif mso-fareast-language EN-US } È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 12249/20 depositata il 23 giugno. La ricorrente, assistita dal proprio Amministratore di Sostegno , ricorreva in Cassazione nei confronti di una s.r.l. e di un altro soggetto avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello territorialmente competente aveva respinto il gravame proposto dalla stessa ricorrente avverso la decisione del Tribunale che respingeva la sua domanda volta all’annullamento ai sensi degli articoli 1427 e/o 1394 c.c. di un contratto di costituzione di usufrutto in favore dei due convenuti. Gli Ermellini, hanno ritenuto inammissibile l’unico motivo di ricorso proposto dall’Amministratore di Sostegno con il quale quest’ultimo denunciava violazione e/o falsa applicazione degli artt. 85 e 153 c.p.c. così come rettamente interpretati ed applicati nel diritto vivente, ossia ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 3, c.p.c In particolare, il ricorrente sosteneva che la Corte distrettuale avesse mancato di valutare le condizioni psichiche dell’Amministrata le quali bene integravano a suo dire la causa di non imputabilità ai sensi dell’art. 154, comma 2, c.p.c. invece erroneamente ritenuto insussistente da parte della Corte adita. Inoltre, la difesa di parte ricorrente lamentava l’erronea considerazione fatta dal Collegio di merito circa le rispettive posizioni processuali delle parti l’interesse alla speditezza era sacrificabile alla luce del diritto alla difesa e all’integrità del contraddittorio , chiaramente violati nel corso del processo di primo grado. Infine, concludeva la difesa di parte ricorrente, i giudici del gravame avevano mancato di apprezzare l’impossibilità per il difensore revocato di dare ulteriore corso al mandato alle liti , attesa la mancanza di responsabilità per una revoca intempestiva ai danni dell’amministrata. Secondo la Corte di legittimità il motivo di ricorso in oggetto è inammissibile ai sensi dell’art. 360- bis , n. 1, c.p.c. sulla scorta della circostanza che la Corte distrettuale, contrariamente da quanto sostenuto dall’Amministratore di Sostegno, si è correttamente attenuta al fermo principio secondo cui la rimessione in termini, disciplinata dall’art. 154 c.p.c., non può riferirsi ad un evento esterno al processo , quale la circostanza dell’ infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, atteso che tale evento attiene esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell’art. 83 c.p.c. che può, quindi, assumere rilevanza esclusivamente ai fini di un’ azione di responsabilità promossa contro quest’ultimo, e non già spiegare effetti restitutori ai fini del compimento di attività precluse alla parte. Tale principio, specificano i giudici, va applicato unitamente a quello desunto dall’art. 85 c.p.c., secondo cui detta norma disciplina le vicende della procura alle liti diversamente dalla procura al compimento di atti di diritto sostanziale , perché mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli o chi li ha ricevuti dismetterli con efficacia immediata, invece né la revoca né la rinuncia privano, di per sé, il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti. La giustificazione di tale diversa disciplina , conclude il collegio di legittimità, consegue dal fatto che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma come quelli in cui si concreta lo ius postulandi , sono attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare. E, ai sensi dell’art. 85 c.p.c., ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti, non sono dunque la revoca o la rinuncia di per sé sole, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore.

Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name Tabella normale mso-tstyle-rowband-size 0 mso-tstyle-colband-size 0 mso-style-noshow yes mso-style-priority 99 mso-style-parent mso-padding-alt 0cm 5.4pt 0cm 5.4pt mso-para-margin 0cm mso-para-margin-bottom .0001pt text-align justify mso-pagination widow-orphan font-size 10.5pt mso-bidi-font-size 11.0pt font-family Verdana ,sans-serif mso-fareast-language EN-US } Corte di Cassazione, sez. VI Civile 1, ordinanza 26 febbraio 23 giugno 2020, n. 12249 Presidente Scaldaferri Relatore Di Marzio Rilevato che 1. - B.L. ricorre per un motivo illustrato da memoria, a mezzo del proprio amministratore di sostegno Be.Al., nei confronti di Bo.Fr. e Telve Rigo S.r.l., contro la sentenza del 10 novembre 2017 con cui la Corte d'appello di Venezia ha respinto l'appello della stessa odierna ricorrente avverso sentenza del Tribunale di Padova che aveva respinto la sua domanda volta all'annullamento ai sensi dell'art. 1427 c.c., e/o art. 1394 c.c., di un contratto di costituzione di usufrutto, in favore del Bo., delle sue quote di Telve Rigo S.r.l 2. - Bo.Fr. resiste con controricorso, mentre la società intimata non spiega difese. Considerato che 3. Sono inammissibili le produzioni di sentenze di merito concernenti la B. depositate con la memoria illustrativa in violazione dell'art. 372 c.p.c 4. - L'unico composito motivo di censura della sentenza impugnata denuncia Violazione e falsa applicazione degli artt. 85 e 153 c.p.c., così come rettamente interpretati ed applicati nel diritto vivente art. 360 c.p.c., n. 3 . Mancata valutazione che le condizioni psichiche di B.L. bene integravano la causa non imputabile di cui all'art. 153 c.p.c., comma 2, art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 , erroneamente ritenuto insussistente da parte della Corte Veneta. Erronea considerazione delle rispettive posizioni processuali delle parti l'interesse alla.0editeua del processo era sacrificabile alla luce del diritto alla difesa e all'integrità del contraddittorio, chiaramente violati nel corso del processo di primo grado. Mancato apprezzamento dell'impossibilità per il difensore revocato di dare ulteriore corso al mandato alle liti. Impossibilità di incolpare B.L. per una revoca intempestiva. Fallace richiamo ad arresti della Suprema Corte involgente casi affatto diversi da quello oggetto del presente giudizio . ritenuto che 5. - Il motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1, essendosi la Corte territoriale attenuta al fermo a principio secondo cui la rimessione in termini, disciplinata dall'art. 153 c.p.c., non può essere riferita a un evento esterno al processo, quale la circostanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, atteso che tale evento attiene esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell'art. 83 c.p.c., che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo, e non già, quindi, spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte da ultimo, tra le tante, Cass. 13 dicembre 2019, n. 32779 . Principio che va applicato unitamente a quello, desunto dall'art. 85 c.p.c., secondo cui tale norma disciplina le vicende della procura alle liti diversamente dalla procura al compimento di atti di diritto sostanziale, perchè, mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli o chi li ha ricevuti, dismetterli con efficacia immediata, invece nè la revoca nè la rinuncia privano, di per sè, il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti. La giustificazione di tale diversa disciplina consegue, appunto, dal fatto che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma, come quelli in cui si concreta lo ius postulandi, sono attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare. E, in base all'art. 85 c.p.c., ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti, non sono dunque la revoca o la rinuncia di per sè sole, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore così espressamente, p. es., Cass. 29 ottobre 1997, n. 10643, pronuncia la cui nota su una rivista giuridica la ricorrente ha invocato a propria difesa . Ciò detto, gli argomenti svolti dalla ricorrente, tutti versati in fatto, non inducono a riconsiderare i principi menzionati. La vicenda oggetto del giudizio in esame è la seguente. B.L. ha agito in giudizio nei confronti di Bo.Fr. e Telve Rigo S.r.l. per l'annullamento, per errore, violenza o dolo, di un atto di costituzione di usufrutto, in favore del Bo., sulle sue quote della società. Depositata la prima memoria di cui all'art. 183 c.p.c., la B. ha revocato il mandato al suo difensore, al quale è subentrato altro difensore, dopo la nomina di un amministratore di sostegno all'attrice, difensore che ha chiesto di essere rimesso in termini per gli adempimenti di cui alla disposizione citata. Viceversa l'adito Tribunale, denegata la chiesta rimessione in termini, ha rigettato la domanda di annullamento, osservando, con richiami alla giurisprudenza di questa Corte, che l'attore il quale agisca per l'annullamento può simultaneamente dedurre a fondamento della domanda tanto l'errore, quanto la violenza e il dolo, ma deve poi specificare - cosa nella specie non fatta - quale sia il vizio del consenso nel caso particolare fatto valere, indirizzando in tal senso l'istruzione probatoria. Di guisa che la controversia, nella successiva fase di appello proposto dalla B., si è incentrate sulla questione della legittimità del diniego della rimessione in termini, che avrebbe appunto consentito all'attrice di precisare la sua domanda e proporre le conferenti richieste istruttorie. E la Corte territoriale ha rigettato l'appello facendo applicazione, con molteplici richiami di giurisprudenza, del principio di cui si è dato conto in apertura. Nel ricorso per cassazione, in buona sostanza, la ricorrente, sottoposta all'amministrazione di sostegno, pone l'accento sulle sue condizioni di salute mentale all'epoca dei fatti, le quali avrebbero influito sia sulla decisione di revocare il precedente difensore, sia sulla capacità di avvedersi del significato e degli effetti di detta revoca, di cui pure si era resa autrice. E, nel fare ciò, la B. ha sottoposto ad analisi le singole pronunce giurisprudenziali richiamate dalla Corte d'appello al fine di dimostrare che esse riguarderebbero proprio in ragione delle sue condizioni di salute mentale fattispecie non paragonabili a quella oggetto del giudizio, invocando, per converso, un'opinione dottrinale svolta in nota alla pronuncia poc'anzi ricordata. Orbene, la circostanza che le fattispecie oggetto delle precedenti decisioni richiamate nella sentenza impugnata non fossero perfettamente coincidenti con quella in discorso non rileva invero nè punto nè poco, giacchè ciò che rileva è il principio, principio che si attaglia perfettamente anche al caso in discorso. Difatti, come si diceva, il difensore revocato continua ai sensi dell'art. 85 c.p.c., a svolgere il suo mandato fintanto che non intervenga la sua sostituzione, con il che la circostanza della ridotta o compromessa capacità di intendere e di volere del mandante non interferisce affatto e dunque l'assolutezza del principio poc'anzi ricordato non è per nulla scalfita dalla circostanza che la mandante fosse per ipotesi divenuta medio tempore incapace di intendere di volere, visto che ciò - salvo non dia luogo ad un fenomeno interruttivo fatto valere come tale - non dispiega effetto sull'esecuzione del mandato, che, nei limiti previsti dal citato art. 85, sopravvive alla revoca e alla rinuncia, fintanto che la revoca o la rinuncia non siano seguite dalla nomina di un nuovo difensore, il quale si trova così ad operare in perfetta continuità con il precedente. A tal riguardo questa Corte ha avuto modo di affermare che l'art. 85 c.p.c., dettato al fine di evitare la paralisi del processo ed i possibili pregiudizi a carico dell'una come dell'altra parte, nello stabilire che la revoca e la rinuncia alla procura non hanno effetto nei confronti dell'altra parte finchè non sia avvenuta la sostituzione del difensore, va interpretato nel senso che fino alla sostituzione il difensore conserva le sue funzioni con riguardo alle vicende del processo sia per quanto riguarda la legittimazione a ricevere gli atti nell'interesse del mandante, sia per quanto riguarda la legittimazione a compiere gli atti nel suo interesse Cass. 20 ottobre 1989, n. 4226 sicchè, ad esempio, la S.C. ha in quel caso rilevato che il difensore munito di procura che lo abilitava a proporre appello ed a difendere la parte in secondo grado, poteva, pur dopo la revoca implicita del mandato e la successiva rinuncia, compiere gli atti utili alla parte e, quindi, era legittimato a proporre appello analogo principio, tra le altre, in Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1995, n. 11303 Cass. 29 ottobre 1997, n. 10643 Cass. 28 luglio 2010, n. 17649 . Ed è ovvio che, se il difensore revocato-rinunciante può proporre appello, altrettanto, se non a maggior ragione, può avvalersi dei termini di cui all'art. 183 c.p.c Ed in effetti, ciò, almeno in parte, è quanto nella specie effettivamente accaduto, ove si consideri che, secondo quanto riferisce la stessa ricorrente, la revoca risale al 25 marzo 2010, mentre il deposito della prima memoria di cui all'art. 183 c.p.c., è stata effettuata dal difensore revocato il successivo 29 marzo. Del resto tale congegno di perpetuatio dell'ufficio di difensore revocato o rinunciante trova riscontro anche nel codice deontologico forense, il quale stabilisce all'art. 32, comma 4, che L'avvocato, dopo la rinuncia al mandato, nel rispetto degli obblighi di legge, non è responsabile per la mancata successiva assistenza, qualora non sia nominato in tempi ragionevoli altro difensore , il che sta a significare che egli rimane responsabile dell'adempimento del mandato se non altro fintanto che dalla revoca o dalla rinuncia non sia decorso un adeguato lasso temporale. Ecco allora che, ancora ad esempio, per effetto del principio della perpetuatio dell'ufficio di difensore revocato o rinunciante i erroneamente il giudice dichiara l'improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c., per il fatto che il difensore dell'opponente, dopo l'avvenuta costituzione, abbia rinunciato al mandato senza essere sostituito Cass. 4 agosto 2005, n. 16336 ii legittimamente il giudice dichiara la decadenza dalla prova per mancata tempestiva indicazione dei testi benchè nelle more del decorso del termine fosse stata revocata la procura al difensore e questi non avesse comunicato il termine alla parte Cass. 28 luglio 2010, n. 17649 iii legittimamente, in caso di rinunzia al mandato, il giudice nega il rinvio della trattazione della causa, essendo solo in facoltà del giudice di concederlo, ove ne ravvisi l'opportunità, qualora la rinunzia sia avvenuta all'udienza o in tempo immediatamente precedente Cass. 28 maggio 2004, n. 10273, riferita al giudizio di cassazione, ma Cass. 7 aprile 1982, n. 2142, nega tout court la legittimità del rinvio motivato dalla revoca o rinuncia al mandato ma la facoltà del giudice di rinviare la causa non sussiste se l'udienza è destinata all'assunzione di una prova testimoniale, giacchè, a norma dell'art. 208 c.p.c., se in tale udienza non si presenta la parte che l'ha dedotta, il giudice, sulla precisa istanza della parte comparsa, deve dichiarare la decadenza di quella assente dal diritto di farla assumere Cass. 9 febbraio 1987, n. 1374 iv non è legittima la richiesta di termini a difesa da parte del nuovo difensore che abbia sostituito quello rinunciante al mandato, nè il deposito di una comparsa di costituzione ad hoc, trattandosi di atti non previsti dalle norme processuali e non consentiti dalle medesime Cass. 26 febbraio 1982, n. 1265 v legittimamente una domanda nuova è introdotta in giudizio, nei limiti in cui ciò è possibile, in un'udienza tenuta successivamente alla revoca o rinuncia al mandato e prima della sostituzione del difensore, quantunque il difensore revocato o rinunciante non sia comparso Cass. 20 febbraio 1992, n. 2091 vi nessuna efficacia dispiega, nell'ambito del giudizio di cassazione, tanto più perchè caratterizzato da uno svolgimento per impulso d'ufficio, la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell'udienza di discussione già fissata Cass. 8 novembre 2017, n. 26429 Cass. 9 luglio 2009, n. 16121 Cass. 2 marzo 2000, n. 2309 Cass. 14 febbraio 2000, n. 1596 via legittimamente il giudice disattende la domanda di equa riparazione per l'eccessiva durata di un processo in quanto determinata non già da disfunzioni di sistema, bensì da comportamenti negligenti del difensore rinunciante al mandato, dal momento che la rinuncia non comporta di per sè la perdita dello ius postulandi Cass. 17 novembre 2006, n. 24507 . Insomma, la rimessione in termini per causa non imputabile, in entrambe le formulazioni che si sono succedute artt. 184 bis e 153 c.p.c. , postula un fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte, che presenti i caratteri dell'assolutezza e non della mera difficoltà e si ponga in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza Cass., Sez. Un., 12 febbraio 2019, n. 4135 , sicchè essa non è invocabile in un caso come l'attuale, in cui la difesa della parte che abbia revocato il mandato al proprio difensore è assicurata da quello stesso difensore, fintanto che la parte stessa non provveda a sostituirlo, e ciò in ossequio alla previsione di cui all'art. 85 c.p.c., il quale risponde ad un'esigenza fondamentale del processo, quale quella di impedire che questo abbia ad arrestarsi per effetto della revoca o della rinuncia. Con il che, in definitiva, viene in radice a cadere l'argomento svolto dalla ricorrente, secondo la quale, nella fattispecie considerata, occorrerebbe bilanciare, attraverso la rimessione in termini, l'esigenza di speditezza del processo con il diritto di difesa e di integrità del contraddittorio così il ricorso a pagina 37 , diritto di difesa ed integrità del contraddittorio assicurati già dal difensore revocato. 6. - Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del Bo., delle spese sostenute per questo giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.600,00, di cui Euro Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.