Scioglimento della comunione di immobile abusivo: ammissibile anche all’interno di procedure fallimentari

In forza delle disposizioni eccettuative di cui all'art. 46, comma 5, d.P.R. n. 380/2001 e all'art. 40, commi 5 e 6, l. n. 47/1985, lo scioglimento della comunione ordinaria o ereditaria relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell'ambito dell'espropriazione di beni indivisi divisione cd. endoesecutiva o nell'ambito del fallimento e delle altre procedure concorsuali divisione cd. endoconcorsuale è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dall'art. 46, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dall'art. 40, comma 2, l. 28 febbraio 1985, n. 47.

Con la pronuncia del 4 gennaio 2020, la Corte d’Appello di Catania decide in ordine alla ammissibilità di una divisione di immobile abusivo in comunione, all’interno di una procedura concorsuale, ammettendo tale possibilità nel solco dell’orientamento giurisprudenziale in materia. Il caso. La sentenza in commento prende posizione in ordine alla possibilità di disporre lo scioglimento di una comunione avente ad oggetto un immobile abusivo, facente parte della massa di un fallimento. Respinta la domanda di scioglimento promossa in primo grado dalla curatela del fallimento, la domanda viene accolta in appello, sul rilievo che le eccezioni relative al divieto di commerciabilità degli immobili abusivi trovano applicazione anche alle ipotesi di scioglimento della comunione nell’ambito di una procedura concorsuale. Immobile abusivo e divieto di commerciabilità del bene. Secondo un principio generale, ai sensi dell’art. 40 l. n. 47/1985, nel caso in cui gli immobili siano stati costruiti in totale difformità dagli strumenti urbanistici vigenti, gli stessi non sono commerciabili, mentre, nel caso di abuso parziale, è opportuno ripristinare lo stato previsto nel progetto approvato. La ratio del divieto. La norma in esame, in particolare, non introduce una limitazione assoluta alla commerciabilità dei fabbricati non perfettamente corrispondenti a quanto a suo tempo autorizzato, per cui ogni difformità o intervento successivo minore sull'esistente, se abusivo, non impedisce il trasferimento dei fabbricati o di loro parti o unità immobiliari se non nel caso in cui manchi totalmente la licenza o la concessione, ossia il fabbricato o l'unità immobiliare sia totalmente abusivo. La ratio della norma in esame va ravvisata nell'intento di prevenire gli abusi edilizi anche mediante la sanzione della incommerciabilità degli immobili realizzati in difetto delle necessarie autorizzazioni e, ove queste siano state conseguite, mediante il richiamo dell'attenzione dell'acquirente sulla necessità di accertare la regolarità dell'immobile attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella progettuale consacrata nella concessione. Nullità testuale o virtuale? Secondo la giurisprudenza, peraltro, nei negozi di trasferimento di diritti reali e di locazione finanziaria di beni immobili la difformità del titolo abilitativo alla costruzione dalla normativa urbanistica, specie se in materia di distanze, non integra di per sé sola una ragione di nullità, poiché la sanzione ex art. 46 d.P.R. n. 380/2001, da qualificarsi come nullità testuale , riguarda la mancata inclusione nell'atto negoziale degli estremi del titolo abilitativo, il quale deve essere realmente esistente e riferibile all'immobile, ma non anche la sostanziale illegittimità urbanistica del bene. Con l’espressione nullità testuale”, quindi, in stretta adesione al dato normativo, deve intendersi un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione, in detti atti, degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell'immobile. Quali atti sono colpiti dal divieto di commerciabilità? Oltre agli atti di trasferimento, per quanto di interesse in questa sede, anche gli atti di scioglimento della comunione - ereditaria o ordinaria - sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dall'art. 46, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 già art. 17 l. n. 47/1985 e dall'art. 40, comma 2, l. n. 47/1985, prevista per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti, ove da essi non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria. Trasferimenti e sanatoria. Nell’ambito delle nullità sopra descritte, la legge stessa prevede una particolare esenzione, in quanto dette nullità – e le relative sanzioni – non si estendono ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali, di talché anche l'immobile abusivo non sanabile può costituire oggetto di vendita forzata, purché ciò sia dichiarato nel bando di vendita. Scioglimento della comunione e sanatoria. Da quanto sopra riferito, e considerato che anche lo scioglimento di una comunione rappresenta un trasferimento”, si deve quindi concludere, come espresso dalla massima, che lo scioglimento della comunione ordinaria o ereditaria relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell'ambito dell'espropriazione di beni indivisi divisione c.d. endoesecutiva o nell'ambito del fallimento e delle altre procedure concorsuali divisione c.d. endoconcorsuale è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, comma 1, e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2. Scioglimento della comunione e richiesta del coerede. Nel caso di specie, inoltre, si afferma il diritto del singolo coerede a richiedere lo scioglimento della comunione , allorquando tra i beni costituenti l'asse ereditario vi siano edifici abusivi anche in tale ipotesi, infatti, ogni coerede ha diritto, ai sensi all'art. 713, comma 1, c.c., di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l'intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti. Rendiconto e scioglimento della comunione. La sentenza in commento prende posizione anche in ordine alla richiesta di rendiconto da parte dei coeredi nei confronti di colui che ha occupato l’immobile, con riferimento alla peculiare situazione di abusività dell’immobile. Poiché sussiste autonomia tra il procedimento di divisione e l'azione di rendiconto, nell'ambito dei rapporti tra coeredi la resa dei conti può essere inserita nel procedimento divisorio, ai sensi dell'art. 723 c.c., con la finalità di definire i rapporti interni inerenti la comunione ma può svolgersi anche indipendentemente dal giudizio di divisione. Si tratta, in questo caso, di un obbligo a sé stante, fondato sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti.

Corte d’Appello di Catania, sez. II Civile, sentenza 19 dicembre 2019 – 4 gennaio 2020, numero 24 Presidente Dipietro – Relatore Lo Truglio Svolgimento del processo Con atto di citazione dell’11.06.2014 la curatela del Fallimento di omissis comproprietario unitamente alla Sig.ra Anumero del villino sito in omissis , conveniva in giudizio quest’ultima al fine di pronunciare lo scioglimento della comunione e procedere, se possibile, alla divisione in natura del citato immobile. Chiedeva altresì la determinazione delle quote e dei frutti civili da rapportarsi ai canoni di locazione percepibili dallo stesso cespite, ovvero, in caso di impossibilità o di difficoltà nella divisione in natura, procedere alla vendita dei beni, con assegnazione alla curatela della relativa quota 1/2 ed ordinare alla Sig.ra omissis di rendere il conto della gestione dei beni indivisi con condanna della stessa alla corresponsione dei frutti civili dovuti per il godimento dell’immobile limitatamente alla quota di proprietà della curatela. Si costituivano in giudizio Unicredit Credit Management Bank S.p.A., creditrice privilegiata dei coniugi omissis e Riscossione Sicilia S.p.A., creditrice privilegiata di Anumero , chiedendo entrambe il riconoscimento del proprio privilegio ipotecario. Anumero comproprietaria , Al. creditore ipotecario e Fallimento Euromar s.r.l. in liquidazione creditore trascritto rimanevano contumaci. Espletata C.T.U., il Tribunale definiva il giudizio ex art. 281 sexies c.p.c. all’udienza del 06.02.2017 con sentenza numero 210/2017, con la quale revocava l’ordinanza resa in data 21.03.2016 che aveva disposto lo scioglimento della comunione sull’immobile oggetto di divisione, rigettava la domanda di scioglimento della comunione e compensava integralmente fra le parti costituite le spese di lite. Avverso detta sentenza ha proposto appello il Fallimento di omissis per i motivi di cui si dirà appresso. Si è costituito in giudizio Riscossione Sicilia S.p.A. chiedendo di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla eventuale vendita dell’immobile. Unicredit Credit Management Bank S.p.A., Anumero , Al., omissis ed Sa. gli ultimi due citati quali ex soci della Euromar s.r.l. in liquidazione sono rimasti contumaci. All’udienza del 24.09.2019 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata posta in decisione. Motivi della decisione Preliminarmente va dichiarata la contumacia di Unicredit Credit Management Bank S.p.A., Anumero , Al., ed Sa. non costituitisi seppure regolarmente citati. Con il primo motivo di appello la curatela del Fallimento lamenta l’erronea applicazione dell’art. 46 del D.P.R. 380/2001 da parte del primo giudice, ritenendo che al presente giudizio di divisione, pur avendo ad oggetto un immobile abusivo”, debba applicarsi il V comma del citato art. 46 secondo il quale le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali” , trattandosi di una divisione strettamente connessa con la procedura fallimentare pendente e della quale costituirebbe modalità di liquidazione dell’attivo fallimentare. Il motivo è fondato e di conseguenza va disposto lo scioglimento della comunione nei termini che seguono. Di recente le Sezioni Unite della Suprema Corte sentenza numero 25021 del 16.04.2019, dep. il 7.10.2019 , chiamate a risolvere una questione di massima di particolare importanza”, nell’ambito di una vicenda processuale analoga a quella in esame rimessa al Primo Presidente dalla Seconda Sezione Civile con ordinanza interlocutoria numero 25836 del 16 ottobre 2018 , ha chiarito cosa debba intendersi per atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali” art. 46, comma 5, del D.P.R. numero 380 del 2001 e per trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali” art. 40, comma 5, della legge numero 47 del 1985 . A tal proposito, con ampia e condivisibile motivazione, ha così stabilito nessuno dubita che la vendita forzata, posta in essere in sede di esecuzione immobiliare individuale o in sede concorsuale, sia sottratta alla generale comminatoria di nullità prevista per gli atti tra vivi, aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici, privi delle c.d. menzioni urbanistiche. Si tratta, in questa sede, di stabilire se tale esclusione dalla comminatoria di nullità valga anche per lo scioglimento della comunione finalizzata alla esecuzione individuale o concorsuale. Orbene, ritiene il Collegio che le disposizioni eccettuative di cui sopra si applicano anche alle divisioni endoesecutive e a quelle endoconcorsuali. Innanzitutto, sul piano dell'interpretazione letterale, l'uso del plurale nella espressione Le nullità di cui al presente articolo non si applicano ”, contenuta nell'art. 46, comma 5, del D.P.R. numero 380 del 2001 ma, analogamente, nell'art. 40, comma 5, della legge numero 47 del 1985 ed il carattere generale e onnicomprensivo di tale rinvio significano chiaramente che il legislatore ha inteso riferirsi all'intera serie degli atti colpiti dalla sanzione della nullità ai sensi della medesima disposizione. Pertanto, poiché - alla stregua di quanto in precedenza osservato - l'atto di scioglimento della comunione anche ereditaria avente ad oggetto fabbricati abusivi rientra tra gli atti tra vivi colpiti dalla comminatoria di nullità di cui agli artt. 46 del D.P.R. numero 380 del 2001 e 40 della legge numero 47 del 1985, deve ritenersi che tale atto, ove afferente a procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali , sia parimenti compreso tra quelli sottratti alla comminatoria di nullità. In secondo luogo, poi, sempre sul piano dell'interpretazione letterale, va considerato che il legislatore, con l'espressione atti derivanti da procedure esecutive immobiliari”, mostra di volersi riferire ad un novero di atti più ampio di quelli facenti parte stricto sensu della procedura di espropriazione forzata immobiliare. Tale locuzione, indubbiamente, è tale da includere non solo le vendite poste in essere nell'ambito della procedura esecutiva, ma anche le divisioni disposte, con separato giudizio, nell'ambito e previa sospensione del medesimo procedimento esecutivo. Anche l'espressione trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali”, di cui all'art. 40, comma 5, della legge numero 47 del 1985, è tale da includere gli atti di divisione dell'immobile abusivo considerato, peraltro, che - come si è detto supra, par. 5.3.2. - agli atti divisionali va riconosciuta efficacia costitutivo-traslativa. D'altra parte, come sì è veduto, nell'ambito del procedimento di espropriazione della quota, la divisione costituisce lo strumento principale previsto dalla legge per soddisfare il credito de quo agitur. Impedire la divisione dell'edificio privo di legittimità urbanistica vorrebbe dire, perciò, ridurre l'espropriazione forzata alla vendita della quota indivisa, indirizzandola così verso esiti economicamente irrisori quanto al possibile ricavato. E invece la legge punta a massimizzare il risultato della esecuzione forzata. In tal senso depongono le disposizioni eccettuative in esame, laddove esse prevedono, in favore dell'aggiudicatario dell'immobile abusivo, la riapertura dei termini per presentare domanda di sanatoria dell'abuso quando consentita . In sostanza, sia la lettera delle disposizioni di cui agli artt. 46, comma 5, del D.P.R. numero 380 del 2001 e 40, commi 5 e 6, della legge numero 47 del 1985 sia la loro la ratio normativa depongono nel senso che la divisione endoesecutiva e quella endoconcorsuale sono sottratte alla comminatoria di nullità prevista per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi. Considerato il carattere unitario del fenomeno divisorio, è appena il caso di osservare che non vi sono ragioni per distinguere tra scioglimento della comunione ordinaria e scioglimento della comunione ereditaria le disposizioni eccettuative sopra esaminate sottraggono entrambe le divisioni alla comminatoria di nullità di cui agli artt. 46, comma 1, del D.P.R. numero 380 del 2001 e 40, comma 2, della legge numero 47 del 1985. In definitiva, deve ritenersi che, con le disposizioni di cui agli artt. 46, comma 5, del D.P.R. numero 380 del 2001 e 40, commi 5 e 6, della legge numero 47 del 1985, la legge ha inteso esentare dalla comminatoria di nullità tutti gli atti finalizzati a portare a termine la procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale. Tra tali atti va compresa la divisione dell'edificio abusivo, di cui il debitore sia comproprietario pro quota, da disporsi con apposito giudizio divisorio, comunque inserito nell'ambito del processo di espropriazione individuale e vanno compresi gli atti di divisione, contrattuali o giudiziali, promossi dal curatore in seno al procedimento fallimentare disciplinato dal r.d. 16 marzo 1942 numero 267 e successive modificazioni la cui disciplina continua ad applicarsi alla presente causa ratione temporis, considerato che il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza , introdotto dal D.Lgs. 12/01/2019 numero 14, non sì applica alle procedure di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, le quali - ai sensi dell'art. 390 D.Lgs. numero 14 del 2019 -continuano ad essere regolate dalla precedente disciplina o dall'omologo organo gestorio delle altre procedure concorsuali. Ciò premesso, circa la possibilità di procedere al chiesto scioglimento della comunione tra omissis e per esso il curatore fallimentare e la moglie Anumero , occorre evidenziare - circostanza pacifica e non contestata - che il consulente tecnico d’ufficio v. CTU in atti ha acclarato che a il bene dividendo, costituito da un immobile sito in omissis , in comproprietà tra il fallito omissis e la consorte Anumero è stato interessato, tra il 2003 ed il 2004, da interventi edilizi che hanno sostanzialmente modificato la pianta originaria del piano terra” per una descrizione dettagliata degli stessi si rimanda a pag. 8 della perizia in atti e che hanno comportato l’edificazione ex novo di una dependance sul retro del villino anch’essa meglio descritta a cit. pag. 8 della C.T.U. b tali interventi edilizi sono stati effettuati in assenza di qualunque titolo amministrativo abilitativo, né è stata successivamente presentata alcuna istanza di sanatoria alle competenti autorità c il bene – includendosi anche i citati manufatti abusivi – costituisce un unicum inscindibile e non comodamente divisibile, poiché la peculiarità geometrica del fabbricato e le sue dimensioni ridotte non permetterebbero una materiale ripartizione dell’immobile senza che le due entità abbiano a subire particolari limitazioni funzionali e/o condizionamenti tali da pregiudicarne l’originario valore del cespite” cfr. pag. 34 della C.T.U. . Poste le superiori risultanze, agli effetti della domanda di scioglimento della comunione proposta dal Fallimento non è dato prescindere dalle opere indicate, risultando manifesto che le stesse – in particolare, la menzionata dependance -non denotino carattere precario anzi, integrando esse costruzioni strutturalmente saldate al suolo e destinate ad uso abitativo, può condividersi il rilievo del consulente d’ufficio circa la sussistenza, nel caso di specie, di un complesso edilizio unitario ed inscindibile, tanto da un punto di vista strutturale, quanto da un punto vista funzionale. L’immobile in oggetto non è, infatti, naturalmente suscettibile di divisione fisica, non è possibile formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, la eventuale divisione in natura richiederebbe opere di demolizione e/o ricostruzione complesse e di notevole costo e comunque le singole porzioni subirebbero un notevole deprezzamento rispetto al valore complessivo dell’immobile. Non sono state, peraltro, mai avanzate durante le operazioni peritali o nel corso del giudizio di I grado, né tanto meno nel corso del presente giudizio, istanze di attribuzione da parte di uno dei due proprietari dell’immobile ex art. 720 c.c. . Non può, pertanto, che farsi luogo alla vendita all’incanto dell’intero bene per il complessivo prezzo di Euro 207.780,00 come da c.t.u. in atti , con le modalità che saranno fissate con apposita ordinanza all’esito del passaggio in giudicato della presente sentenza. Seguirà l’attribuzione pro quota del ricavato in favore della curatela del Fallimento nella misura del 50% ed alla ripartizione della restante parte in quota a Anumero tenendo conto dei relativi creditori ipotecari e/o iscritti. Con il secondo motivo l’appellante ha lamentato l’”omessa decisione su un punto decisivo e su parte della domanda attorea”, facendo riferimento all’omessa pronuncia del Tribunale di Siracusa circa la richiesta applicazione alla fattispecie del comma V dell’art. 46 del D.P.R. 380/2001 ed all’omessa statuizione sulla originaria domanda avanzata in citazione inerente la resa dei conti della gestione dei beni indivisi da parte della comproprietaria convenuta e la conseguenziale condanna di quest’ultima alla corresponsione dei frutti civili dovuti per il godimento dell’immobile. Sull’applicazione alla vicenda in esame del comma V dell’art. 46 del D.P.R. 380/2001 si richiamano le argomentazioni che precedono. In ordine, invece, alla domanda di rendiconto e condanna al pagamento dei frutti dell’immobile in comunione l’appello è fondato atteso che il giudice di prime cure ha omesso qualunque motivazione e/o statuizione sul punto. Risulta pacifico e non contestato che l’immobile in oggetto è abitato ed utilizzato dai due coniugi omissis come peraltro accertato dal C.T.U. in I grado, e che la comproprietaria - rimasta contumace - non ha mai versato alcunché al Fallimento quale corrispettivo del suo godimento, nella misura del 50% pari alla quota di comproprietà del bene . Per consolidata e condivisibile giurisprudenza di legittimità, l'azione di rendiconto costituisce un'azione autonoma e distinta rispetto alla domanda di scioglimento della comunione. La ratio dell'obbligo del rendiconto risiede nel fatto che chiunque svolga attività nell'interesse di altri deve portare a conoscenza di questi, secondo il principio della buona fede, gli atti posti in essere e, in particolare, quegli atti da cui scaturiscono partite di dare e avere. Pertanto, tra coeredi, la resa dei conti, di cui all'art. 723 c.c., oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio e quindi finalizzata a calcolare nella ripartizione dei frutti le eventuali eccedenze attive o passive della gestione e di definire conseguentemente tutti i rapporti inerenti alla comunione, può anche costituire obbligo a sè stante, fondato, pari di quanto può avvenire in qualsiasi stato di comunione, sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da alcuno dei partecipanti, in base ad assunzione volontaria o ad un mandato ad amministrare Cass. 30 dicembre 2011, numero 30552 Cass. 7 giugno 1993, numero 6358 Cass. 13 novembre 1984, numero 5720 . Ne consegue che l'azione di rendiconto può presentarsi distinta e autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, ancorché l'una e l'altra abbiano dato luogo a un unico giudizio, di modo che - tranne che per la comunanza di eventuali questioni pregiudiziali, attinenti, ad esempio, all'individuazione dei beni caduti in successione o all'identità delle quote dei coeredi, da risolvere incidenter tantum o con efficacia di giudicato art. 34 c.p.c. -le due domande possono essere scisse e ciascuna può essere decisa separatamente senza reciproci condizionamenti Cass. 30 dicembre 2011, numero 30552 . Da ciò consegue quindi che l'azione di rendiconto può essere anche autonomamente proposta anche ove siano definite le questioni pertinenti alla divisione ereditaria v. Cassazione civile sez. II, 04/06/2019 numero 15182 Cassazione civile sez. II, 16/07/2018, numero 18857 . La resa del conto fra comproprietari, richiesta nel caso in esame dal fallimento di uno dei coniugi, comprende qualsiasi vicenda idonea a generare debiti dei singoli e corrispondenti crediti proporzionale degli altri, e quindi non solo atti di amministrazione attuati mediante la cessione del godimento della cosa a terzi a titolo oneroso, ma anche il godimento diretto, come nel caso in esame. Ai fini della determinazione dei frutti che uno dei condividenti deve corrispondere in relazione alla detenzione di un immobile oggetto di divisione giudiziale, occorre far riferimento ai frutti civili, i quali, identificandosi nel corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri Cass. numero 1528/1985 , ben possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato Cass. numero 5504/2012 ed il carattere abusivo dell'immobile non pregiudica la validità di un ipotetico contratto di locazione Cassazione civile sez. II, 03/07/2019, numero 17876 . I frutti civili dovuti da A. possono, pertanto, essere liquidati tenendo conto del valore locativo dell’immobile determinato dal C.T.U. in I grado nella complessiva misura di Euro 800,00 mensili, con riferimento al villino di due piani fuori terra sito in Augusta, via Salvador Dalì, 8 ex contrada Beneficio pag. 26 della relazione . Atteso che l’immobile oggetto di causa comprende anche un annesso terreno circostante mq. 506 ed una depandance mq. 21 , il valore locativo può ragionevolmente determinarsi in complessivi Euro 900,00 mensili. Anumero va, pertanto, condannata a pagare al Fallimento odierno appellante la complessiva somma di Euro 29.700,00 pari ad Euro 450,00 x 66 mesi – dal 24.06.2014 al 24.12.2019 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. Tenuto conto della complessità della questione giuridica inerente la domanda di divisione, oggetto di orientamenti giurisprudenziali contrastanti che soltanto di recente ha visto l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, sussistono valide ragioni ex art. 92 comma 2 c.p.c., per porre a carico di Anumero le spese di lite sostenute dal Fallimento di omissis di entrambi i gradi del giudizio, nella misura del 50%, che si liquidano come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva effettivamente svolta, compensando per il resto le altre spese di lite sostenute dal Fallimento e dalle altre parti costituite. Le spese divisionali che si renderanno necessarie per l’attuazione concreta della divisione vanno poste a carico dei comproprietari del bene immobile in oggetto, in proporzione alle rispettive quote 1/2 Fallimento ed 1/2 A. . Non ripetibili le spese sostenute con riferimento alle parti appellate non costituite. Con separata ordinanza viene fissata la prossima udienza al fine di determinare, all’esito del passaggio in giudicato della presente sentenza, le modalità di vendita del bene immobile in oggetto. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando ex art. 279 comma 2 numero 5 c.p.c., in accoglimento dell’appello proposto dal Fallimento di omissis nei confronti di Anumero , Al., Riscossione Sicilia S.p.A., Unicredit Credit Management Bank S.p.A., omissis ed Sa. annulla la sentenza numero 210/2017 emessa dal Tribunale di Siracusa – II Sezione Civile in data 06.02.2017 e dispone che allo scioglimento della comunione sul Villino di due piani fuori terra sito in territorio di omissis , accessori, sottotetto non abitabile, veranda, balcone, depandance ed ogni altra pertinenza individuato al N.C.E.U. di omissis , si provvederà mediante vendita per il complessivo prezzo di Euro 207.780,00 a seguito del passaggio in giudicato della presente sentenza, con distribuzione del ricavato secondo le quote indicate in parte motiva. Condanna Anumero al pagamento in favore del Fallimento di omissis della somma di Euro 29.700,00 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, per le ragioni di cui in parte motiva. Condanna Anumero alla rifusione delle spese di lite, nella misura del 50%, relative al primo grado di giudizio, sostenute dal Fallimento di ammesso al patrocinio a spese dello Stato ex art. 144 del D.P.R. 115/2002 , che liquida in complessivi Euro 4.000,00 così ridotti della metà ex art. 130 del D.P.R. 115/2002 , di cui Euro 750,00 per la fase di studio, Euro 700,00 per la fase introduttiva, Euro 1.350,00 per la fase istruttoria ed Euro 1.200,00 per la fase decisoria, oltre IVA, CPA e rimb. spese generali 15% , oltre alle eventuali spese anticipate dall’Erario e prenotate a debito, e dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato ex art. 133 D.P.R. 115/2002 , compensando la restante parte 50% e le ulteriori spese di lite inerenti le altre parti costituite. Condanna Anumero alla rifusione delle spese di lite, nella misura del 50%, relative al presente giudizio di appello, sostenute dal Fallimento di omissis ammesso al patrocinio a spese dello Stato ex art. 144 del D.P.R. 115/2002 , che liquida in complessivi Euro 5.000,00 così ridotti della metà ex art. 130 del D.P.R. 115/2002 , di cui Euro 1.500,00 per la fase di studio, Euro 1.000,00 per la fase introduttiva ed Euro 2.500,00 per la fase decisoria, oltre IVA, CPA e rimb. spese generali 15% , oltre alle eventuali spese anticipate dall’Erario e prenotate a debito, e dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato ex art. 133 D.P.R. 115/2002 , compensando la restante parte 50% e le ulteriori spese di lite inerenti le altre parti costituite. Non ripetibili le spese inerenti gli appellati non costituiti. Dispone la prosecuzione del giudizio per la determinazione delle modalità di vendita come da separata ordinanza.