Paese d’origine povero, ma il ruolo di insegnante lo pone in posizione di sicurezza economica: niente protezione

Respinta la richiesta avanzata da un uomo originario del Gambia. Impossibile parlare di grave pericolo in caso di rimpatrio per il processo per presunti maltrattamenti ai danni di un suo allievo nipote del capo del villaggio. Esclusa anche l’ipotesi che il ritorno nel Paese d’origine possa negargli una vita dignitosa per i Giudici il lavoro di insegnante lo pone al di sopra della soglia di povertà.

Maestro di scuola in patria. Questo impiego è sufficiente per escludere l’ipotesi di vita non dignitosa per lo straniero in caso di ritorno nel Paese d’origine, che pure è una delle nazioni più povere dell’Africa. Nessuna protezione in Italia , quindi, per lo straniero scappato dal suolo natio per timori legati a un processo per presunti maltrattamenti ai danni di un suo allievo, nipote del capo del villaggio Cassazione, ordinanza n. 8695/20, sez. I Civile, depositata l’8 maggio . Concordi i giudici di merito, che hanno respinto la richiesta di protezione avanzata da un uomo originario del Gambia. Fragile il richiamo fatto allo straniero a un presunto danno grave alla propria persona . In sostanza, l’uomo ha spiegato di essere un insegnante e di essere stato accusato dal potente capo del suo villaggio di avere maltrattato il nipote, suo allievo , e di essere stato perciò arrestato con l’imputazione di maltrattamenti . Inevitabile la fuga, a suo dire, per il timore che lo zio del ragazzo potesse condizionare la giuria per il suo processo , e per le minacce di morte da lui ricevute ad opera della famiglia denunciante. Il racconto fatto dall’uomo è ritenuto non sufficiente anche in Cassazione. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, di conseguenza, va confermato il no” alla sua richiesta di protezione. Inutile il richiamo fatto dall’uomo alla paura di non essere sottoposto a un giusto processo e di subire violazioni dei diritti umani, come torture, arresto arbitrario, prolungata carcerazione preventiva e detenzione in isolamento . Su questo fronte si è esclusa, osservano i magistrati, la violazione di diritti fondamentali da parte del Gambia nella vicenda processuale che vede coinvolto lo straniero. In particolare, è stato evidenziato che il suo Paese d’origine gli ha garantito quanto previsto dal codice penale a tutela dell’imputato, concedendogli anche la possibilità di beneficiare della libertà condizionale . Inoltre l’organo giudicante ha deciso un approfondimento delle indagini . E, d’altra parte, osservano i Giudici, il pericolo che lo zio del ragazzo possa condizionare la giuria e l’esito del processo è in contraddizione con le garanzie processuali che risultano state concesse all’uomo . Per quanto concerne, poi, le condizioni del Paese d’origine dello straniero , quest’ultimo ha osservato che il Gambia è uno dei paesi più poveri dell’Africa, con la conseguenza che, in caso di rientro, verrebbe compromessa in modo apprezzabile la sua dignità ed il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa . Per i Giudici, però, va esclusa l’ipotesi di una vulnerabilità economica dello straniero e di una violazione del diritto ad un’esistenza dignitosa. Ciò perché lo straniero svolgeva l’attività di insegnante, professione che lo pone al di sopra della soglia di povertà , concludono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 31 gennaio– 8 maggio 2020, n. 8695 Presidente Giancola – Relatore Fidanzia Fatti di causa La Corte d'Appello di Milano, con sentenza depositata il 31.12.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di La. Ja., cittadino del Gambia, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria. E' stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ex art. 14 lett. a e b D.Lgs. n. 251/07, non rientrando la sua vicenda nella fattispecie disciplinata dalla Convenzione di Ginevra e risultando infondato il timore del richiedente di danno grave alla propria persona costui, insegnante, accusato dal potente capo del suo villaggio di aver maltrattato il proprio nipote, allievo del richiedente, era stato, in un primo tempo, per tale vicenda arrestato con l'imputazione di maltrattamenti, abuso d'ufficio e cospirazione ed era fuggite dal Gambia sia per il timore che lo zio del ragazzo potesse condizionare la giuria per il suo processo, sia per le minacce di morte ricevute dalla famiglia denunciante . Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14 lett e , il giudice di merito ha evidenziato l'insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d'origine. Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale. Ha proposto ricorso per cassazione La. Ja. affidandolo a quattro motivi. Il Ministero dell'Interno si è costituita in giudizio con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, degli artt. 8,10 27 D.Lgs. n. 25/08, dell'art. 3 D.Lgs. n. 251/07. Lamenta il ricorrente che in Gambia sono perpetrate violazioni dei diritti umani, come torture, arresti arbitrari, prolungata carcerazione preventiva, detenzione in isolamento ed in generale trattamenti inumani e degradanti. 2. Sempre all'interno del primo motivo con la lett b è stata dedotta la violazione dell'art. 2 comma 1 lett. g d 14 D.Lgs. n. 251/07 lamentando il pericolo di grave danno per il timore di non essere sottoposto ad un processo giusto. Espone che il capo d'imputazione principale elevato a suo carico è quello di cospirazione, un reato a sfondo politico, in relazione al quale lo Stato di italiano non potrà concedere l'estradizione se il reato che forma oggetto della procedura non è previsto come reato dalla legge italiana. 3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 8 e 9 D.Lgs. n. 25/08, 3 lett a , b e c comma 4. e art. 19 D.Lgs. n. 251/07. Lamenta il ricorrente che la Corte d'Appello non ha effettuato un congruo esame della sua domanda ed è venuta meno al dovere di acquisire le informazioni necessarie per conoscere la situazione e l'ordinamento del paese d'origine. 4. I primi due motivi, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni connesse, sono inammissibili. Va osservato che la Corte di merito ha escluso la violazione di diritti fondamentali da parte del Gambia nella vicenda processuale che vede coinvolto il richiedente. In particolare, è stato evidenziato che il paese d'origine del medesimo ha garantito quanto previsto dal codice penale a tutela dell'imputato, concedendogli la possibilità di beneficiare della libertà condizionale, l'organo giudicante ha deciso un approfondimento delle indagini e, d'altra parte, il pericolo che lo zio del ragazzo possa condizionare la giuria e l'esito del processo stato è rappresentato in termini del tutto generici, non circostanziati, ed anzi in contraddizione con le garanzie processuali che risultano state concesse al richiedente. Infine, anche l'episodio delle minacce verbali di morte è stato riferito in modo generico, non circostanziato, e non vi sono stati ulteriori atti concreti idonei ad attribuire a dette minacce una reale potenzialità offensiva. Con tali articolate e precise argomentazioni della sentenza impugnata il ricorrente non si è minimamente confrontato, limitandosi a dedurre genericamente la violazione delle norme che devono essere applicate nell'esame delle domande dei richiedenti. Inoltre, altrettanto generico è il riferimento alla circostanza che il ricorrente è stato accusato di un reato politico con gli ostacoli giuridici alla possibilità di estradizione posto che anche gli artt. 304 e 305 del codice penale italiano puniscono rispettivamente i reati di cospirazione politica mediante accordo e cospirazione politica mediante associazione, il ricorrente non ha avuto neppure cura di specificare il contenuto del reato di cospirazione previsto dall'ordinamento del Gambia. 5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 32 comma 3. D.Lgs. n. 25/08 e dell’art. 5 comma 6. D.Lgs. n. 286/1998 in tema di protezione umanitaria. Espone il ricorrente che il Gambia è uno dei paesi più poveri dell'Africa, con la conseguenza che, in caso di rientro, verrebbe compromessa in modo apprezzabile la sia dignità ed il diritto ad un'esistenza libera e dignitosa. Inoltre, secondo report internazionali, la Libia, ove lo stesso aveva radicato la propria presenza prima di venire in Italia, è stato teatro di abusi contro i migranti. 6. Il motivo è inammissibile. Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d'origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui all'art. 5 comma 6. D.Lgs. n. 286/1998 in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018 . Nel caso di specie, il ricorrente non ha minimamente correlato la dedotta violazione dei diritti umani alla sua condizione personale se non per il tramite della sua vicenda narrata, non ritenuta coerentemente dalla Corte di Appello come un caso di violazione dei diritti umani. In ordine alla eventuale violazione del diritto ad un'esistenza dignitosa, va osservato che la sentenza impugnata ha evidenziato che il ricorrente, prima di partire dalla Nigeria, svolgeva l'attività di insegnante, professione che pone il ricorrente al di sopra della soglia di povertà. Infine, quanto agli abusi asserita mente subiti in Libia, va osservato che il racconto del richiedente è palesemente generico, non avendo fornito alcun dettaglio sulla sua personale esperienza in Libia, limitandosi a riportare notizie di report internazionali sulla condizione generale dei migranti in tale paese. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in e 2.100, oltre S.P.A.D., oltre accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1. bis dello stesso articolo 13.