Il principio di diritto del beneficio del dubbio nelle cause dei richiedenti asilo e protezione internazionale

Quando all’organo giudicante residuano dubbi circa l’attendibilità o delle dichiarazioni di un richiedente asilo o dei documenti presentati da questi a supporto, può trovare legittima applicazione il principio del beneficio del dubbio.

Così la Corte di Cassazione, con sentenza n. 7546/20, depositata il 27 marzo. Il caso. Una cittadina cinese proponeva ricorso presso il tribunale competente avverso il provvedimento della Commissione territoriale che le aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, anche nella forma sussidiaria, e di quella umanitaria. La ricorrente riferiva di essere osservante del culto Almighty God, chiesa del Dio Onnipotente, e ciò dal 2007 attraverso la propria madre. Esponeva che tale conversione era maturata a seguito di una delusione scolastica allorquando a lei, che aveva passato un esame, era stata preferita un'altra candidata che aveva denaro e potere. Entrata nel gruppo religioso della madre, era stata denunciata dal marito di una compagna di fede e ricercata dalla polizia, la quale nel 2015 l'aveva sorpresa con un libro della parola di Dio, quindi arrestata, portata in Questura, sottoposta a interrogatorio e maltrattamenti, allo scopo di avere informazioni, e successivamente rilasciata su cauzione. Per questo aveva perso il posto di lavoro e aveva deciso di non uscire più fino al giorno in cui un'amica l'aveva aiutata a fare il visto per lasciare il Paese. La ricorrente aveva anche affermato di aver fatto ingresso regolare in Italia nel 2015 attraverso la frontiera aeroportuale di Milano-Malpensa, con visto turistico rilasciato dall'ambasciata italiana a Pechino. Dal proprio canto, però, il tribunale, a sostegno della decisione di rigetto, aveva rilevato la genericità della critica della donna sulla non fedele traduzione del colloquio davanti alla Commissione territoriale, la non credibilità dei fatti essenziali posti a base della domanda di protezione, a volte per genericità, a volte per contraddittorietà, dato che la conversione sarebbe stata lo strumento per superare una delusione scolastica. I motivi del ricorso in Cassazione e la decisione della Suprema Corte. Il ricorso della cittadina cinese contro il provvedimento del tribunale era fondato su diversi motivi di censura, tra cui l’errata valutazione del tribunale sulla non credibilità della ricorrente la violazione da parte del tribunale del dovere di cooperazione istruttoria, con particolare riferimento ai doveri di attivazione officiosa da parte del giudice del merito nonché, oltre al resto, il vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo, riferito alla mancata audizione dell'interessato pur in assenza di video registrazione del colloquio del richiedente davanti alla Commissione territoriale. La Suprema Corte, dopo aver esaminato congiuntamente i motivi di ricorso, li ha ritenuti fondati per i motivi che seguono. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, emerge l'error procedendi in cui è incorso il tribunale nella valutazione della credibilità del racconto, essendo stati atomisticamente esaminati gli elementi della narrazione relativi ad una patìta persecuzione di tipo religioso, avendo omesso di converso una pur necessaria disamina complessiva della vicenda, che ha visto la ricorrente impedita e perseguitata a causa della sua fede, quanto anche abbracciata per una iniziale delusione scolastica. Va premesso come la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo da parte del tribunale non sia né potrebbe, in alcun modo, ritenersi rivolta alla capillare ricerca delle eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione della personale situazione, visto che il procedimento giurisdizionale di protezione internazionale è caratterizzato per una sostanziale assenza di contraddittorio, con conseguente impredicabilità della diversa funzione -caratteristica del processo civile ordinario di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte. La Suprema Corte, infatti, ricorda che la funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale deve ritenersi quella di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno del diritto del richiedente al riconoscimento di una delle tre forme di asilo, onde compito del giudice chiamato alla tutela di diritti fondamentali della persona appare funzionale alla complessiva raccolta, curata e qualitativa, delle predette informazioni, nel corso della quale dissonanze e incongruenze, di per sé non decisivi ai fini del giudizio di finale, vanno comunicate al richiedente, che deve avere l'opportunità di spiegare le ragioni delle eventuali contraddizioni rilevate dall'organo giudicante. I principi di diritto. Nel peculiare settore della protezione internazionale la Suprema Corte riafferma i condivisibili principi sul tema della ‘giustizia della decisione’, sottolineando come la rilevabilità d'ufficio delle eccezioni in senso lato sia posta in funzione di una concezione del processo che semplicisticamente è stata definita come pubblicistica ma che, andando in fondo, fa leva sul valore della giustizia della decisione, che deve ritenersi valore primario del processo. Valore primario che, a più forte ragione, permea quei procedimenti nei quali i valori in gioco hanno riguardo alle persone, alla loro storia, ai loro diritti fondamentali, sempre comunque garantiti dalla Carta Costituzionale e dalle Convenzioni internazionali. Invece, quanto all’attendibilità complessiva della richiedente asilo il Collegio precisa che ove, rispetto ad alcuni dettagli, residuino all'organo giudicante i dubbi in parte qua, può trovare legittima applicazione il principio del beneficio del dubbio. Infatti, la legge dispone che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l'Autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che a il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda b tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi c le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso d il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla e dai riscontri effettuati, il richiedente è, in generale, attendibile. La Suprema Corte rammenta che, come giustamente è stato osservato in altre sedi, è evidente che nonostante gli sforzi che il richiedente possa fare per cercare di raccogliere le prove dei fatti affermati, può darsi che permangano tuttavia dubbi relativamente a tutte o ad alcune sue affermazioni e che, talvolta, la stessa vita o l'incolumità del richiedente potrebbero essere messi a rischio se la protezione internazionale gli fosse ingiustamente negata. Questo orientamento è, tra l'altro, suffragato da quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di onere della prova, secondo cui 'stante la particolare situazione in cui si trovano i richiedenti asilo, sarà frequentemente necessario concedere loro il beneficio del dubbio quando si vada considerare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a supporto'. Per questi motivi la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinviando al tribunale competente in diversa composizione, e ordina il riesame del merito della controversia alla luce dei principi sopra esposti.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 3 dicembre 2019 – 27 marzo 2020, n. 7546 Presidente Travaglino – Relatore Solaini Rilevato che Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso proposto da L.J. cittadina cinese, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato alla richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria. La ricorrente ha riferito di essere osservante del culto omissis Chiesa del Dio onnipotente , e ciò dal 2007 attraverso sua madre. Tale conversione era maturata a seguito di una delusione scolastica, infatti a lei che aveva passato un esame era stata preferita un’altra candidata che aveva soldi e potere. Entrata nel gruppo religioso della madre, era stata denunciata dal marito di una compagna di fede e ricercata dalla Polizia che nel omissis l’avevano sorpresa con un libro della parola di Dio , quindi, arrestata, portata in Questura, e sottoposta a interrogatorio e a maltrattamenti allo scopo di avere informazioni, e successivamente fu rilasciata su cauzione. Per questo aveva perso il lavoro e aveva deciso di non uscire più fino al giorno in cui un’amica l’aveva aiutata a fare il visto per lasciare il paese. Ella ha ancora affermato di avere fatto ingresso regolare in Italia il omissis attraverso la frontiera aereoportuale di omissis , con visto turistico rilasciato dall’ambasciata italiana a . A sostegno della decisione di rigetto, il Tribunale ha rilevato la genericità della critica sulla non fedele traduzione del colloquio davanti alla commissione territoriale, la non credibilità dei fatti essenziali posti a base della domanda di protezione a volte per genericità a volte per contraddittorietà la conversione sarebbe stato lo strumento per superare una delusione scolastica . Nè la situazione generale della Cina poteva giustificare la domanda di protezione sussidiaria, mentre, non sono state ravvisate effettive condizioni di vulnerabilità della richiedente. Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte. Considerato che Il ricorrente censura la decisione del Tribunale I sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3 commi 3 e 5, 4, 5, 6 e 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, artt. 2 e 3 Cedu, nonché degli artt. 15 par. 3 lettera a e dell’art. 46 par. 3 della Direttiva 2013/32, dell’art. 13 par. 3 lettera a della Direttiva 2005/85 e dell’art. 4 par. 3 della Direttiva 2004/83, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per errata valutazione della non credibilità della ricorrente II sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c, per violazione del dovere di cooperazione istruttoria, in particolare, in riferimento ai doveri di attivazione officiosa da parte del giudice del merito, III sotto un terzo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità IV sotto un quarto profilo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8, 9, 10 e 11, in riferimento all’art. 47, commi 1 e 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, nonché vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, riferito alla mancata audizione dell’interessato pur in assenza di videoregistrazione del colloquio del richiedente davanti alla Commissione territoriale. I motivi di ricorso, esaminati congiuntamente, sono fondati. Osserva il collegio che, nella specie, emerge ictu oculi l’error procedendi in cui è incorso il tribunale nella valutazione della credibilità del racconto, essendo stati atomisticamente esaminati gli elementi della narrazione relativi a una patita persecuzione di tipo religioso, omettendosi, di converso, una - pur necessaria e ben diversa - disamina complessiva della vicenda, che ha visto la ricorrente impedita e perseguitata a causa della sua fede, quand’anche abbracciata per una iniziale delusione scolastica. Va premesso come la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo da parte del tribunale, difatti, non sia, nè potrebbe in alcun modo ritenersi, rivolta alla capillare ricerca delle eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione della sua personale situazione, volta che il procedimento giurisdizionale di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale assenza di contraddittorio stante la sistematica assenza dell’organo ministeriale , con conseguente impredicabilità della diversa funzione - caratteristica del processo civile ordinario - di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte. Funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale deve, infatti, ritenersi quella - del tutto autonoma rispetto alla precedente procedura amministrativa, della quale esso non costituisce in alcun modo prosecuzione impugnatoria - di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno del diritto del richiedente al riconoscimento di una delle tre forme di asilo, onde il compito del giudice chiamato alla tutela di diritti fondamentali della persona appare funzionale - anche al di là ed a prescindere da quanto accaduto dinanzi alla Commissione territoriale - alla complessiva raccolta, accurata e qualitativa, delle predette informazioni, nel corso della quale dissonanze e incongruenze, di per se non decisive ai fini del giudizio finale, vanno comunicate al richiedente, che deve avere l’opportunità di spiegare le ragioni delle eventuali contraddizioni rilevate dall’organo giudicante. Nel peculiare settore della protezione internazionale devono, difatti, riaffermarsi, ad ancor più forte ragione, ratione materiae, i condivisibili ed illuminanti principi affermati da questo stesso giudice di legittimità nella sua più autorevole espressione Cass. ss.uu. 10531/2013 sul tema della giustizia della decisione, sottolineandosi come la rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato tematica classica di diritto processuale sia posta in funzione di una concezione del processo che semplicisticamente è stata definita come pubblicistica, ma che, andando a fondo, fa leva sul valore della giustizia della decisione, che deve ritenersi valore primario del processo valore primario che, a più forte ragione, permea quei procedimenti nei quali i valori in gioco hanno riguardo alle persone, alla loro storia, ai loro diritti fondamentali, sempre e comunque garantiti dalla Carta costituzionale e dalle Convenzioni internazionali . Quanto all’attendibilità complessiva del richiedente asilo, ove, rispetto ad alcuni dettagli infra, p. 6 , residuino all’organo giudicante dubbi in parte qua, è convincimento del collegio diversamente da quanto sostenuto dall’ordinanza n. 16208 del 2019 che possa trovare legittima applicazione il principio del beneficio del dubbio. Il D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3, infatti, dispone che Qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che a il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda b tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi c le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone d il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla e dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile . Come ricordato dal rapporto Beyond Proof Credibility Assessment in EU Asylum Systems dell’UNHCR, nonostante gli sforzi che il richiedente ed eventualmente anche la stessa autorità accertante possa fare per cercare di raccogliere le prove dei fatti affermati, può darsi che permangano tuttavia dubbi relativamente a tutte o ad alcune delle sue affermazioni e che, talvolta, la stessa vita o l’incolumità del richiedente potrebbero essere messe a rischio ove la protezione internazionale gli fosse ingiustamente negata . Quest’orientamento dell’UNHCR è peraltro suffragato da quanto affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di onere della prova, secondo cui stante la particolare situazione in cui si trovano i richiedenti asilo, sarà frequentemente necessario concedere loro il beneficio del dubbio quando si vada a considerare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a supporto cfr. CEDU, R.C. v. Svezia, 2010, paragrafo 50 CEDU, N. v. Svezia, 2010, paragrafo 53 CEDU, A.A. v. Svizzera, 2014, paragrafo 59 . Va inoltre considerato, nella specie, come le COI prodotte dal ricorrente, nonostante la loro indiscutibile rilevanza, non abbiano trovato ingresso nella valutazione del giudice del merito, che pertanto, in sede di rinvio, dovrà compiutamente esaminarne il contenuto, anche alla luce, ed in imprescindibile consonanza, con la documentazione prodotta dalla ricorrente quale, ad esempio, la significativa certificazione medica relativa ai maltrattamenti subiti . Quanto alla circostanza particolarmente enfatizzata dal Tribunale per la quale il passaporto era stato ottenuto presso uffici pubblici quando, oramai, la ricorrente era conosciuta dalle forze di polizia per la sua professione di fede - circostanza che risulta, in punto di fatto, l’unico elemento distonico rispetto alla integrale narrazione del vissuto della richiedente asilo - essa andrà necessariamente collocata nella più ampia ottica, di cui è cenno in precedenza, di una sua valutazione necessariamente complessiva - potendo ragionevolmente spiegarsi con la volontà dell’autorità di sbarazzarsi di elementi considerati pericolosi per l’ordine pubblico interno. In accoglimento del ricorso, la sentenza va pertanto cassata e la causa va rinviata al Tribunale di Milano affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia. P.Q.M. LA CORTE Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al tribunale di Milano, in diversa composizione.