Equo indennizzo: salvo prova contraria, non c’è pregiudizio quando il processo si estingue per rinuncia o inattività delle parti

Sulla scorta di quanto previsto dall’art. 2, comma 2-sexies, l. n. 89/2001, il giudice deve presumere insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, anche quando ricorre il caso in cui intervenga l’estinzione del giudizio per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli artt. 306 e 307 c.p.c. e dell’art. 84 c.p.a., di cui al d.lgs. n. 104/2010.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 26634 depositata il 18 ottobre 2019. Il caso. La Corte di Appello territorialmente competente rigettava l’opposizione ex art. 5- ter l. n. 89/2001 proposta da una dipendente della Pubblica Amministrazione nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il decreto ex art. 3 della citata legge con il quale le era stato liquidato l’indennizzo per irragionevole durata del procedimento prendente dinanzi al giudice di merito in relazione ad un determinato intervallo di tempo. Il giudizio presupposto aveva avuto ad oggetto il ricorso al TAR depositato nell’anno 2003 per l’annullamento di alcune graduatorie di selezione per i passaggi interni di avanzamento di carriera. Nel febbraio 2009 il TAR adito dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario e, successivamente, la causa veniva riassunta innanzi al giudice ordinario, Tribunale territorialmente competente che, nel 2016 dichiarava la propria incompetenza. Successivamente, poiché la causa non veniva più riassunta interveniva dichiarazione di estinzione del giudizio. La Corte di Appello territorialmente competente condannava con decreto il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente di una certa somma di denaro per ogni anno di ritardo detratti i primi tre di durata ragionevole del giudizio. La ricorrente, tuttavia, chiedeva il riconoscimento dell’ulteriore indennizzo per il ritardo dal luglio 2010 al settembre 2016, quest’ultima data coincidente con l’estinzione del giudizio. La Corte di Appello adita però riteneva che il giudizio presupposto fosse stato dichiarato estinto per mancata riassunzione a seguito di declaratoria di incompetenza e, in base all’art. 2, comma 2- sexies , lett. c , l. n. 89/2001, affermava doversi presumere l’inesistenza del pregiudizio per la irragionevole durata, essendosi il processo estinto per rinuncia o inattività delle parti. La ricorrente, infatti, non aveva dato la prova dell’esistenza di un pregiudizio ulteriore rispetto a quello già liquidato dalla Corte di Appello, avendo peraltro, la stessa conseguito in corso di causa il livello retributivo richiesto e non avendo più coltivato il giudizio per il conseguimento del livello richiesto nella fase di merito, non avendone più alcun interesse attuale e concreto. Avverso la decisione della Corte di Appello la ricorrente proponeva ricorso per cassazione. Nella specie, gli Ermellini hanno ritenuto infondati tutti i motivi proposti dal ricorrente ed in particolare, quello per il quale la stessa lamentava l’omessa pronuncia da parte dei Giudici di appello in relazione al primo motivo di opposizione di non aver proseguito il giudizio perché i colleghi che avevano fatto con lei il ricorso di lavoro e che non avevano avuto la declaratoria di incompetenza - poiché dipendenti della sede in cui si trovava la circoscrizione del giudice adito - si erano poi visti il rigetto della domanda nel merito. Dunque, ella, considerato l’ottenimento in sede amministrativa, del livello retributivo superiore, aveva deciso di non andare incontro a soccombenza per l’ulteriore livello retributivo superiore. Tuttavia, a suo dire, il danno indennizzabile per lei si era già verificato prima della declaratoria di incompetenza nel periodo dal 2009 al 2016, anche in considerazione del fatto che la durata ragionevole di tre anni era già stata dedotta nel precedente procedimento di legge Pinto e, dunque, andavano calcolati per intero gli ulteriori sei anni e due mesi del suddetto periodo. Concludendo. Secondo gli Ermellini il motivo innanzi indicato era da ritenersi infondato in quanto, al caso di specie, andava applicata ratione temporis la norma di cui all’art. 2, comma 2- sexies , l. n. 89/2001 in quanto il procedimento si era estinto per mancata riassunzione e per successiva declaratoria di estinzione in epoca successiva alla data di entrata in vigore della predetta norma.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 giugno – 18 ottobre 2019, n. 26634 Presidente Manna – Relatore Varrone Fatti di causa 1. Con decreto del 22 settembre 2017 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, proposto da F.M.A. nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il decreto ex art. 3 medesima L. n. 89 del 2001, con il quale le era stato liquidato l’indennizzo per irragionevole durata del procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Bari per il periodo dal 2003 al 2009. 2. Il giudizio presupposto aveva ad oggetto il ricorso al TAR depositato il 5 dicembre 2003 per l’annullamento della graduatoria di selezione per i passaggi interni alla categoria C3, nonché della graduatoria di selezione per i passaggi interni alla categoria C4. Il TAR Puglia il 12 febbraio del 2009 dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario, la causa veniva riassunta dinanzi al Tribunale di Bari, sezione lavoro, che il 14 aprile 2016 dichiarava la propria incompetenza territoriale. La causa successivamente non veniva più riassunta e in data 29 settembre 2016 veniva dichiarata l’estinzione del giudizio. 4. Con decreto del 16 novembre 2011 la Corte d’Appello di Lecce condannava il Ministero al pagamento della somma di Euro 2000 in favore di F.M.A. pari a Euro 1000 per ogni anno di ritardo detratti i primi tre di durata ragionevole. La ricorrente chiedeva il riconoscimento dell’ulteriore indennizzo per il ritardo dal 22 luglio 2010 al 29 settembre 2016 data di estinzione del giudizio. 5. La Corte d’Appello riteneva che il giudizio presupposto era stato dichiarato estinto per mancata riassunzione a seguito di declaratoria di incompetenza e, in base alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. c, affermava doversi presumere l’insussistenza del pregiudizio per la irragionevole durata, essendosi il processo estinto per rinuncia o inattività delle parti. La ricorrente non aveva provato l’esistenza di un pregiudizio ulteriore rispetto a quello già liquidato alla Corte Appello di Lecce, avendo peraltro la stessa conseguito in corso di causa il livello retributivo richiesto e non avendo più coltivato il giudizio per il conseguimento di quello C4, rispetto al quale non aveva più interesse. L’art. 2, comma 2 sexies, introdotto con L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777, lett. D , avendo una funzione valutativa del comportamento della parte doveva applicarsi anche i periodi di durata del procedimento antecedenti la sua entrata in vigore. 6. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione F.A.M. , sulla base di due motivi di ricorso. 7. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso. 8. All’adunanza in camera di consiglio del 14 febbraio 2019 la causa veniva rinviata alla pubblica udienza. 9. In prossimità dell’odierna udienza la ricorrente ha depositato memoria con la quale ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia in relazione alla sua allegazione, con il primo motivo di opposizione, di non aver proseguito il giudizio perché i colleghi che avevano fatto con lei il ricorso di lavoro e che non avevano avuto la declinatoria di incompetenza, perché dipendenti dell’Inps di Bari, si erano poi visti rigettare la domanda nel merito. Dunque, considerato l’ottenimento del livello C3 in sede amministrativa aveva deciso di non andare incontro a soccombenza per il livello C4. Tuttavia, il danno indennizzabile per lei si era già verificato prima della declinatoria di incompetenza nel periodo dal 2009 al 2016, considerato che la durata ragionevole di tre anni era già stata dedotta nel precedente procedimento di legge Pinto e, dunque, andavano calcolati per intero gli ulteriori sei anni e due mesi del periodo suddetto. Inoltre, l’aver ottenuto il livello C3 non era sufficiente a ritenere cessata la materia del contendere, in quanto rimaneva in piedi la domanda per l’ottenimento del livello C4. Su tali questioni la corte territoriale aveva omesso ogni pronuncia, così come in relazione alla questione dell’irretroattività della L. n. 208 del 2015. Infine, il decreto impugnato non si era pronunciato in merito al terzo motivo di opposizione con il quale si eccepiva l’incostituzionalità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. C. 1.2 Il primo motivo è infondato. La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, prevede che Si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, tra gli altri, nel caso di estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli artt. 306 e 307 c.p.c., e dell’art. 84 del codice del processo amministrativo, di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 La norma è stata introdotta dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. d , a decorrere dal 1 gennaio 2016 e, dunque, in epoca antecedente la declaratoria di incompetenza del Tribunale di Bari avvenuta in data 14 aprile 2016. Inoltre, la stessa F. deduce di non aver riassunto il giudizio per evitare la soccombenza e di aver chiesto la declaratoria di estinzione del giudizio per sopravvenuta perdita di interesse, estinzione poi dichiarata in data 29 settembre 2016. La norma citata si applica certamente al caso in esame in quanto il procedimento si è estinto per mancata riassunzione e per successiva declaratoria di estinzione del giudizio in epoca successiva al 1 gennaio 2016. In ogni caso giova precisare che il legislatore non ha ritenuto di accompagnare l’introduzione della nuova disciplina con una norma transitoria che ne disciplinasse gli aspetti di diritto intertemporale. Le uniche norme transitorie, infatti, hanno riguardato l’applicabilità delle modifiche in tema di rimedi preventivi L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. m , che ha aggiunto alla L. n. 89 del 2001, art. 6, i commi 2 bis e 2 ter . La nuova L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, dunque, è entrato in vigore a partire dal 1 gennaio 2016, L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 999 e deve trovare applicazione per tutte le domande di equa riparazione proposte successivamente a tale data. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è consolidata nell’affermare che il principio dell’irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso lo stesso principio comporta, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore Cass., 27 maggio 1971, n. 1579 Casa., 3 marzo 2000, n. 2433 Casa., 3 luglio 2013, n. 16620 . L’omessa pronuncia su una questione di costituzionalità non è ricorribile per cassazione dovendo la parte ricorrente riproporre nel giudizio di cassazione l’eccezione di costituzionalità. Vale richiamare in proposito il seguente principio di diritto Non può costituire motivo di ricorso per cassazione la valutazione negativa che il giudice di merito abbia fatto circa la rilevanza e la manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale, perché il relativo provvedimento benché ricompreso nella specie, da un punto di vista formale, nel decreto che ha concluso il giudizio di opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter ha carattere puramente ordinatorio, essendo riservato il relativo potere decisorio alla Corte costituzionale, e, d’altra parte, la stessa questione può essere riproposta in ogni grado di giudizio. Pertanto, le doglianze relative alle deliberazioni assunte dal giudice di merito sulle dedotte questioni di legittimità costituzionale non si presentano come fine a se stesse, ma hanno funzione strumentale in relazione all’obiettivo di conseguire una pronuncia più favorevole di quella resa con il decreto impugnato, sicché l’impugnazione deve intendersi che investa sostanzialmente il punto del provvedimento regolato dalle norme giuridiche la cui costituzionalità è contestata. Sez. 2, Ord. n. 9284 del 2018 . La Corte d’Appello si era espressa anche sulle ragioni dell’applicabilità ratione temporis della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies. 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato motivazione illogica e, quindi, inesistente art. 360 c.p.c., n. 3 , violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente si duole del fatto che il quarto di motivo dell’opposizione era stato rigettato a causa della manifesta infondatezza della domanda in relazione alla sanzione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5 quater. La suddetta motivazione doveva considerarsi illogica perché contraddetta dal fatto che l’Inps aveva riconosciuto il livello C3 e, dunque, doveva escludersi la consapevolezza di proporre una domanda senza alcun fondamento. In ogni caso, la corte territoriale non aveva deciso il quarto motivo di opposizione anche in relazione alla sproporzione della sanzione in relazione all’indennizzo richiesto e alla relativa eccezione di incostituzionalità. 2.1 Il motivo è infondato. La manifesta infondatezza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5 quater, si riferisce al giudizio per l’equa riparazione e non a quello presupposto come intende la parte ricorrente. L’omessa pronuncia sulla questione di costituzionalità non è un vizio che si può proporre con il ricorso per cassazione dovendo la parte riproporre l’eccezione di costituzionalità nel giudizio di cassazione, come si è detto con riferimento al motivo precedente. In ogni caso la questione di costituzionalità sulla norma in esame è già stata dichiarata manifestamente infondata sulla base del seguente principio In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., l’eccezione d’illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 5 quater, in quanto, senza alcun automatismo, rientra nel potere discrezionale del giudice valutare se sussistono i presupposti per disporre una sanzione pecuniaria a carico della parte nelle ipotesi di declaratoria di inammissibilità o rigetto della domanda per manifesta infondatezza e la previsione di detta sanzione, pur costituendo un deterrente rispetto alla proposizione dell’azione, è compatibile con i parametri costituzionali ed in particolare con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che, per realizzarsi concretamente, presuppone misure volte a ridurre i rischi di abuso del processo Sez. 6^ - 2 Sent. n. 5433 del 2016 rv. 639210 . Quanto alla mancata pronuncia sulla sproporzione tra la richiesta d’indennizzo e la sanzione da un lato non può che evidenziarsi che è una valutazione rimessa al giudice di merito che può essere oggetto anche di un rigetto implicito e dall’altro, la parte ricorrente non ha indicato in quale atto del giudizio di merito aveva proposto tale questione. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018 . 3. Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio devono essere compensate stante la novità della questione circa l’applicazione intertemporale della nuova L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, introdotto dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. m . 4. Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.