Integrazione in Italia, percorso neanche avviato: ritorno in patria per lo straniero

Respinta definitivamente la richiesta di protezione avanzata da un cittadino del Pakistan. Per i Giudici è poco credibile il racconto da lui fatto in merito alla fuga. Significativa poi la mancanza di integrazione in Italia.

Inesistente il percorso di integrazione in Italia. Anche questo dato può costare caro allo straniero che chiede protezione Cassazione, ordinanza n. 10382, Sezione Prima Civile, depositata il 1° giugno 2020 . Contesto. A respingere la richiesta presentata dallo straniero – cittadino del Pakistan – sono già i Giudici del Tribunale. A loro avviso il racconto fatto dall’uomo non è credibile e comunque non vi sono per lui potenziali gravi danni in caso di rientro in patria. Sulla stessa linea si attesta anche la Cassazione, cancellando l’ultima speranza del cittadino del Pakistan. Rilevante, innanzitutto, la scarsa credibilità del racconto da lui fatto e relativo alle motivazioni che lo hanno spinto a fuggire dal proprio Paese. Centrale però è soprattutto il riferimento alla storia personale dell’uomo e alla sua presunta posizione di vulnerabilità. A questo proposito i giudici osservano che è stata effettuata una valutazione comparativa tra il contesto di vita in Italia del richiedente protezione e quello nel Paese di provenienza, e l’uomo non ha neppure provato il proprio percorso di integrazione, non parlando la lingua italiana, non avendo frequentato un corso per imparare a parlarla e non avendo comprovato di svolgere attività lavorativa .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 7 febbraio – 1 giugno 2020, n. 10382 Presidente De Chiara – Relatore Fidanzia Fatti di causa Il Tribunale di Caltanissetta, con decreto depositato in data 22.1.2019, ha rigettato la domanda di A.A., cittadino del Pakistan, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria. È stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo il suo racconto stato ritenuto credibile il ricorrente, gestore di un negozio di telefonia, riferisce di essere fuggito dal Pakistan per il timore di essere ucciso da terroristi talebani che lo accusavano di aver rivelato alla polizia il nominativo di un loro militante e che in occasione di un’irruzione nel suo negozio avevano ucciso suo padre e suo zio . Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel Paese d’origine. Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale. Ha proposto ricorso per cassazione A.A. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione. Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non facendosi questioni rilevanti ai fini della funzione nomofilattica di questa Corte. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e degli artt. 2, 3, 4, 5, 8 d.lgs. n. 251/07 nonché l’omesso esame e travisamento di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ Lamenta il ricorrente che la motivazione con cui il Tribunale ha formulato il giudizio di non credibilità del suo racconto è caratterizzato da genericità, illogicità e non tiene conto delle informazioni generali provenienti dalla zona d’origine. Il Tribunale ha, inoltre, omesso qualsiasi osservazione sulle sue specifiche contestazioni nonché di valutare la sua giovanissima età ed il suo bassissimo grado di istruzione. Il ricorrente contesta, infine, la valutazione effettuata dal giudice di merito in ordine all’insussistenza della dedotta situazione di violenza generalizzata. 2. Il motivo è inammissibile. Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ex art. 3, comma. 5, lettera c del d.lgs. n. 251 del 2007. Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. Cass. n. 3340 del 05/02/2019 . Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014 , essendo state indicate in modo dettagliato alle pagg. 3 e 4 del decreto impugnato le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile. Il ricorrente, consapevole che al cospetto della valutazione in fatto svolta dal Tribunale in ordine alla sua credibilità può essere invocata come unico vizio la grave anomalia motivazionale, riconducibile alla violazione di legge, allega apoditticamente che il provvedimento impugnato è connotato da palese inconsistenza”, da obiettiva incomprensibilità”, da contrasti irriducibili tra affermazioni inconciliabili”, ritenendo, in particolare, priva di motivazione e palesemente illogica la valutazione del Tribunale – che è, invece, di assoluto buon senso – nella parte in cui ha ritenuto non plausibile che il richiedente abbia accettato di intestarsi una sim card venduta ad una persona priva di documenti nel contesto del Paese di origine caratterizzato dalla presenza di gruppi terroristici. Sul punto, il ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe omesso di riportare la spiegazione fornita dal richiedente, ovvero che non era vietato in Pakistan che un venditore intesti a sé stesso la scheda telefonica venduta ad un cliente purché lo si conosca , non considerando che il giudice di merito non aveva contestato al ricorrente che non avesse dato una spiegazione, ma che questa fosse plausibile alla luce del particolare contesto ambientale. 3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 14, 16 e 17 d.lgs. n. 251/07, dell’art. 32 d.lgs. n. 25/08, nonché l’omesso esame e travisamento di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ Il ricorrente contesta la valutazione effettuata dal giudice di merito in ordine all’insussistenza della dedotta situazione di violenza generalizzata, deducendo che il Tribunale avrebbe omesso di valutare autorevoli fonti internazionali. 4. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, nel contestare la valutazione in fatto effettuata dal Tribunale sulla situazione di violenza esistente nel suo Paese d’origine – che è stata fondata sul rapporto EASO aggiornato al 2018 – svolge mere censure di merito, sollecitando una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito. Peraltro, il Tribunale ha, altresì, evidenziato che la regione di provenienza del richiedente era stata indicata come zona ospitante”, centro di accoglienza e raccolta ove gli sfollati provenienti da zone di conflitto venivano portati, circostanza che di per sé escludeva la carenza delle condizioni minime di sicurezza. Infine, inammissibile, per difetto di autosufficienza, la censura secondo cui il Giudice avrebbe omesso di valutare ulteriori autorevoli fonti di documentazione allo stesso esplicitamente sottoposte all’esame dal ricorrente, come il sito del Ministero degli Esteri, il rapporto di Amnesty International 2017 ed altre fonti consultabili via internet. Il ricorrente non ha neppure prospettato il luogo e modo con cui avrebbe sottoposto all’esame del Tribunale le ulteriori fonti citate, onde consentire alla Suprema Corte di controllare ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione Cass., 13/06/2018, n. 15430 . 5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.lgs. n. 25/08, dell’art. 5 comma 6° del d.lgs. n. 286/1998 nonché l’omesso esame di fatti decisivi. Lamenta il ricorrente che la Corte avrebbe avuto l’obbligo di indagare sulla sussistenza in capo al ricorrente di situazioni di vulnerabilità, analizzando con meticolosità la sua storia personale, collocandola nel contesto attuale della situazione socio-politica dell’area geografica di provenienza. 4. Il motivo è inammissibile. Il giudice di merito ha svolto una valutazione comparativa tra il contesto di vita del richiedente in Italia e nel Paese di provenienza, rilevando che il ricorrente non aveva neppure provato il proprio percorso di integrazione, non parlando la lingua italiana, non avendo frequentato un corso per impararla e non avendo comprovato, neppure a livello di fumus, di svolgere attività lavorativa. La declaratoria di inammissibilità non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, in considerazione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.