Il termine per la presentazione dell’istanza di mediazione non è perentorio…

Per la Corte di Appello di Firenze è termine ordinatorio quello di quindici giorni previsto per il deposito dell’istanza di mediazione demandata, ma solo nel caso in cui la mediazione si sia effettivamente svolta, anche se con esito negativo.

Questo è il principio ribadito dalla Corte di appello di Firenze, peraltro già espresso da vari Tribunali, come quello di Roma, dopo un primo orientamento che invece prevedeva che la causa, in caso di mancato deposito dell’istanza di mediazione demandata dal Giudice entro quindici giorni, fosse improcedibile. Il caso. La questione nasce da un atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, avverso un decreto ingiuntivo dell’importo di € 169.414,00 a titolo per penale contrattuale per l’ingiustificati recesso da un contratto. L’opposizione venne dichiarata improcedibile dal Tribunale di Firenze, che ritenne tardivo l’esperimento della mediazione delegata, e di conseguenza applicò la sanzione della improcedibilità dell’opposizione. Gli originari opponenti impugnavano la sentenza, lamentando l’errata dichiarazione di improcedibilità in presenza del procedimento di mediazione regolarmente effettuato, pur se con esito negativo. Secondo gli appellanti, il procedimento era stato regolarmente avviato e concluso dalle parti, e quindi non si poteva considerare corretta la dichiarazione di improcedibilità, essendosi comunque svolta la procedura anche se l’istanza non era stata presentata nel termine di dieci giorni. Secondo gli appellanti, tale ritardo non poteva dar luogo ad improcedibilità, in presenza dello svolgimento della procedura, che può essere dichiarata essendo sanzione grave solo per il mancato svolgimento. Per gli appellanti, infatti, il termine per la proposizione della domanda di mediazione non può essere ritenuto perentorio, e quindi erroneamente, in presenza di un termine ordinatorio, era stata dichiarata improcedibile l’opposizione, dato che la mediazione si era comunque svolta, pur se con esito negativo. Si costituiva in giudizio l’appellato, naturalmente contestando l’inammissibilità e l’infondatezza delle censure alla sentenza in merito all’improcedibilità e reiterando tutte le difese svolte in primo grado. In caso di mediazione demandata, il termine di quindici giorni per il deposito della domanda non può essere considerato perentorio, e non può essere dichiarata l’improcedibilità della causa se la mediazione è stata comunque svolta. Nel caso in esame, non era in discussione il fatto che l’istanza di mediazione fosse stata presentata in ritardo rispetto al termine fissato dal Tribunale, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.lgs. 28/10. L’istanza veniva presentata con alcuni giorni di ritardo si svolgeva poi regolarmente, seppure con esito negativo, e peraltro senza fermarsi al primo incontro. Ciò nonostante, veniva sollevata d’ufficio la questione dell’improcedibilità, che veniva dichiarata. Secondo la Corte territoriale, detta dichiarazione è errata, poiché l’improcedibilità non può essere dichiarata se non sia espressamente comminata dalla legge, e le relative ipotesi sono tassative e non suscettibili di interpretazione analogica. Secondo la Corte d’appello, in questo caso l’improcedibilità può essere comminata solo se ci si trova di fronte all’effettivo mancato esperimento della mediazione e non al tardivo deposito dell’istanza di mediazione, non essendovi nella normativa alcuna disposizione in questo senso, anche perché la ratio è quella dell’effettivo esperimento della mediazione, pur se con esito negativo. Il termine di quindi giorni, secondo la sentenza in commento, è ordinatorio e non perentorio, perché non è indicato come tale dalla legge, né l’eventuale perentorietà si desume dallo scopo o dalla funzione esercitata dal termine, proprio perché la ratio della norma non è il termine di instaurazione, ma l’effettivo svolgimento del tentativo di mediazione, come statuito anche dalla sentenza della Corte di Appello di Milano del 4 luglio 2019, che viene citata da quella di Firenze nel provvedimento in commento. Per la Corte d’Appello quindi, non vi è stato alcun comportamento colpevole della parte, e di conseguenza l’improcedibilità non avrebbe dovuto essere pronunciata, con l’effetto della totale riforma della sentenza di primo grado sul punto.

Corte d’Appello di Firenze, sez. I Civile, sentenza 20 dicembre 2019 – 13 gennaio 2020, n. 65 Presidente Sgambati – Relatore Mariani Motivi della decisione L'appello proposto dagli omissis deve essere deciso come segue, infondato il rilievo della inammissibilità dell'appello essendo del tutto chiare le motivazioni della censura in iure alla sentenza e il diverso argomentare giuridico ritenuto corretto per la soluzione della fattispecie. La sentenza ha deciso per la improcedibilità della opposizione a decreto ingiuntivo per mancata esperimento della mediazione delegata entro i 15 giorni di cui all'art. 5 comma 2 D.Lgs. 28/2010 che reca 2. Fermo quanto previsto dal comma I-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. I termini della questione sono i seguenti la opposizione venne iscritta il 14 giugno 2011 in data 20 febbraio 2014 il Giudice sciogliendo la riserva assunta in pari data, dispone procedersi a media conciliazione dando termine di 15 giorni per proporre apposita istanza avanti ad organismo abilitato e rinviando alla udienza del 13 novembre 2014. Con provvedimento assunto alla udienza del 4 giugno 2015, il Giudice dette atto che il provvedimento di invio in mediazione era stato comunicato il 21 febbraio 2014 mentre il procedimento di mediazione risultava essere stato iniziato il 20 marzo 2014 e che la istanza depositata il 4 marzo 2014 non conteneva richiesta di proroga veniva successivamente chiesta rimessione in termini che tuttavia non veniva concessa sollevava pertanto di ufficio la questione di improcedibilità, che poi veniva decisa come sopra sintetizzato. La mediazione si chiude con verbale del 13 maggio 2015 nel frattempo era stata svolta ctu e ha esito negativo, La decisione è errata per plurimi profili. 1 La improcedibilità della azione non può essere dichiarata se non comminata dalla legge. Le ipotesi di improcedibilità sono tassative e non sono suscettibili di interpretazione analogica. Si veda per il procedimento di appello l'art. 348 c.p.c. nella interpretazione che ne dà la giurisprudenza costante della S.C. Cass. civ. Sez. III Sent., 08/05/2012, n. 6912 L'improcedibilità dell'appello è comminata dall'art. 348, primo comma, cod. proc. civ. per l'inosservanza del termine di costituzione dell'appellante, non anche per l'inosservanza delle forme di costituzione, sicché, essendo il regime dell'improcedibilità di stretta interpretazione in quanto derogatorio al sistema generale della nullità, il vizio della costituzione tempestiva ma inosservante delle forme di legge soggiace al regime della nullità e, in particolare, al principio del raggiungimento dello scopo, per il quale rilevano anche comportamenti successivi alla scadenza del termine di costituzione. Ne consegue che non può essere dichiarato improcedibile l'appello se l'appellante, nel costituirsi entro il termine di cui agli artt. 165 e 347 cod. proc. civ., ha depositato una cd. velina dell'atto d'appello in corso di notificazione -priva, quindi, della relata di notifica -, qualora egli abbia depositato, successivamente alla scadenza del termine medesimo, l'originale dell'atto notificato, conforme alla velina . Nel caso di specie la improcedibilità è comminata per il mancato esperimento del procedimento di mediazione non per la tardiva presunta istaurazione del giudizio. Come si evince dal testo normativo, è l'esperimento del procedimento di mediazione che è condizione di procedibilità della azione davanti al Giudice ordinario e nel caso di specie la mediazione iniziata solo con 15 giorni di ritardo rispetto al termina ordinatorio ha avuto regolare sviluppo e si è conclusa . Evidentemente quindi ed inoltre, ha trovato ampio riconoscimento la ratio sottesa all'esperimento di mediazione delegata la soluzione alternativa in funzione deflattiva è stata percorsa anche se inutilmente. 2 Il termine di 15 giorni è ordinatorio e non perentorio perché tale non è indicato dalla legge art. 152 II comma c.p.c. né la perentorietà si desume dallo scopo o dalla funzione esercitata dal termine, proprio perché quanto rileva non è la istaurazione, ma lo svolgimento del procedimento di mediazione Cass. civ. Sez. II, 19/01/2005, n. 1064 Poiché i termini stabiliti dal giudice per il compimento di una atto processuale sono, ai sensi dell'art. 152 c.p.c. ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta, ad essi non si applica il divieto di abbreviazione e di proroga sancito dall'art. 153 c.p.c. per i termini perentori peraltro, la proroga, anche d'ufficio, dei termini ordinatori è consentita dall'art. 154 c.p.c. soltanto prima della loro scadenza, sicché il loro decorso senza la presentazione di un istanza di proroga, determinando gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedisce la concessione di un nuovo termine, salva, per quanto riguarda la fase istruttoria della causa, la rimessione in termini prevista dall'art. 184-bis c.p.c, sempre che la decadenza si sia verificata per causa non imputabile alla parte. Assolutamente in termini la seguente recente pronuncia della Corte di Appello di Milano 04-07-2019, così in motivazione Giova sottolineare che la qualificazione del termine come ordinatorio non è decisiva ai fini della presente fattispecie, perché la dichiarazione d'improcedibilità non postula la natura perentoria del termine concesso dal giudice come affermato dagli appellanti , ma piuttosto l'effettivo mancato esperimento della mediazione alla data dell'udienza fissata dal giudice per consentire l'avveramento della condizione di procedibilità. In altre parole, la natura ordinatoria del termine –secondo l'orientamento condiviso anche da questa Corte è compatibile con la declaratoria d'improcedibilità nei casi, come quello di specie, di mancato effettivo esperimento della mediazione entro la data dell'udienza fissata per tale scopo. Infatti, pur ritenendo che, in considerazione della natura ordinatoria del termine, la domanda di mediazione possa essere presentata oltre il termine di quindici giorni assegnato dal giudice, è comunque necessario, per l'avveramento della condizione di procedibilità, che il primo incontro dinanzi al mediatore avvenga entro l'udienza di rinvio, fissata proprio per la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione, a cui è subordinata la procedibilità dell'azione. 3 La istanza del 4 marzo 2003, di revoca dell'invio in mediazione e comunque dell'esperimento giudiziale della ctu la quale poi effettivamente è stata tenuta nel tempo della mediazione poteva essere interpretata come istanza di proroga chiesta tempestivamente così testualmente il termine non perentorio indicato dal Giudice per l'attivazione della mediaconciliazione scade il 7/3/2014 , i omissis non introdurranno la procedura sino alla nuova decisione del Giudice , ma qualora il Giudice ne confermi la opportunità di uno svolgimento immediato comunicano sin d'ora che si faranno parti diligenti in tal senso. La mancata concessione della proroga comporta che il termine non si è convertito in termine perentorio e non era possibile comminare la improcedibilità art. 154 c.p.c. . 4 Laddove interpretato come principio generale dell'ordinamento, avendo l'atto raggiunto lo scopo, la sanzione della improcedibilità non può essere pronunciata art. 156 III comma c.p.c. la mediazione è stata iniziata con 15 giorni di ritardo rispetto al termine indicato , ma il procedimento si è iniziato e concluso e il mancato rispetto del termine non ha inciso sulla effettuazione del tentativo di mediazione. La interpretazione fatta propria nel caso di specie dal Giudice di I grado, cozza altresì nel risultato finale ottenuto, con i principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea laddove ripetutamente afferma la compatibilità del sistema di ADR con l'ordinamento giuridico sovranazionale a patto ed a condizione che sia comunque garantito l'accesso alla giustizia statuale. La pronuncia in oggetto si sostanzia in una denegazione di giustizia non giustificato da alcun comportamento colpevole della parte. CFR. Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 14/06/2017, n. 75/16 Come emerge dal considerando 13 della direttiva 2008/52, il carattere volontario della mediazione consiste non già nella libertà delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento, bensì nel fatto che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento. Assume quindi rilevanza non il carattere obbligatorio o facoltativo del sistema di mediazione, ma il fatto che il diritto di accesso delle parti al sistema giudiziario sia preservato. A tal fine gli Stati membri conservano la loro piena autonomia legislativa, a condizione che sia rispettato l'effetto utile della direttiva 2013/11. La improcedibilità non poteva pertanto essere pronunciata e la sentenza di I grado deve sul punto essere riformata. Occorre pertanto procedere all'esame delle ulteriori questioni proposte-In primo luogo si reitera la eccezione di incompetenza del Tribunale di Firenze per inefficacia della clausola derogatoria di cui al contratto omissis non sottoscritta ex art. 1341,11 c.c La eccezione è del tutto infondata. Gli elementi da cui trarre la valutazione di contratto concluso con moduli o formulari come ricostruito dalla giurisprudenza non sono integrati dagli elementi in atti ed in particolare dalla dimostrazione della sussistenza di un solo altro contratto uguale e stipulato con terza persona e l'aggiunta a mano dei soli dati personali e della descrizione dei dati catastali a fronte della descrizione dei numerosi patti contrattuali. Cass. civ. Sez. lavoro, 22/03/2006, n. 6314 ai fini dell'applicabilità della disciplina dettata dall'art. 1341, secondo comma, cod. civ., in merito alle clausole vessatorie contenute in condizioni generali di contratto, si ha contratto concluso a mezzo di moduli o formulari predisposti dal datore di lavoro nella specie, un'azienda di credito anche in caso di utilizzo da parte del datore di un documento informatico o file unilateralmente predisposto e destinato ad essere utilizzato per un numero indeterminato di rapporti, assimilabile al formulario in quanto documento-base destinato a fungere da modello per la riproduzione in un numero indeterminato di esemplari. Deve quindi esaminarsi il merito della opposizione a decreto ingiuntivo per l'importo di Euro 169.414,00 a titolo di penale per inadempimento al contratto omissis concluso tra le parti ed avente ad oggetto Spandimento Fanghi di depurazione in agricoltura . I omissis eccepivano la nullità del contratto, la inesistenza del credito per mancato verificarsi della condizione sospensiva data dall'ottenimento delle autorizzazioni, la inefficacia delle clausole contenute nel contratto, la inesistenza del quantum ingiunto da pagare e comunque la sua erroneità. Costituendosi il omissis contestava l'inadempimento dei omissis alle obbligazioni contratte dal omissis ed in particolare la violazione del diritto di esclusiva. Il contatto concluso tra le parti aveva ad oggetto lo spandimento di fanghi da parte del omissis su terreni del omissis . II contratto era sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio della autorizzazione da parte dell'amministrazione provinciale alla utilizzazione dei fanghi. La richiesta doveva avvenire a cura e spese del omissis . Obiettano gli omissis che tale autorizzazione non sia mai stata chiesta ed ottenuta. Come si evince anche dalla Ctu la autorizzazione venne ottenuta ed era la n. omissis . Essa tuttavia perse efficacia con la morte del omissis il omissis . La condizione sospensiva si era quindi verificata ed il contratto era pertanto divenuto efficace, avendo la successiva revoca dell'atto amministrativo effetto ex nunc. Tuttavia nel periodo di vigenza della autorizzazione sino alla data di morte del omissis dal omissis al omissis nessun danno da risarcire può essere lamentato dal omissis il quale secondo quanto verificato dal ctu non aveva la disponibilità di fanghi da spandere la quantità di fanghi rimasta inutilizzata a seguito ed decesso di omissis è pari a =0 tonnellate . Tuttavia nel periodo successivo alla morte del omissis la autorizzazione non venne volturata, né ciò avvenne per colpa degli omissis come infondatamente sostenuto dal omissis senza alcun supporto probatorio. E' in atti la richiesta di voltura alla omissis in data omissis e la nota della amministrazione provinciale di omissis che attesta la mancata voltura 22.5.2012 docc 5 e 6 . La prestazione pertanto non poteva più essere eseguita per assenza del titolo amministrativo legittimante e ciò dà ragione della insussistenza di alcun inadempimento ascrivibile agli omissis sulla base del principio di cui all'art. 1460 c.c. Inoltre l’ inadempimento che riposerebbe sulla violazione del patto di esclusiva da parte degli omissis non si è verificata. Il suo rilievo è contrario alle regole della buona fede nella esecuzione del contratto il patto non è stato violato perché lo spandimento dei fanghi è stato autorizzato a favore di una società di cui il omissis era socio omissis omissis e pertanto seppure trattasi di società formalmente soggetto distinto, nessuna sostanziale lesione dei diritti economici si è avuta, ed infatti il omissis con comportamento sostanziale e processuale valutabile, ha registrato il contratto e azionato la domanda a distanza di 11 anni dalla sottoscrizione dello stesso, cosicché deve presumersi una utilizzazione strumentale della azione giudiziale. In ogni caso l'inadempimento non avrebbe i caratteri della gravità di cui all'art. 1455 c.c. per le considerazioni sin qui svolte. L'appello deve quindi integralmente essere accolto e, riformata la sentenza di I grado, accolta la opposizione a decreto ingiuntivo con revoca dello stesso. Le spese di causa di entrambi i gradi di giudizio sono a carico della parte integralmente soccombente e pertanto anche l'appello incidentale deve essere rigettato. La domanda ex art. 96 c.p.c. non può essere accolta ratione temporis, non essendovi prova di ulteriore danno non coperto dalle spese di lite. P. Q M. Accoglie l'appello proposto da omissis contro la sentenza del Tribunale di Firenze n. omissis , che integralmente riforma. Accoglie la opposizione a decreto ingiuntivo avanzata da omissis omissis contro il d.i. del Tribunale di Firenze n. omissis che revoca. Condanna omissis al pagamento delle spese di causa sostenute da omissis per i due gradi di giudizio che liquida quanto al I grado in Euro 13430 e quanto al II grado in Euro 9515 per compensi oltre rimborso forfettario Iva e CAP di legge. Respinge l'appello incidentale avanzato da omissis avverso la sentenza del Tribunale di Firenze omissis Respinge la domanda ex art. 96 c.p.c. avanzata da omissis conto omissis .