La sentenza deliberata dal giudice collocato a riposo si considera pronunciata a non iudice

Nelle ipotesi in cui la decisione è deliberata quando il decidente, per essere collocato a riposo, esce dall’ordine giudiziario, essa risulta pronunciata a non iudice ed è, perciò, nulla ai sensi dell’art. 161, comma 2, c.p.c

Sul punto torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 5137/20, depositata il 26 febbraio. La vicenda. La Corte d’appello, adita in secondo grado avverso la decisione di risarcimento in solido per l’erronea valutazione di un locale nell’ambito di una cartolarizzazione di immobili pubblici, dichiarava la nullità dell’impugnata pronuncia per difetto di sottoscrizione del giudice con conseguente rimessine degli atti al giudice di primo grado. Il motivo di gravame. In particolare, era successo che la causa era stata trattenuta in decisione dal giudice di primo grado, ma era stata decisa con sentenza pubblicata successivamente, quando il decidente era cessato dall’ufficio per collocamento a riposo, pertanto, la sentenza essendo stata pronunciata da un soggetto che non apparteneva più all’ordine giudiziario doveva ritenersi emessa a non iudice . Intervengono così i Giudici di legittimità, ai quali il ricorrente denuncia il fatto che la Corte d’Appello, così facendo, non si sarebbe attenuta al principio dell’ultrattività delle funzioni giudiziarie. Sentenza pronunciata a non iudice. Secondo costante insegnamento giurisprudenziale, il momento della pronuncia della sentenza va identificato con quello della deliberazione della decisione e le successive fasi dell’iter formativo dell’atto processuale, ossia la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e successiva pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia pertanto, ai fini dell’esistenza, validità ed efficacia di essa, è irrilevante che, dop la decisione, il giudice per circostanze sopravvenute, come il trasferimento o il collocamento a riposo, sia cessato dalle funzioni presso l’ufficio investito della controversia. Ciononostante, nel caso di specie, posto che la Corte d’Appello è giudice del fatto processuale, può accedere agli atti processuali e alla consultazione dl fascicolo di parte in cui è inserita copia della sentenza impugnata, la quale reca quale data di deliberazione quella successiva alla data di collocamento a riposo del decidente. Ne discende, dunque, il rigetto del ricorso, in virtù del fatto che essendo la decisione stata deliberata quando il decidente, collocato a riposo, era uscito dall’ordine giudiziario, l’impugnata sentenza risulta pronunciata a non iudice , come correttamente affermato dalla Corte distrettuale, ed è nulla ex art. 161, comma 2, c.p.c

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 19 novembre 2019 – 26 febbraio 2020, n. 5137 Presidente Campanile – Relatore Marulli Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Roma, investita del gravame proposto dall’INPS avverso la condanna in primo grado a risarcire in solido con gli altri intimati il danno procurato a B.F. per l’erronea valutazione un locale ad uso di cantina acquisito dal B. nell’ambito della cartolarizzazione degli immobili pubblici, ha dichiarato la nullità dell’impugnata decisione per difetto di sottoscrizione del giudice ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 2, con conseguente rimessione degli atti al giudice di primo grado a mente dell’art. 354 c.p.c., comma 1. Nella specie, osservava il decidente, la causa era stata trattenuta in decisione dal giudice di primo grado all’udienza del 25.10.2006, ma era stata decisa con sentenza pubblicata il 21.12.2009 allorché il prefato decidente era cessato dall’ufficio per collocamento a riposo a far tempo dal 24.9.2018, sicché la sentenza, essendo stata pronunciata da un soggetto non più appartenente all’ordine giudiziario, doveva ritenersi emessa a non iudice per gli effetti di cui alle norme dianzi citate. Per la cassazione di detta sentenza insiste il B. con un solo motivo di ricorso, cui resistono con controricorso tutti gli intimati, ad eccezione di F.V. e C.P. che non hanno svolto attività processuale. Ragioni della decisione 2. Con il primo motivo di ricorso - alla cui disamina non ostano le preclusioni eccepite dall’INPS e dalla Zurich poiché l’illustrazione del motivo rende puntualmente conto delle ragioni di critica che il ricorrente intende muovere alla decisione impugnata - il B. lamenta la violazione dell’art. 161 c.p.c., comma 2, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 5, art. 281 quinquies c.p.c., e art. 354 c.p.c., comma 1, posto che la Corte d’Appello, nel pronunciarsi nei riferiti termini, non si sarebbe attenuta al principio dell’ultrattività delle funzioni giudiziarie e non avrebbe considerato che ai fini di valutare se il decidente sia provvisto della necessaria potestas iudicandi occorre riferirsi al momento in cui la sentenza è deliberata, di guisa che la sentenza di primo grado non poteva perciò reputarsi nulla essendo stata la causa trattenuta in decisione prima del collocamento a riposto del magistrato che aveva pronunciato su di essa. 3. Il motivo è infondato. Eppur vero che secondo il costante intendimento di questa Corte il momento della pronuncia della sentenza - momento nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all’ufficio per potere adottare un provvedimento giuridicamente valido - va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre le successive fasi delriter formativo dell’atto, e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia, sicché, ai fini dell’esistenza, validità ed efficacia di quest’ultima, è irrilevante che, dopo la decisione, il giudice singolo, o uno dei componenti di un organo collegiale, per circostanze sopravvenute, come il trasferimento, il collocamento fuori ruolo o a riposo, la mancata riconferma nell’incarico di giudice onorario o la cessazione del suo periodo di reggenza dell’ufficio, sia cessato dalle funzioni presso l’ufficio investito della controversia Cass., Sez. III, 27/06/2006, n. 23191 . Tuttavia nella specie consta dall’esame della sentenza di primo grado - che la Corte può ben compulsare in quanto, in ragione della natura del vizio denunciato, essa è nell’occasione giudice del fatto processuale e può perciò accedere agli atti processuali e, segnatamente, alla consultazione del fascicolo dell’appellante in cui, a mente dell’art. 347 c.p.c., comma 2, è inserita copia della sentenza impugnata - che essa, in ottemperanza all’indicazione prescritta dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 5, reca quale data di deliberazione la data del 10.11.2009 che è successiva a quella di collocamento a riposo del decidente avvenuto il 24.9.2018. La circostanza esclude che si possa dare applicazione, come pretenderebbe invece il deducente, all’ulteriore precisazione pure operata dal citato precedente di questa Corte, che individua la data di deliberazione nel momento in cui il giudice poteva e doveva deciderla - che, essendo la controversia decisa dal tribunale in composizione monocratica, coinciderebbe con il 16.1.2007 e quindi sarebbe antecedente al collocamento a riposo - dato che la precisazione è rilevante nel solo caso in cui manchi la data della deliberazione e non quando essa figuri apposta in calce alla sentenza in ossequio alla citata prescrizione dell’art. 132 c.p.c 4. Ne discende perciò che essendo stata deliberata quando il decidente, per essere collocato a riposo, era già uscito dall’ordine giudiziario, l’impugnata sentenza risulta pronunciata, come rettamente ravvisato dal decidente del grado, a non iudice ed essa è perciò nulla ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 2. 5. Il ricorso va dunque respinto. 6. Le spese seguono la soccombenza. Ove dovuto il raddoppio del contributo, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuno degli intimati costituitosi in Euro 1700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge. Ove dovuto il raddoppio del contributo, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.