Valuta trasferita all’estero senza regolare dichiarazione: sanzione monstre legittima

Confermata la multa di 100mila euro per un privato cittadino. Fatale l’omessa redazione della dichiarazione valutaria doganale di trasferimento all’estero di somme di denaro di importo superiore ai 10mila euro. Per i Giudici la scelta del legislatore nazionale di monitorare i trasferimenti di valuta da e per l’estero non costituisce ostacolo alla libertà di circolazione dei capitali nell’ambito dell’Unione Europea, ma incide sul piano tutto interno della verifica della capacità contributiva.

Beccato a trasferire all’estero ingenti somme di denaro senza avere provveduto alla prevista dichiarazione doganale valutaria. Sacrosanta, sanciscono i Giudici, la sanzione monstre – 100mila euro – decisa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Inutile il richiamo difensivo al principio della libertà di circolazione dei capitali nell’ambito dell’Unione Europea” Cassazione, ordinanza n. 32228/19, sez. II Civile, depositata oggi . Dichiarazione. Il primo round della battaglia legale vede il privato cittadino sconfitto in modo netto i Giudici del Tribunale ritengono legittima la sanzione comminatagli dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, cioè una multa di 142mila e 350 euro per non avere redatto la dichiarazione doganale valutaria di trasferimento all’estero di somme di denaro di importo superiore a quello consentito , cioè 10mila euro. Il secondo round ne conferma la sconfitta, ma con un bilancio meno pesante i giudici d’Appello, difatti, riducono la multa, portandola a 100mila euro. Necessario però comunque un terzo round in Cassazione, poiché il privato cittadino decide comunque di contestare ulteriormente il provvedimento del Ministero. Il ricorso proposto nel contesto del ‘Palazzaccio’ è centrato sì sul nodo dell’applicazione delle norme, ma soprattutto sul fatto che gli obblighi dichiarativi imposti dallo Stato italiano contrastano con i principi di non discriminazione e di libera circolazione dei capitali e violano il principio di proporzionalità delle sanzioni . Circolazione. Le ulteriori obiezioni proposte in Cassazione si rivelano però inutili, e difatti i giudici di terzo grado rendono definitiva la sanzione decisa dal Ministero. In prima battuta i magistrati ritengono assolutamente corretta la linea seguita in Appello, sia sul fronte della applicazione delle norme in materia di infrazioni valutarie , sia su quello del regime sanzionatorio . Allo stesso tempo, viene anche chiarito che non sono ravvisabili le violazioni dei principi comunitari lamentate dal privato cittadino. Ciò perché la scelta del legislatore nazionale di monitorare i trasferimenti di valuta ‘da e per l’estero’ non costituisce, all’evidenza, ostacolo alla libertà di circolazione dei capitali nell’ambito dell’Unione Europea, mentre incide sul piano tutto interno della verifica della capacità contributiva dei cittadini, rientrando, quindi, nel margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri del contesto comunitario.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 20 giugno – 10 dicembre 2019, n. 32228 Presidente Manna – Relatore Picaroni Fatti di causa 1. Il Tribunale di Bari - sezione distaccata di Putignano, con sentenza 4-5 novembre 2011, rigettò l'opposizione proposta da Vi. Mi. avverso l'ordinanza con la quale il Ministero dell'economia e delle finanze gli aveva intimato il pagamento di Euro 142.350,00 a titolo di sanzione amministrativa per non avere redatto la dichiarazione doganale valutaria di trasferimento all'estero di somme di danaro di importo superiore a quello consentito, ai sensi dell'art. 3 del D.L. n. 167 del 1990, conv. con modif. dalla L. n. 227 del 1990, come sostituito dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 125 del 1997. 2. La Corte d'appello di Bari, con sentenza resa pubblica il 30 novembre 2015, ha accolto parzialmente il gravame e, per l'effetto, ha rideterminato la sanzione in Euro 100.000,00. 3. Ricorre Vi. Mi. per la cassazione della sentenza, sulla base di un unico, complesso motivo al quale resiste il Ministero dell'economia e delle finanze, con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. Ragioni della decisione 1. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 6, comma 2, e 7, comma 4, D.Lgs. 18 dicembre 1997 recante Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, lamentando il mancato riconoscimento della causa di non punibilità ivi prevista e, in subordine, la mancata riduzione della sanzione. Nell'illustrazione del motivo è contestata la violazione del principio di legalità, per abrogazione espressa o tacita delle norme applicate, e del principio del favor rei. Il ricorrente evidenzia che le violazioni contestate erano state accertate in data 28 gennaio 2009, nella vigenza del D.Lgs. 19 novembre 2008, n. 195, recante Modifiche ed integrazioni alla normativa in materia valutaria in attuazione del regolamento CE n. 1889/2005, ma i fatti risalivano ad epoca antecedente al 31 dicembre 2008, sicché non potevano ricadere nel regime sanzionatorio del D.Lgs. n. 195 del 2008, né vi era continuità con il regime previsto dagli abrogati artt. 3 e 5 D.L. n. 167 del 1990, conv. dalla L. n. 227 del 1990. In ogni caso, secondo il ricorrente, gli artt. 3 e 9 D.Lgs. n. 195 del 2008, in quanto contenenti norme analoghe a quelle di cui agli artt. 3 e 5 D.L. n. 167 del 1990, dovevano ritenersi abrogati implicitamente ad opera della legge 6 agosto 2013, n. 97, recante Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea, a meno di non sottoporre alla Corte di giustizia la questione della relativa compatibilità comunitaria, tenuto conto che l'abrogazione espressa dell'art. 5 D.L. n. 167 del 1990 si era resa necessaria per evitare la procedura d'infrazione caso EU Pilot in materia di ordinamento e mercato del turismo . Le norme richiamate, nella parte in cui impongono obblighi dichiarativi, oltre a contrastare con i principi di non discriminazione e di libera circolazione dei capitali, violerebbero il principio di proporzionalità delle sanzioni. In subordine, il ricorrente invoca l'applicazione del regime sanzionatorio più favorevole introdotto dall'art. 11 D.L. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 44 del 2012, che ha modificato l'art. 9 D.Lgs. n. 195 del 2008. 2. Il motivo è privo di fondamento sotto tutti i profili evocati. 2.1. La Corte d'appello ha fatto corretta applicazione delle norme in materia di infrazioni valutarie evidenziando, in primo luogo, che non trova applicazione al caso di specie l'art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 472 del 1997 concernente la violazione delle norme tributarie, e ciò in quanto in ambito di sanzioni amministrative in generale, e valutarie in particolare, vige il divieto di ricorso all'analogia stabilito dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981 ex plurimis, Cass. 12/05/1999, n. 4704 , mentre risulta applicabile l'art. 23-bis D.P.R. n. 148 del 1988, introdotto dalla L. n. 326 del 2000, che ha esteso alla materia delle infrazioni valutarie i principi di irretroattività e del favor rei. 2.2. Quanto al regime sanzionatorio, la Corte territoriale ha osservato correttamente che, pur essendo vero che al momento dell'accertamento gli artt. 3 e 5 D.L. n. 167 del 1990 erano stati abrogati dall'art. 13 D.Lgs. n. 195 del 2008, nondimeno non si era determinato un fenomeno di abolitio criminis poiché gli artt. 3 e 9 D.Lgs. n. 195 del 2008 avevano sostituito le norme abrogate. Si era trattato di successione di leggi, e l'ordinanza-ingiunzione, emessa nel 2009, aveva fatto applicazione della norma sanzionatoria più favorevole al trasgressore, che era quella previgente. 2.3. La decisione impugnata risulta corretta anche nella parte in cui ha escluso l'abrogazione tacita dell'art. 9 D.Lgs. n. 195 del 2008 ad opera dell'art. 9 L. n. 97 del 2013, argomentando in particolare sulla natura settoriale dell'intervento legislativo e della non sovrapponibilità dei sistemi sanzionatori a confronto. 2.4. Neppure sono ravvisabili le denunciate violazione dei principi comunitari la scelta del legislatore nazionale di monitorare i trasferimenti di valuta da e per l'estero non costituisce, all'evidenza, ostacolo alla libertà di circolazione dei capitali nell'ambito dell'Unione, mentre incide sul piano tutto interno della verifica della capacità contributiva, rientrando nel margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri. Per altro verso, la violazione del principio di proporzionalità della sanzione è prospettata apoditticamente avuto riguardo alla previsione generale ed astratta, mentre risulta inammissibile se riferita alla sanzione applicata in concreto la Corte d'appello, infatti, ha affermato che non era stato allegato alcun elemento positivo dal quale poter desumere la buona fede del trasgressore, e il ricorrente neppure censura specificamente tale affermazione, mentre invoca un apprezzamento dei fatti in ogni caso precluso in questa sede ex plurimis, Cass. 04/04/2017, n. 8758 . A ciò si aggiunge il rilievo che la Corte di merito ha già operato una significativa riduzione della sanzione in considerazione della qualità e intensità dell'elemento soggettivo che ha sorretto l'agire del Mi., e poiché l'entità della riduzione non è sindacabile, non residuano margini di intervento del giudice di legittimità. Analoga considerazione vale anche riguardo alla questione dell'applicazione della sanzione come rimodulata dall'art. 11 D.L. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 44 del 2012, con la quale si invoca ulteriore applicazione del principio del favor rei. La Corte d'appello ha osservato in proposito che la modifica indicata non incide sul trattamento sanzionatorio delle violazioni eccedenti la soglia di Euro 10.000,00, e il ricorrente non censura specificamente l'argomento mentre si limita ad affermare, senza neppure riportare gli estremi della contestazione, che in diverse ipotesi di trasferimento di danaro le eccedenze sarebbero state inferiori alla soglia indicata di Euro 10.000,00. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese prenotate e prenotande a debito. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.