Spese processuali del giudizio di legittimità nel caso di ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato

Laddove la Corte di Cassazione rigetti il ricorso con spese del procedimento di legittimità a carico del ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito essendo la parte vittoriosa un’amministrazione dello Stato.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9536/20, depositata il 22 maggio rigettando il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso la pronuncia con cui il Tribunale di Milano aveva ritenuto inammissibile per tardività l’impugnazione della decisione di rigetto della sua richiesta di protezione internazionale da parte della Commissione territoriale. Confermando la decisione impugnata laddove ha escluso la possibilità di rimessione in termini del ricorrente per mancanza del requisito dell’incolpevole decadenza, la Cassazione ha posto a carico del ricorrente le spese del giudizio di legittimità . Aggiunge dunque il Collegio che poiché la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato , nei cui confronti vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito . Inoltre, in virtù dell’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato , la Corte ha escluso l’obbligo del pagamento dell’ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater , d.P.R. n. 115/2002 nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 . Ed infatti l’art. 11 del medesimo d.P.R. n. 115/2002 prevede che il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 3 marzo – 22 maggio 2020, n. 9536 Presidente De Chiara – Relatore Rossetti Fatti di causa J.M. o D. , cittadino senegalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 a in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss. b in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 c in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, nel testo applicabile ratione temporis a fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il Senegal per trovare condizioni economiche migliori di quelle che aveva in patria, in modo da poter assicurare un futuro migliore alla sua numerosa famiglia la Commissione Territoriale rigettò l’istanza avverso tale provvedimento J.M. o D. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 30.1.2019 il Tribunale ritenne che il ricorso fosse inammissibile per sopravvenuta decadenza, dal momento che la domanda di asilo era stata ritenuta manifestamente infondata dalla commissione territoriale con provvedimento del 14 agosto 2018, notificato all’interessato il 21 agosto 2018, e che da tale data decorresse perciò il termine di 15 giorni previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 2 il ricorso dinanzi al Tribunale, invece, era stato depositato il 17 settembre 2018, e quindi ben oltre la scadenza del suddetto termine di 15 giorni, maturata il 5 settembre 2018 tale decreto è stato impugnato per cassazione da J.M. o D. con ricorso fondato su un motivo ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2. Il ricorrente non nega di aver proposto dinanzi al Tribunale un ricorso tardivo, ma si duole del rigetto della sua istanza di rimessione in termini. Deduce che la rimessione in termini nel caso specie si sarebbe dovuta accordare perché - il provvedimento della Commissione territoriale si concludeva con la stessa locuzione impiegata per i normali rigetti , e ciò avrebbe posto il ricorrente nella condizione di non comprendere che la sua domanda era stata invece rigettata dalla commissione territoriale per manifesta infondatezza, con conseguente dimidiazione del termine per proporre ricorso al Tribunale - il richiedente asilo non poteva comprendere le differenze giuridiche esistenti tra un rigetto per infondatezza ed un rigetto per manifesta infondatezza - la responsabilità della decadenza andava semmai ascritta al precedente legale cui si era rivolto l’odierno ricorrente. 1.1. Il motivo è infondato in modo manifesto. Presupposto della rimessione in termini è che la decadenza sia incolpevole, e l’incolpevolezza della decadenza sussiste quando non solo l’interessato nel caso specifico, ma qualunque altra persona, nelle medesime condizioni, non avrebbe potuto evitare la decadenza. E tuttavia, in primo luogo, il provvedimento della Commissione, come rilevato dal Tribunale con giudizio di fatto, non conteneva alcuna ambiguità. In secondo luogo, la circostanza che il primo avvocato cui si era rivolto il richiedente asilo non l’avesse informato dell’esistenza di un termine da rispettare non costituisce una circostanza di per sé sufficiente a rendere incolpevole la decadenza, per l’ovvia considerazione che, in tema di rispetto dei termini per impugnare, l’ignorantia legis non excusat. 2. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo. 2.1. Poiché la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811 . 2.2. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente. P.Q.M. la Corte di cassazione - rigetta il ricorso - condanna J.M. o D. alla rifusione in favore di Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre rifusione delle spese prenotate a debito - dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.