Rottura coi familiari, più pericolosa la vita in patria: sì alla protezione umanitaria

Respinto in Cassazione il ricorso proposto dal Ministero dell’Interno. Confermata la protezione umanitaria per un cittadino senegalese. Decisiva la constatazione che egli è stato allontanato dalla propria famiglia, perdendo la relativa protezione e quell’imprescindibile inserimento sociale necessario per la sopravvivenza in un contesto caratterizzato da povertà e violenza.

Perdere irrimediabilmente i legami familiari – e la relativa protezione – in patria rende pericoloso il ritorno per lo straniero, soprattutto considerando il contesto del Paese di origine, un contesto fatto di povertà, violenze e soprusi. Logico, quindi, riconoscergli la protezione umanitaria Cassazione, sentenza n. 11650/20, sez. I Civile, depositata oggi . Ad approdare in Italia è un cittadino del Senegal, che cerca un Paese sicuro per non dover tornare in patria ad affrontare i propri familiari, la povertà e una situazione socio-politica caratterizzata da instabilità e violenza . La sua richiesta di protezione viene però respinta sia dalla ‘Commissione territoriale’ che dai giudici del Tribunale. A ridare speranza allo straniero sono invece i giudici d’Appello. A loro avviso è concedibile la protezione umanitaria. Evidenti i pericoli per lo straniero in caso di ritorno in patria, dove il padre e il fratello gli hanno negato la possibilità di studiare, lo hanno più volte picchiato e infine lo hanno estromesso dalla famiglia , rendendo ancora più difficile la sua posizione in un contesto ambientale e socio-politico di grave instabilità e violenza . A contestare la decisione della Corte d’appello è il Ministero dell’Interno, che ritiene illegittima la concessione della protezione umanitaria allo straniero. Per i giudici della Cassazione, però, non vi sono elementi per modificare la pronuncia di secondo grado. Ciò perché si è potuto appurare che se lo straniero fosse rimpatriato in Senegal, diverrebbe soggetto vulnerabile, a causa del venire meno, con il legame familiare e con la protezione che deriva da esso, di quell’imprescindibile inserimento sociale necessario per la sopravvivenza in un contesto caratterizzato da povertà, violenze e soprusi . A legittimare ulteriormente la presenza in Italia del cittadino senegalese è anche la constatazione che egli risulta inserito nella sua nuova realtà sociale , come testimoniato dall’ avere egli ottenuto un’assunzione, anche se con contratto a termine, in una struttura alberghiera sita in una zona ad elevata vocazione turistica .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 gennaio – 16 giugno 2020, n. 11650 Presidente San Giorgio – Relatore Solaini Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Trento ha accolto il gravame proposto da Ka. Se., cittadino del Senegal, in riferimento alla protezione umanitaria, avverso l'ordinanza del tribunale di Torino che, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria. Il ricorrente ha riferito che il padre e il fratello dopo avergli negato la possibilità di studiare, lo hanno più volte picchiato ed infine estromesso dalla famiglia, in un contesto ambientale regionale e socio politico di grave instabilità e violenza. Contro la sentenza della medesima Corte d'Appello, il Ministero dell'Interno - a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato -ha ora proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo di ricorso, avente ad oggetto la concessione della protezione umanitaria. Il richiedente asilo non ha spiegato difese scritte. Motivi della decisione L'Amministrazione statale censura la decisione della Corte d'Appello per violazione dell'art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286/98, in relazione all'art. 360 primo comma, n. 3, c.p.c. perché la medesima Corte d'appello di Trento avrebbe erroneamente valorizzato, quali presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, tanto l'integrazione sociale dello straniero, quanto la generica compromissione dei diritti umani cui il ricorrente sarebbe esposto in caso di eventuale rientro in Senegal. Secondo l'Avvocatura il riconoscimento della protezione in oggetto deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa soggettiva e oggettiva del richiedente in riferimento al paese d'origine che va esaminata al momento attuale e non riferita ad epoche pregresse. Ed attualmente, nella regione di Tambacounda, pur essendo essa una zona caratterizzata da una situazione d'insicurezza e precarietà, gli scontri in atto che la vedono interessata, sono scontri a bassa intensità, quindi, non tali da coinvolgere la maggioranza della popolazione, come risulta dai documenti acquisiti agli atti di causa. Manca, inoltre, ad avviso dell'avvocatura, qualunque riscontro individualizzante. Il motivo è infondato, in quanto la Corte d'appello ha effettuato la valutazione comparativa richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 4455/2018 , avendo verificato che se il ricorrente fosse rimpatriato diverrebbe soggetto vulnerabile, a causa del venir meno, con il legame familiare e con la protezione che dallo stesso deriva, di quell'imprescindibile inserimento sociale necessario per la sopravvivenza in un contesto caratterizzato da povertà, violenza e sopruso. Mentre, d'altra parte, lo stesso richiedente risulta inserito nella nuova realtà sociale avendo ottenuto un'assunzione, anche se con contratto a termine, in una struttura alberghiera sita in una zona ad elevata vocazione turistica. La mancata predisposizione di difese scritte da parte del richiedente esonera il collegio dal provvedere sulle spese. Poiché la parte ricorrente è un'amministrazione dello Stato, non paga il doppio del contributo unificato Sez. 6 - L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 . P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.