Rigettato il ricorso dello straniero per ottenere la protezione internazionale: come si regolano le spese del giudizio di legittimità?

In caso di inammissibilità del ricorso per cassazione, laddove la parte vittoriosa sia un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla refusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7525/20, depositata il 25 marzo, decidendo sul ricorso proposto da un cittadino ghanese avverso il diniego della protezione internazionale. Secondo la Corte d’Appello di Milano non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale né per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, chiesto in via sussidiaria. Con il ricorso per cassazione, il richiedente lamenta la violazione dell’onere di cooperazione istruttoria da parte della Corte territoriale e l’omessa considerazione dell’attuale instabilità politica del Ghana. Inammissibilità. Secondo il Collegio, il motivo è manifestamente inammissibile per totale estraneità alla ratio decidendi . La decisione impugnata aveva infatti rigettato la richiesta per violazione dell’onere di allegazione circa le circostanze che avrebbero potuto rendere pregiudizievole il rientro in patria. Aggiunge inoltre l’ordinanza in oggetto che il motivo sarebbe comunque manifestamente infondato in quanto il dovere di cooperazione istruttoria viene meno in caso di ritenuta inattendibilità del richiedente asilo. Spese. Posta l’inammissibilità del ricorso, le spese del procedimento di legittimità seguono la soccombenza. Sul punto il Collegio precisa che poiché la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla refusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito . Infatti, quanto all’obbligo di pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione ex art. 13, comma 1- quater , d.P.R. n. 115/2002, a condizione che esso sia dovuto, la Corte precisa che non spetta ad essa stabilire se tale condizione sussista. La norma citata difatti impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta . Viene dunque sottolineato che il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. In conclusione, dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte condanna il richiedente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore del Ministero dell’Interno, oltre alla rifusione delle spese prenotate a debito, IVA, Cassa Forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 55/2014. La liquidazione dell’onorario del difensore della parte sarà compiuta dal giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato e, quindi, dalla Corte d’Appello di Milano.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 31 gennaio – 25 marzo 2020, n. 7525 Presidente Giancola – Relatore Rossetti Y.Y. , cittadino ghanese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 a in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss. b in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 c in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, nel testo applicabile ratione temporis a fondamento della sua istanza dedusse che, ancora in tenera età, si allontanò dal nucleo familiare di origine perché bisognoso di cure ospedaliere, ed in quella circostanza venne affidato alla nonna, con la quale convisse per qualche tempo dopodiché, deceduta la nonna, non avendo più alcun rapporto col nucleo familiare di origine, decise di lasciare il Ghana e dopo avere attraversato vari Paesi giunse in Libia, da dove si imbarcò per l’Italia la Commissione Territoriale rigettò l’istanza avverso tale provvedimento Y.Y. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo rigettò con sentenza 24.4.2017 tale sentenza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza 24.10.2018 la Corte d’appello, rilevato che il gravame investiva unicamente il capo di sentenza con cui era stata rigettata la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, osservò che nella specie non sussistevano i presupposti per il rilascio di tale permesso, a causa innanzitutto della mancata allegazione di circostanze teoricamente idonee a rendere pregiudizievole il ritorno nel paese natio dell’odierno ricorrente il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da Y.Y. con ricorso fondato su due motivi ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno. Considerato che col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte del giudice di merito, dell’onere c.d. di cooperazione istruttoria deduce che la Corte d’appello di Milano non ha in alcun modo preso in considerazione l’attuale situazione del Ghana aggiunge che in Ghana vi è una latente minaccia terroristica che gli atti di criminalità comune sono in aumento che la situazione sanitaria è in generale piuttosto carente che il virus HIV è molto diffuso che il sistema giudiziario e carcerario viola i diritti umani il motivo è manifestamente inammissibile per totale estraneità alla ratio decidendi la Corte d’appello ha infatti rigettato la richiesta di protezione umanitaria sul presupposto che il ricorrente non avesse allegato circostanze che possano rendere pregiudizievole il suo ritorno nel paese natio . Il rigetto, dunque, si fondava su una violazione dell’onere di allegazione non solo tale ratio decidendi non viene nemmeno sfiorata dal ricorso, ma quest’ultimo reitera l’omissione già commessa nei gradi di merito, in quanto anche in questa sede nella parte dedicata allo svolgimento del processo pagina 3 del ricorso non si indica quali furono le circostanze di fatto dedotte a fondamento della domanda di protezione umanitaria in ogni caso il motivo sarebbe comunque manifestamente infondato per il fatto che il dovere di cooperazione istruttoria viene meno dinanzi alla ritenuta inattendibilità del richiedente asilo, come ripetutamente affermato da questa Corte ex plurimis, Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 19716 del 25/07/2018, Rv. 650193 - 01 Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 - 01 Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 25534 del 13/12/2016, Rv. 642305 - 01 Sez. 6 - 1, Sentenza n. 16221 del 24/09/2012, Rv. 624099 - 01 Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728 - 01 Sez. 1, Sentenza n. 26056 del 23/12/2010, Rv. 615675 - 01 col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 deduce che la Corte d’appello ha rigettato illegittimamente la richiesta di protezione umanitaria, senza tener conto del livello di integrazione e del radicamento raggiunto in Italia dal richiedente asilo sostiene che i due elementi rappresentati dalla instabilità del paese di provenienza deve ritenersi un mero refuso, a pagina 7 del ricorso, l’indicazione di quest’ultimo come Pakistan anziché Ghana e dall’integrazione raggiunta dal ricorrente in Italia di per sé giustificano la concessione di protezione umanitaria il motivo è inammissibile per le medesime ragioni indicate con riferimento al primo motivo in ogni caso è infondato nel merito, in quanto non esiste alcuna corrispondenza biunivoca tra l’avvenuta integrazione in Italia ed il diritto alla protezione umanitaria una già realizzata ed effettiva integrazione può essere soltanto uno degli elementi da prendere in esame ai fine del giudizio di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e comunque anche l’avvenuta ed effettiva integrazione può giustificare la protezione umanitaria solo se il rientro in patria del richiedente asilo possa incidere sul nucleo ineliminabile dei diritti fondamentali della persona, circostanza che ovviamente non può dirsi sussistente per il solo fatto che in patria il richiedente asilo godrebbe di un meno agiato tenore di vita rispetto a quello raggiunto in Italia Sez. un., Sentenza n. 24960 del 13/11/2019 nello stesso senso, in precedenza, Sez. 1, Ordinanza n. 21280 del 09/08/2019 Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 - 01 le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo poiché la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811 il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 , a condizione che esso sia dovuto, condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta incidenter tantum, rileva nondimeno questa Corte che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato l’istanza di liquidazione dell’onorario proposta dall’avv. Daniela Vigliotti, quale difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, va dichiarata irricevibile in questa sede stabilisce, infatti, il D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82, comma 2, testo unico delle spese di giustizia che la liquidazione dell’onorario al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, per l’attività svolta nel giudizio di legittimità, sia compiuta dal giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato per effetto della decisione di legittimità e dunque, nel nostro caso, la Corte d’appello di Milano. P.Q.M. - dichiara inammissibile il ricorso - condanna Y.Y. alla rifusione in favore di Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre rifusione delle spese prenotate a debito, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2 - dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente