Se il credito sorge da un rapporto di locazione la competenza è del tribunale qualunque sia il valore

Ove in seguito a declaratoria di incompetenza da parte del giudice di pace in causa esorbitante la giurisdizione equitativa si proponga appello con contestazione della fondatezza della pronuncia, il successivo ricorso in Cassazione non ha effetto cassatorio infatti, il giudice dell’appello, in ragione dell’effetto devolutivo del giudizio di appello, giudicherà nel merito, che ritenga o no fondata l’eccezione di competenza.

Il principio sancito dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione numero 21582/11 secondo cui la competenza del giudice di pace nei limiti della sua competenza per valore in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di una esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu oculi , alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale - siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale - allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato si limita a fornire un’interpretazione estensiva del concetto di competenza in materia di beni mobili del giudice di pace di cui all’art. 7, comma 1, c.p.c., senza pregiudicare il limite alla stessa dato dallo stesso art. 7, comma 1, c.p.c. alla competenza di altro giudice prevista dalla legge. Ed invero, per la previsione espressa di cui all’art. 447- bis c.p.c., le controversie attinenti a pretese creditorie derivanti da rapporto di locazione rientrano nella competenza del tribunale, qualunque sia il valore. Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione numero 28041/19, depositata il 31 ottobre, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. La questione posta qual è il giudice competente sulla pretesa creditoria derivante da locazione? La prima questione posta dal ricorrente, ed accolta dalla Corte come sinteticamente riportato nel titolo, attiene alla lettura compiuta dalla Corte d’Appello del principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza numero 21582/11 riguardo all’ambito di applicazione del primo allinea dell’art. 7, comma 1, c.p.c Ricordiamo che l’art. 7, comma 1, c.p.c. prevede che Il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice . Con il motivo si lamenta dunque la violazione di norme sulla competenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 2, c.p.c Mentre, il principio espresso dalla sentenza delle SS. UU. citata dichiara la competenza del giudice di pace nei limiti della sua competenza per valore in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di una esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu oculi , alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale - siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale - allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato Cass. SS.UU. numero 21582/11 . Sulla base di detto principio, la Corte d’Appello giunge ad affermare e non ad escludere la competenza del giudice di pace che invece l’aveva disconosciuta revocando il d.i. in relazione ad un decreto ingiuntivo emesso per credito derivante da un rapporto di locazione, accogliendo così l’eccezione di incompetenza proposta dall’opponente e, ritenendo di dover decidere nel merito non vertendosi nelle ipotesi di rinvio al primo giudice di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., ritiene infondata la detta opposizione. Il ricorso in Cassazione a seguito di declaratoria di incompetenza del Giudice di Pace non ha effetto cassatorio. In primis la Corte dichiara il motivo inammissibile per difetto d’interesse. Ricorda infatti come, per un consolidato principio giurisprudenziale, l’appello davanti al tribunale volto a contestare la fondatezza di una decisione del giudice di pace per cause che esorbitano dalla giurisdizione secondo equità che ha escluso la propria competenza ha in ogni caso l’effetto devolutivo tipico del grado di appello. Ed infatti, se il tribunale riterrà la contestazione infondata, dunque converrà che il giudice di pace non era competente, deciderà nel merito infatti va escluso sia che la pronuncia nel merito possa ritenersi resa dal tribunale in primo grado, sia che al rigetto dell’appello possa seguire un nuovo giudizio di primo grado davanti al tribunale. Ove invece il tribunale riterrà la contestazione fondata, dunque riterrà competente il giudice di pace, non ricorrendo una delle ipotesi di rimessione al primo giudice di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. e non esistendo una regola simile a quella dettata per le sentenze del conciliatore dall’abrogato ad opera dell’art. 89, comma 1, l. numero 353/1990 art. 353, comma 4, c.p.c., dopo avere dichiarato la nullità della sentenza, per l’effetto devolutivo dell’appello deciderà nel merito in qualità di giudice dell’appello e non dovrà rimettere le parti al giudice di pace per la rinnovazione del giudizio di primo grado principio si menzionano Cass. numero 20636/06, numero 13083/07, numero 12455/10, numero 26462/11, numero 13623/15 . Per completezza ricordiamo che gli artt. 353 e 354 c.p.c. prevedono, il primo, la remissione al primo giudice per ragioni di giurisdizione e non di competenza, come nella specie e il secondo, gli altri tassativi motivi per cui è prevista la remissione al primo giudice. In ogni caso, dunque, il tribunale avrebbe deciso nel merito e quindi non ha quindi alcuna utilità devolvere al giudice di Cassazione la questione circa la competenza del giudice di pace. Se il credito sorge da rapporto di locazione la competenza è del tribunale, qualunque sia il valore. Tuttavia, stante l’importanza della questione ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c. secondo cui Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza , la Corte ritiene opportuno trattarla. Per la Corte, la censura è fondata la lettura, che la Corte d’Appello ha compiuto, del principio affermato dalla sentenza a SS.UU. numero 21582/11 non è corretta, mentre lo è la prospettazione del ricorrente il principio stabilito dalla sentenza numero 21582/11 v. supra si limita a dare un’interpretazione del disposto di cui all’art. 7, comma 1, c.p.c. nel punto in cui, nel fissare il limite della competenza del giudice di pace, fa riferimento alle cause relative ai beni mobili, senza pregiudicare la portata del secondo allinea, che fa salve le cause attribuite dalla legge ad altro giudice. Tale soluzione si ricava dalla motivazione della sentenza, dove si afferma che la competenza del giudice di pace di cui all’art. 7, comma 1, c.p.c. è sottoposta a tre limiti 1 quello del valore 2 quello del carattere mobiliare dell’azione 3 quello della mancanza di competenza per materia di altro giudice. La Corte in quella sentenza dunque si focalizza la sua attenzione solo sulla questione relativa al secondo limite giungendo poi in proposito a stabilire che quel che conta è il petitum mediato, dunque ad es. la somma di denaro quale bene mobile , non il fatto costitutivo da cui trae origine la pretesa che può anche discendere da un diritto su bene immobile e non tocca gli altri due limiti, in particolare quelle attinente alla attribuzione per materia ad altro giudice che fa salva espressamente . In conclusione resta fermo, anche per quel ragionamento delle Sezioni Unite, che se la pretesa risarcitoria sorga da un rapporto locativo, essendo questa materia riservata dall’art. 447- bis c.p.c. al tribunale, la competenza del giudice di pace va esclusa anche quando il valore è inferiore ai cinquemila euro. Estremamente chiara sul punto, altra decisione di legittimità Cass. numero 17039/10 , sempre richiamata dalle Sezioni Unite, ove si chiarisce che laddove si faccia valere in giudizio il diritto al risarcimento dei danni per equivalente per un danno verificatosi su un bene immobile, qualunque sia il titolo del godimento del bene, il diritto fatto valere, concernendo una somma di denaro, riguarda un petitum mediato per il conseguimento di un bene mobile, anche se il danno attiene al mancato godimento di un bene immobile dunque la competenza è del giudice di pace. Soltanto se il rapporto che riguarda il godimento dell’immobile è assunto come criterio per individuare una specifica competenza ratione materiae come ad es. nel caso della locazione, del comodato o dell’affitto di azienda e la pretesa riguardi le parti di tale rapporto dunque ad es. non controversie tra una delle parti del rapporto con terzi , la richiesta di risarcimento dei danni può sottrarsi alla regola dell’art. 7, comma 1, c.p.c. v. Cass. numero 17039/10 . Peraltro è altresì principio consolidato quello per cui le controversie inerenti le locazioni, anche se aventi ad oggetto il pagamento di canoni o altre obbligazioni, restano di competenza del tribunale si menzionano vari precedenti resi nell’individuazione della competenza del tribunale in materia di locazione a seguito della soppressione dell’ufficio del pretore Cass. numero 15363/13, Cass. 2143/06, Cass. numero 2471/02, Cass. numero 10884/03, Cass. numero 10300/04, Cass. numero 12910/04 . L’omesso esame di elementi istruttori non equivale a omesso esame di un fatto storico. Un’altra questione di cui si occupa la Corte riguarda la critica dell’omesso esame di elementi istruttori in sentenza. Sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte qui respinge la contestazione, che richiama il vizio di cui all’art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c., riguardante l’omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che sia stato oggetto di discussione e abbia carattere decisivo sull’esito della controversia, e ri afferma che l’omesso esame di un elemento istruttorio non rientra nel vizio in parola, se il fatto storico è stato comunque preso in considerazione dal giudice si richiamano le sentenze Cass. numero 19881/14, SS.UU. numero 8053/14 . L’omesso esame di questioni di mero diritto non è di per sé vizio della sentenza censurabile in cassazione. Il mancato esame di meri argomenti difensivi, specie se attinenti a sole questioni di diritto, non si può qualificare come vizio di motivazione sindacabile in Cassazione infatti, il Giudice di legittimità ex art. 384 c.p.c. è investito del potere di integrare e correggere la motivazione e, quindi, se chiamato a valutare la conformità al diritto di una decisione, la sua valutazione non terrà conto della motivazione se la soluzione sarà corretta da un punto di vista giuridico si menziona Cass. numero 12753/99 . Verifica, quest’ultima, comunque esclusa nel caso concreto non essendovi alcuna specifica censura di violazione di legge.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 2 – 31 ottobre 2019, n. 28041 Presidente Graziosi – Relatore Iannello Fatti di causa 1. Il Giudice di pace di Treviso, con decreto emesso il 22/12/2014 su ricorso della Marrett Consulting & amp Investment S.r.l., ingiunse a B.V. , titolare della ditta individuale Stiv62, il pagamento della somma di Euro 2.479,36, preteso dalla società in relazione a tre contratti di locazione di immobili ad uso commerciale succedutisi tra le parti tra il 26/3/2012 e il 15/9/2014, a titolo di canoni residui, oneri accessori e spese di riparazione dei locali. Vi si oppose l’ingiunta eccependo, preliminarmente, l’incompetenza per materia del Giudice di pace, per essere competente il Tribunale in materia di locazione di immobili urbani, e, nel merito, l’insussistenza del credito. 2. Con sentenza del 22/5/2015 il Giudice di pace dichiarò la propria incompetenza per materia, per essere competente il Tribunale di Treviso e revocò conseguentemente il decreto ingiuntivo. 3. Interpose appello la società locatrice, contestando la declinatoria di competenza e, nel merito, la fondatezza dell’opposizione. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Treviso ha ritenuto fondata la preliminare censura in punto di competenza, richiamando il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. U. 19/10/2011, n. 21582, secondo cui è competente il giudice di pace nei limiti della sua competenza per valore in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di una esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu ocuii, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale - siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale -allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato . Nel merito - del quale si è comunque ritenuto investito quale giudice d’appello, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. - ha ritenuto infondate le eccezioni opposte alla pretesa creditoria e, dando atto del parziale pagamento intervenuto successivamente all’emissione del decreto ingiuntivo, ha conseguentemente condannato l’appellata al pagamento del residuo importo di Euro 1.849,38, oltre interessi. 3. Avverso tale decisione B.V. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste la società intimata, depositando controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, violazione delle norme sulla competenza. Assume, in sostanza, la non pertinenza alla fattispecie del richiamato principio di diritto di cui a Cass. Sez. U. n. 21582 del 2011 rilevando che con esso, il Supremo Consesso, nel comporre il contrasto insorto in ordine all’applicazione del primo alinea dell’art. 7 c.p.c., si è limitata a fornire un’interpretazione del medesimo, lasciando impregiudicata la portata del secondo alinea che fa salva l’ipotesi che la materia sia riservata la competenza di altro giudice . 2. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse. Il Tribunale si è infatti pronunciato, come detto, quale giudice d’appello, nel merito della controversia, con ciò provvedendo esattamente a quanto avrebbe comunque fatto anche ove avesse affermato come pure avrebbe dovuto fare alla stregua di quanto sarà appresso osservato l’infondatezza della censura in punto di competenza e corretta quindi la decisione del Giudice di pace, declinatoria della competenza. L’accoglimento della censura fin questa sede sul punto riproposta, non potrebbe pertanto avere, di per sé, alcun effetto cassatorio. Va sul punto riaffermato il consolidato principio espresso da questa Corte regolatrice secondo cui, quando, di fronte ad una declinatoria di competenza da parte del giudice di pace in causa esorbitante dai limiti della sua giurisdizione equitativa, venga proposto appello con contestazione della fondatezza della pronuncia, il tribunale, ove la censura sia infondata, è investito dell’esame del merito quale giudice dell’appello in conseguenza del normale effetto devolutivo proprio di tale impugnazione restando escluso sia che la pronuncia sul merito possa considerarsi come resa dal tribunale stesso in primo grado, sia che al rigetto dell’appello sul motivo afferente alla competenza debba seguire la rimessione delle parti avanti allo stesso tribunale quale giudice competente affinché la controversia venga decisa in primo grado qualora la censura relativa alla declinatoria di competenza sia, invece, fondata, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione al primo giudice, previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc., e non esistendo una regola omologa a quella, dettata per le sentenze del conciliatore, dall’art. 353 c.p.c., comma 4, abrogato dalla L. n. 353 del 1990, art. 89, comma 1, il tribunale, previa declaratoria della nullità della sentenza di primo grado per erronea declinatoria della competenza, deve, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello, decidere sul merito quale giudice d’appello e non rimettere le parti avanti al giudice di pace per la rinnovazione del giudizio in primo grado Cass. 22/09/2006, n. 20636 05/06/2007, n. 13083 21/05/2010, n. 12455 09/12/2011, n. 26462 02/07/2015, n. 13623 . Pertanto, come s’è detto, il Tribunale di Treviso, adito in sede di appello dalla locatrice, avrebbe dovuto comunque decidere nel merito della pretesa sostanziale dedotta in giudizio, essendone stato contestualmente investito dall’appellante. 3. Reputa nondimeno questo Collegio opportuno rilevare, considerata la particolare importanza della questione, ai sensi ed agli effetti dell’art. 363 c.p.c., comma 3, la fondatezza della censura. La sentenza impugnata muove infatti sul punto da una superficiale e non corretta lettura del principio di diritto affermato da Cass. Sez. U. n. 21582 del 2011. Questo invero, come correttamente affermato in ricorso, si limita a fornire una interpretazione estensiva dell’art. 7 c.p.c., comma 1, nella parte in cui, nel fissare il limite della competenza del giudice di pace, fa espresso riferimento alle cause relative a beni mobili riferimento interpretato dal Supremo Collegio nel senso che la competenza resta attribuita al giudice di pace anche qualora la controversia riguardi pretese creditorie aventi ad oggetto una somma di danaro, bene mobile, non eccedente il limite di valore di Euro 5.000 che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di una esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu oculi, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale , ma fa espressamente salva l’ipotesi che le ragioni della domanda involgano materie attribuite alla competenza di altro giudice. Tanto si ricava expressis verbis dalla motivazione della sentenza, ove si osserva in premessa § 4.2 che l’attribuzione della competenza generale per valore del giudice di pace è sottoposta dalla norma ad un triplice limite a quello del valore in senso stretto desunto dal petitum b quello del carattere mobiliare dell’azione desunto sia dalla causa petendi che dal petitum c quello della mancanza di competenza per materia di altro giudice. L’impegno argomentativo della Corte è concentrato esclusivamente sul secondo limite carattere mobiliare dell’azione - giungendosi al riguardo alla soluzione sopra ricordata secondo cui quel che rileva è il petitum mediato, e dunque, ad es., la somma di danaro quale bene mobile, non il fatto costitutivo da cui la relativa pretesa sorga che potrebbe dunque ben discendere anche dalla lesione di un diritto, reale o personale, su bene immobile - e non riguarda affatto gli altri due, in particolare il terzo limite, rappresentato dalla positiva attribuzione dell’azione alla competenza per materia di altro giudice in tal senso v. anche, espressamente, il § 6 della sentenza . In ragione di tale limite resta quindi fermo, anche nel ragionamento delle Sezioni Unite, e deve qui riaffermarsi, che, ove la pretesa creditoria abbia la propria fonte in un rapporto locativo, trattandosi di materia da ritenersi riservata alla competenza del tribunale, resta comunque esclusa la competenza del giudice di pace, ancorché la pretesa riguardi un credito pecuniario di importo non eccedente i cinquemila Euro. Molto chiaro in tal senso, in motivazione, il precedente di Cass. 20/07/2010, n. 17039 non a caso richiamato adesivamente da Cass. Sez. U. n. 21582 del 2011, in motivazione, § 11.1 , là dove rileva che allorquando si eserciti una pretesa di risarcimento danni per equivalente assumendo che il danno si è verificato ad un immobile quale che ne sia il titolo di godimento , il diritto fatto valere, avendo ad oggetto una somma di danaro e, quindi, un petitum mediato inerente il conseguimento di un bene della vita rappresentato da un bene mobile, è per definizione un diritto concernente una cosa mobile, qual è il danaro e, pertanto, agli effetti dell’art. 7 c.p.c., comma 1, la relativa domanda è senz’altro riconducibile all’ambito della competenza generale mobiliare colà prevista a favore del giudice di pace per qualche riferimento si veda Cass. n. 2889 del 2003 . Il criterio di competenza previsto da detta norma resta del tutto indifferente salvo che l’ordinamento preveda un’incidenza sulla competenza riferita al rapporto da cui origina la pretesa risarcitoria e che concerne il godimento dell’immobile alla circostanza che la somma chiesta a titolo risarcitorio costituisca l’equivalente di un danno-evento rappresentato dalla lesione verificatasi sulla situazione giuridica che l’attore vanta riguardo ad un bene immobile. Soltanto se il rapporto inerente il godimento dell’immobile è assunto come criterio per individuare una specifica competenza ratione materiae, la pretesa risarcitoria per equivalente diretta a ristorare la situazione giuridica inerente il godimento dell’immobile può sottrarsi alla regola di cui all’art. 7 c.c., comma 1, come accade ad esempio allorquando venga in rilievo una pretesa risarcitoria concernente un rapporto di locazione o di comodato immobiliare, oppure un affitto di azienda art. 441 bis c.p.c. e naturalmente la pretesa riguardi le parti di tale rapporto così, se ad esempio, un conduttore riceva molestie nel godimento dell’immobile locato da un terzo ed agisca per ottenere il risarcimento per equivalente, si è al di fuori dell’ambito dell’art. 447 bis c.p.c. . Quanto poi alla sussistenza di una competenza per materia del tribunale per tutte le controversie nascenti da rapporto locativo, ancorché aventi ad oggetto il pagamento di canoni o altre obbligazioni pecuniarie per importo non eccedente il limite di valore della competenza del giudice di pace, è sufficiente rammentare che trattasi di approdo interpretativo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, affermata - in numerosi precedenti, cui può qui farsi rimando - sulla base di una ricostruzione delle conseguenze della soppressione dell’ufficio del pretore, con la conseguente abrogazione dell’art. 8 c.p.c., ad opera del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 v. Cass. 19/06/2013, n. 15363 31/01/2006, n. 2143 20/02/2002, n. 2471 n. 10884 del 10/07/2003 28/05/2004, n. 10300 13/07/2004, n. 12910 . 4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. 4.1. Con una prima censura la ricorrente contesta l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui l’importo di Euro 1.299,38 riguarderebbe una parte residua del canone dovuto per il mese di settembre 2014 con riferimento al terzo contratto e di esso la conduttrice non avrebbe dimostrato l’eccepito pagamento a fronte dei conteggi e delle imputazioni indicati dalla locatrice . Denuncia al riguardo insufficiente esame di un punto decisivo della controversia, vale a dire la caducazione delle obbligazioni inerenti ai contratti di locazione sottoscritti tra le parti nei mesi di marzo e di giugno 2012 in virtù di novazione oggettiva o di scioglimento per mutuo consenso denuncia, infine, la contraddittorietà della motivazione addotta, avendo il Tribunale omesso di prendere posizione sulle contestazioni svolte. Dopo aver trascritto ampio stralcio della memoria di costituzione nel secondo grado di giudizio pagg. 18-22 del ricorso , lamenta la ricorrente l’obliterazione, da parte del giudice d’appello, della prova asseritamente offerta a dell’integrale pagamento di quanto dovuto a titolo di canone di locazione in relazione al contratto sottoscritto in data 1/8/2013 b dell’inerenza dell’importo di Euro 1.299,38 preteso da controparte ai due contratti sottoscritti tra le parti l’anno precedente, novati con la stipula del terzo contratto quello del 2013 e/o comunque risolti per mutuo consenso. 4.2. La seconda censura è riferita all’importo di Euro 250, riconosciuto in sentenza quale corrispettivo per lo svuotamento della vasca imhoff, contestandosi l’assunto secondo cui la relativa pattuizione contrattuale non avesse natura vessatoria. Lamenta al riguardo la ricorrente l’omesso esame, da parte del giudice d’appello, della dedotta circostanza dell’uso esclusivo della vasca da parte dei proprietari/conduttori dell’immobile adiacente a quella locato, adibito a bar circostanza a dimostrazione della quale si era avanzata richiesta di prova orale, immotivatamente disattesa. 4.3 La terza censura è infine riferita all’importo di Euro 300, riconosciuto in sentenza dovuto a titolo di rifusione delle spese di ripristino dell’immobile locato, avendo ritenuto il giudice d’appello che la conduttrice non avesse assolto l’onere di provare la riferibilità al precedente conduttore dei fori non stuccati rinvenuti nell’immobile al momento della riconsegna. Anche in tal caso la ricorrente lamenta l’immotivata mancata ammissione di prove orali da essa dedotte a supporto della dedotta non imputabilità dei danni in questione. 5. Il motivo è inammissibile. 5.1. La prima censura si espone anzitutto a un rilievo di inammissibilità per violazione dell’obbligo di specifica indicazione degli atti su cui il ricorso è fondato, previsto a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6. La ricorrente omette invero di riportare, seppure per sintesi, il contenuto delle richieste di prova che dice di aver avanzato allo scopo di dimostrare il contenuto dei rapporti contrattuali intercorsi tra le parti e segnatamente l’asserita estinzione per novazione o scioglimento per mutuo consenso dei due contratti stipulati nel 2012 cui è riferito il residuo canone preteso di Euro 1.299,38. 5.2. Può comunque osservarsi che detta censura è con evidenza del tutto eccentrica rispetto al paradigma di cui all’invocato vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma invero, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b , convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, dai limiti del sindacato della cassazione sulla motivazione della sentenza alla verifica dell’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza rilevanza del dato testuale o dagli atti processuali rilevanza anche del dato extratestuale , che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia , rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti cfr. Cass. Sez. U. 22/09/2014, n. 19881 Sez. U. 07/04/2014, n. 8053 . Resta escluso invece, come del resto lo era anche nella vigenza del precedente testo, che possa configurarsi vizio di motivazione, sindacabile in cassazione in relazione al mancato esame di meri argomenti difensivi, specie se afferenti a questioni di diritto come nella specie, ove il ricorrente in sostanza lamenta la mancata motivazione in relazione alla opposta eccezione di estinzione per novazione e/o scioglimento per mutuo consenso dei precedenti rapporti di locazione cui è riferito il preteso credito di Euro 1.299,38 . È noto infatti che non può configurarsi vizio di motivazione in relazione a questioni di mero diritto. Ciò in quanto il giudice di legittimità è investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che, se chiamato a valutare la conformità a diritto della decisione impugnata, la sua valutazione ben può prescindere dalla motivazione che, in punto di diritto, sia contenuta nella sentenza impugnata, restando del tutto irrilevante anche l’eventuale mancanza di questa, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame Cass. 17/11/1999, n. 12753 . Nel caso di specie quest’ultima verifica è peraltro estranea all’oggetto del giudizio demandato a questa Corte, non avendo sul punto il ricorrente svolto alcuna specifica censura di violazione di legge. 5.3. La seconda censura è altresì inammissibile per aspecificità. Essa invero non si confronta con la assorbente ratio decidendi posta a fondamento, sul punto, della decisione impugnata, rappresentata dall’accertamento, in fatto, che la pulizia della vasca imhoff costituiva oggetto di un espresso obbligo assunto in contratto dal conduttore. Del tutto eccentrico e irrilevante, rispetto a tale fondamento della decisione, appare il rilievo, nel quale si risolve la censura, che tale vasca serviva in realtà altro immobile, una volta che comunque non si contesta nemmeno che proprio quella, e non altra, fosse la vasca cui era riferito detto obbligo. Ove poi l’argomento debba intendersi diretto a criticare la valutazione di non vessatorietà di tale obbligo, è agevole comunque constatarne l’irrilevanza o non decisività , atteso che, quand’anche sul punto abbia a diversamente opinarsi, non ne seguirebbe alcuna conseguenza invalidante, trattandosi comunque di clausola frutto della libera contrattazione delle parti e non risultando nè essendo dedotto che si verta in alcuna delle ipotesi di cui agli artt. 1341 1342 c.c., per le quali è richiesta, a pena di inefficacia, la specifica approvazione per iscritto cfr. Cass. 12/07/2007, n. 15592 . 5.4. Anche la terza censura è inammissibile. Appare invero anch’essa dedotta in termini non conformi al paradigma censorio di cui all’evocato vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Non è ben chiaro quale sia il fatto storico che postulato attraverso negletta richiesta di prova non sarebbe stato considerato, nè tanto meno è spiegata la sua decisività ai fini del giudizio. Dai capitoli di prova trascritti si desume che il riferimento è alle contestazioni mosse dalla stessa ricorrente al momento della riconsegna dell’immobile dato, questo, che non è certo riconducibile al fatto storico rilevante nella detta prospettiva censoria e che peraltro deve ovviamente ritenersi comunque preso in considerazione dal giudice a quo. 6. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Avuto tuttavia riguardo alla rilevanza della questione di diritto fondatamente sollevata ancorché senza rilievo pratico per le ragioni indicate si ravvisano i presupposti per una parziale compensazione delle spese, in ragione della metà, la restante metà dovendo essere posta a carico della ricorrente. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Compensa per metà le spese del giudizio di legittimità liquidate, nell’intero, in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della metà di esse non compensata. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.