La prova nel giudizio di secondo grado

L’unico caso in cui la produzione documentale nuova è tuttora ammissibile in appello, è costituito da una causa non imputabile alla parte, ossia dal caso fortuito o dalla forza maggiore. La formulazione del terzo comma dell’art. 345 c.p.c. sottolinea ed accentua la natura del giudizio d’appello come mera revisio prioris instantiae” anziché come iudicium novum”.

È quanto si legge nell’ordinanza n. 2764/2020 della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata il 6 febbraio Il caso. Con sentenza n. 933/2016 il Tribunale di Latina rigettava l’opposizione proposta avverso il Decreto Ingiuntivo n. 3/2011 emesso nei confronti della M.N. s.r.l. per il mancato pagamento di alcune fatture richiesto dalla curatela del fallimento C.M. s.r.l Parimenti, anche la Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 6084/2017 rigettava il gravame proposto dalla M.N. s.r.l quale, quindi, presentava ricorso per cassazione basato su un unico motivo di doglianza. In particolare, M.N. s.r.l. lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in quanto la Corte di merito, non ammettendo in appello l’acquisizione della quietanza di pagamento, avrebbe omesso di ricercare la verità sostanziale ai sensi dell’art. 111 della Costituzione. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. La prova nel giudizio di appello. L’art. 345 c.p.c., rubricato domande ed eccezioni nuove” al terzo comma sancisce che non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”. Tale comma è il risultato della modifica apportata dal d.l. 22 giugno 2012 n. 82 conv. L. n. 134/2012. Si rende necessario precisare che, per giurisprudenza e dottrina costante, sono considerati nuovi” quei mezzi di prova mai proposti in ordine a nessun fatto dedotto in giudizio, nonché quelli diretti a dimostrare un fatto che già in primo grado è stato oggetto di accertamento, ma mediante un mezzo istruttorio diverso. A mero titolo esemplificativo è da considerarsi nuova la prova testimoniale richiesta in appello quando abbia ad oggetto circostanze che, nel giudizio di primo grado, abbiano formato oggetto di prova documentale. La ratio della disposizione de qua è da ricercarsi nella necessità di garantire la piena attuazione del principio del doppio grado di giurisdizione in forza del quale dopo la decisione di primo grado in un giudizio, ma prima di quello di legittimità della Corte di Cassazione, è ammessa la possibilità di un riesame della questione da parte di un diverso organo giudicante. Nella formulazione previgente, diversamente, il giudice era tenuto a valutare l’indispensabilità della prova prima di dichiararla inammissibile per tardività. In particolare costituisce o meglio, costituiva prova indispensabile nel giudizio di appello quella idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” ex multis Cass. n. 24164/2017 . In definitiva, per effetto della novella del 2012, è venuta meno l’ipotesi della indispensabilità della prova e l’unico caso in cui la produzione documentale nuova è tuttora ammissibile in appello, è costituito da una causa non imputabile alla parte, ossia dal caso fortuito o dalla forza maggiore. La formulazione del comma 3 dell’art. 345 c.p.c. oggi vigente sottolinea ed accentua la natura del giudizio d’appello come mera revisio prioris instantiae anziché come iudicium novum . Tempus regit actum. Nella materia processuale, a seguito di una riforma legislativa priva di una disciplina transitoria, trova applicazione il principio tempus regit actum , ad onor del qual ogni atto è regolato dalla legge del tempo in cui esso si verifica. Il principio de quo, che in generale esprime il precipitato della irretroattività e di non ultrattività della legge, ha una particolare rilevanza nel diritto processuale, dal momento che una controversia giudiziale non ancora passata in giudicato deve essere decisa in base al diritto sopravvenuto in corso di causa. Con particolare riferimento alla novella dell’art. 345, comma 3, c.p.c., in difetto di una disciplina transitoria, per tutte le impugnazioni relative a sentenze di primo grado pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della l. n. 134/2012 cioè 11 settembre 2012 trova applicazione il nuovo testo della disposizione del codice di rito più volte richiamata. Nel caso di specie, poiché la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 18 maggio 2016, la disciplina applicabile è quella oggi vigente ossia la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. . In altri termini, nel giudizio di appello, l’art. 345 c.p.c. così come novellato nel 2012, è applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 in poi e pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno quel carattere di indispensabilità che, invece, costituiva criterio selettivo nella formulazione previgente, fatto salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado. Si assiste, quindi, all’accentuazione del principio di lealtà processuale che impone di dedurre immediatamente tutte le possibili difese.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 4 luglio 2019 – 6 febbraio 2020, n. 2764 Presidente Lombardo – Relatore Falaschi Fatti di causa e ragioni della decisione Il Tribunale di Latina, con sentenza n. 933 del 2016, rigettava l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 3 del 2011, emesso nei confronti della M.N. s.r.l per il mancato pagamento di alcune fatture, richiesta dalla curatela del fallimento omissis s.r.l. e per l’effetto lo confermava con condanna dell’opponente alla refusione delle spese di lite. In virtù di rituale appello interposto dalla M.N. s.r.l., la Corte di appello di Roma, nella resistenza del fallimento appellato, con sentenza n. 6084 del 2017, rigettava l’impugnazione. Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, la M.N. s.r.l. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo. La curatela del fallimento è rimasta intimata. Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore della ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Atteso che - con l’unico motivo la società ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nonché dei principi del giusto processo. In particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte di merito, non ammettendo in appello l’acquisizione della quietanza di pagamento, sebbene rinvenuta solo nel mese di ottobre 2016, a seguito di ristrutturazione dei locali, avrebbe omesso di ricercare la verità sostanziale, ai sensi dell’art. 111 Cost Il motivo è privo di pregio. La sentenza impugnata, nel giustificare l’inammissibilità della produzione documentale tardiva, ha fatto richiamo del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, art. 54, comma 1, lett. 0b , del, come convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, in virtù del quale non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile . Infatti, la vecchia formulazione dell’art. 345 c.p.c. non più vigente, in base alla quale il giudice era tenuto a valutare l’indispensabilità della prova, prima di dichiararla inammissibile per tardività, risulta superata dalle modifiche apportate dal citato D.L. n. 83 del 2012. Nel caso di specie, quindi, deve trovare applicazione il nuovo testo della disposizione in commento, giacché la modifica dell’art. 345 c.p.c., comma 3, operata dal D.L. n. 83 del 2012, trova applicazione, in difetto di una disciplina transitoria ed in virtù del principio tempus regit actum, per tutte le impugnazioni relative a sentenze di primo grado pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, di conv. del citato D.L. n. 83, e, cioè, dal giorno 11 settembre 2012 Cass. 14 marzo 2017 n. 6590 . Quindi, nella specie, poiché la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 18 maggio 2016, la disciplina applicata dal giudice d’appello a sostegno della propria decisione è stata correttamente individuata. In particolare, per effetto della citata novella, il testo dell’art. 345 c.p.c., comma 3, è stato modificato sopprimendo le parole .salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero . . In sostanza, è venuta meno l’ipotesi della indispensabilità della prova e l’unico caso in cui la produzione documentale in appello è tuttora ammissibile è costituito da una causa non imputabile alla parte, ossia dal caso fortuito o dalla forza maggiore, circostanza non provata dalla M.N. s.r.l., ma solo allegata. Tale regolamentazione restrittiva della prova nuova in appello, peraltro, appare sintonica con l’accentuazione della natura del giudizio d’appello come mera revisio prioris instantiae anziché come iudicium novum, che sta alla base della coeva riforma dell’art. 342 c.p.c L’interpretazione testuale della nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. non può essere superata neppure dalla considerazione, d’ordine sistematico, che l’irrigidimento del divieto di prove nuove in appello determinerebbe un’intollerabile scollatura fra la verità materiale e quella processuale. Infatti, la naturale propensione del processo all’accertamento della verità dei fatti va coniugata con il regime delle preclusioni, che numerose operano nel rito civile. Sicché, la soppressione dell’ipotesi della prova indispensabile , quale eccezione al divieto dei nova in appello, si traduce semplicemente nell’accentuazione dell’onere, già certamente immanente, di tempestiva attivazione del convenuto, in attuazione di un principio di lealtà processuale che impone di dedurre immediatamente tutte le possibili difese. Per tale ragione questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, quale risulta dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 in poi - pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno quel carattere di indispensabilità che, invece, costituiva criterio selettivo nella versione precedente della medesima nonna, fatto comunque salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile . Cass. 9 novembre 2017 n. 26522 , da cui non vi è ragione di discostarsi. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Non essendo state svolge difese dalla controparte rimasta intimata, non vi è pronuncia sulle spese processuali. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.