Protezione internazionale e valutazione della storia personale del richiedente

In materia di protezione internazionale, il legislatore ha affidato la valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma alla stregua di criteri indicati nell’art. 3, comma 5, d.lgs. n. 251/2007 e tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente medesimo.

Lo ribadiscono i Giudici della Suprema Corte con l’ordinanza n. 11170/20, depositata il 10 giugno. Un cittadino del Ghana impugnava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria . In particolare, lo straniero sosteneva di aver lasciato il proprio Paese d’origine a causa del proprio orientamento sessuale. Anche la Corte d’Appello riteneva insussistenti i presupposti necessari per il suddetto riconoscimento, pertanto il richiedente ricorre in Cassazione. Innanzitutto, occorre ribadire che il legislatore ha affidato la valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma alla stregua di criteri indicati nell’art. 3, comma 5, d.lgs. n. 251/2007 e tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente , con riguardo alla sua condizione sociale e all’età. Nel caso in esame, invece, la Corte territoriale si è sottratta a tali indicazioni, esprimendo un giudizio di non credibilità frutto di soggettive opinioni. Inoltre, sempre la S.C. osserva che, in tema di protezione umanitaria , ai fini del riconoscimento di essa, è opportuno operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza e che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale della vita privata e familiare del richiedente , confrontata con la situazione che aveva prima della partenza. Questo perché, in caso contrario, si prendere in considerazione la situazione generale del Paese d’origine del richiedente e non la propria situazione particolare. È dunque errato il ragionamento della Corte d’Appello che ha negato il riconoscimento della protezione internazionale e sussidiaria affermando che il richiedente non aveva indicato oggettive e gravi situazioni personali che non permettevano l’allontanamento dal territorio nazionale. Da qui la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte distrettuale per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 27 febbraio – 10 giugno 2020, n. 11170 Presidente Acierno – Relatore Caradonna Fatti di causa 1. O.P. , nato a omissis , ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 22 maggio 2017, che, al pari della Commissione territoriale competente, aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria. 2. Il richiedente ha dichiarato di avere lasciato il proprio paese a causa del proprio orientamento sessuale e di temere di essere arrestato in caso di rientro in patria. 3. La Corte di appello di Ancona ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocate, sulla base delle dichiarazioni del richiedente giudicate non credibili, della mancanza di un effettivo rischio nell’ipotesi di rientro nel Paese d’origine alla luce della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza e dell’assenza di lesioni di diritti umani. 4. O.P. ricorre in cassazione con due motivi. 5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. In via preliminare va rilevata la tardività della documentazione prodotta dalla parte ricorrente, atteso che nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c. Cass., 12 novembre 2018, n. 28999 . 2. Con il secondo motivo O.P. lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra degli art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5 D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 11. Vizio di motivazione. Motivazione apparente. Ad avviso del ricorrente la Corte di appello ha omesso la disamina della storia personale del richiedente, ovvero la sua contestualizzazione nel paese di origine e non ha applicato nello sviluppo argomentativo della decisione impugnata i parametri normativi di credibilità del racconto del richiedente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. 2.1 Il motivo è fondato. Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte distrettuale ha fondato il giudizio di non credibilità sul fatto che il richiedente parlava dell’omosessualità non come qualcosa che apparteneva alla sua sfera più intima, ma come se fosse altro da sé, come una dipendenza, una droga da esercitarsi in gruppo, all’interno del quale sembrava compiacersi di avere svolto il ruolo di leader e sulla base di tali affermazioni ha ritenuto la versione dei fatti portata dal richiedente non attendibile e carente di riscontri in ordine alla veridicità del racconto, oltre che non circostanziata e contraddittoria con le dichiarazioni rese in precedenza. 2.2 In proposito, occorre, osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del Giudice, ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c , con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda Cass., 14 novembre 2017, n. 26921 . Alla luce di quanto sopra è evidente che il dovere del Giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente, anche se non suffragato da prove, richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano considerate coerenti e plausibili art. 3, comma 5, lett, c e che il racconto del richiedente sia in generale attendibile art. 3, comma 5, lett. e . La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti, prevista espressamente dal legislatore, non impone affatto al Giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso, anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al Giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, ed è sufficiente richiamare i concetti di coerenza, plausibilità lett. c e attendibilità lett. e che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale. La Corte territorilale si è sottratta a tali indicazioni, avendo espresso un giudizio di non credibilità frutto di soggettivistiche opinioni e non della procedimentalizzazione legale della decisione in applicazione dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. 3. Con il secondo motivo O.P. lamenta la violazione e falsa applicazione della legge nazionale e sovranazionale, in relazione all’art 360 c.p.c., comma 1, n. 3, inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 6 e 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 dell’art. 3 CEDU e art. 10 Cost. del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b . Vizio di motivazione. Vulnerabilità del richiedente per motivi di salute. Necessità di salvaguardare l’alto grado di integrazione sul territorio. Ad avviso del ricorrente anche sotto il profilo della protezione umanitaria la Corte distrettuale doveva verificare la situazione di grave instabilità politica e sociale presente in Ghana, nonché la circostanza che, nelle more del procedimento giudiziario, il richiedente aveva avuto seri problemi di salute asma bronchiale e ulcera gastrica perforata , oltre che lo sradicamento dal Paese di origine e il radicamento in Italia. 3.1 Il motivo è fondato. Questa Corte ha affermato che In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455 . Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza e che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poiché, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459 . Infine il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti Cass., 12 novembre 2018, n. 28990 , nell’ambito delle allegazioni della parte richiedente Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336 . Tanto premesso, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, oltre che della protezione internazionale e sussidiaria, anche della invocata protezione umanitaria, affermando genericamente che il ricorrente non aveva indicato oggettive e gravi situazioni personali che non permettevano l’allontanamento dal territorio nazionale. La Corte d’appello ha, quindi, omesso sia lo scrutinio sull’esistenza di condizioni di vulnerabilità, nei limiti delle allegazioni del richiedente, sia la valutazione della sua vita lavorativa e familiare in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. La Corte, inoltre, non ha valutato le ragioni di salute dedotte dal richiedente, il quale ha affermato che ha avuto seri problemi di salute afferenti la sua patologia cronica di asma bronchiale e la cura di ulcera gastrica perforata che ha necessitato un intervento chirurgico e successivi controlli ancora in corso pag. 20 del ricorso per cassazione . Come questa Corte ha già affermato, in materia di concessione della protezione umanitaria, il giudice deve valutare il grave pregiudizio alla salute che può derivare al richiedente in caso di rientro nel Paese di origine, quando egli sia un soggetto vulnerabile, tra costoro rientrando, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h-bis, anche le ersone affette da gravi malattie Cass., 10 luglio 2019, n. 18541 . Il diritto alla salute del richiedente integra, dunque, un diritto umano fondamentale, onde appare necessario accertare se, considerata la natura e gravità della malattia del richiedente, la necessaria terapia medica o farmacologica possa essergli somministrata anche nel suo paese di origine. 4. In conclusione la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona, anche per le spese di legittimità.